Sono passato questa mattina davanti al palazzo in cui ho trascorso tanti anni fa cinque anni molto intensi nella mia vita giovanile. Ero uno studente bravino, niente di più. Non avevo di fatto amici, solo qualche conoscenza. Questo è sempre stato un mio grande limite. Mi è sovvenuto qualche verso di Bertolucci:
Le mattine dei nostri anni perduti
i tavolini nell’ombra soleggiata dell’autunno
i compagni che andavano e tornavano, i compagni
che non tornarono più.
Ho pensato anche a una frase di Jovanotti (“Un cartello di sei metri dice tutto è intorno a te / ma ti guardi intorno e invece non c’è niente”).
I pensieri si affollavano nella mente, mi sono venute in mente un sacco di cose, ma nessuna di qualche importanza degna di nota. Mi ha colpito soprattutto la desertitudine della zona, il fatto che un luogo che dovrebbe essere affollato è chiuso e basta. Ho pensato alla speranza cui tutti abbiamo diritto, indipendentemente dall’età e dagli errori che possiamo avere o non avere commesso.
Ho pensato anche, io che il calcio non lo seguo per nulla, a Prandelli, alla dignità dell’uomo nel mettere sul piatto il suo “assurdo disagio”. (Mi echeggia il “vizio assurdo ” di Pavese: ma quanto siamo messi male, come società tutta?) Io sono molto stanco, ma credo che lo siamo tutti. Però ho pensato anche che è questo il tempo di riprendere la vita che ci appartiene, perché è vero che ciascuno di noi ha il diritto di stare male e di soffrire, ma è altrettanto vero che nella stragrande maggioranza dei casi questa sofferenza non porta a nulla.
Ho pensato anche a Batista, il mio rifugio estremo quando non so più da che parte guardare. Ciascuno si attacca alle speranze che ha, io per carattere credo di essere incline a cercare le cose là dove non esistono e dove non ho possibilità alcuna di trovarle. (“Quel couillon!”, come mi disse una persona tanti anni fa, all’epoca in cui scappavo di casa e mi trovai da qualche parte nella Francia del sud, senza sapere quale direzione dare al mio vagare.) Sono fatto così, sono cresciuto così, non credo di riuscire a cambiare.
Ungaretti:
Questa è la mia nostalgia
Che in ognuno
Mi traspare
Ora ch’è notte
Che la mia vita mi pare
Una corolla
Di tenebre
“Ha da passà ‘a nuttata”, dice Eduardo. Ma a furia di notti e notti e notti e notti senza cambiamenti in vista, diventa difficile credere che quel giorno arriverà. Eppure arriverà.
Che belli i tuoi post, Gianni. Col cuore.
Grazie Sabina! Mi sovviene Fortini: “La poesia / non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi”. Almeno a farle uscire fuori, le parole, il dolore sembra meno greve. Chissà. Grazie per il tuo supporto.