A diciotto anni per me il vino era la vendemmia nella vigna di famiglia, un appezzamento coltivato a freisa, e soprattutto seguire poi quell’uva mano a mano che diventava mosto, sviluppava alcool e nell’inverno si trasformava in vino. Era un appuntamento fisso con uno dei miei zii preferiti. Il risultato era un vino che per me era assolutamente imbevibile, ma l’idea di creare qualcosa con le proprie mani e insieme ad altre persone – persone che erano miei miti personali – mi piaceva oltremodo.
Più tardi nella vita ho imparato a conoscere vini nobili, baroli, barbareschi e compagnia, mi sono perso per quelle vigne, le ho ammirate da lontano come si fa con un’opera d’arte talmente bella da sembrare troppo finta e comunque inavvicinabile.
Poi, creata la mia famiglia, il vino è diventato bottiglie che compravamo, al supermercato (che orrore!) o dai produttori. La “normalità”.
Poi ancora si è trasformato in damigiane – cabernet frank e pinot grigio, quest’anno – che acquistiamo da un produttore trevigiano di fiducia. Oggi il vino è di […] continua a leggere »