Se ij bogianen a bogio… pòrca miseria!

Non è tanto questione di lingua piemontese, anche se ovviamente bisogna conoscerla per apprezzare questo spettacolo (visto nuovamente sabato scorso, al teatro Toselli di Cuneo). Il punto è più sottile: questa rappresentazione parla della gente, della storia (con la s minuscola – o forse dovrebbe essere maiuscola?) raccontando le storie “di una volta”, che alla fine non sono altro che le storie di sempre. Già, perché come dice Domenico Torta, il nostro problema è che non parliamo più ma ci rifugiamo nelle nostre vite digitali.

Il piemontese c’entra, si capisce, ma è solo un “pretesto”: perché possiamo dire, con Richard Bach, che

alla fine è solo la gente che conta, tutta la gente del mondo.

E come non pensare a Sherwood Anderson?

Sognavo di poter raccontare le storie di tutta la gente d’America. Sarei arrivato a tutti, li avrei capiti, ne avrei scritto la storia.

È arduo raccontare uno spettacolo come questo, che non si fa intrappolare in nessun genere. Questo video, forse, ne dà un’idea. Il CD è un pezzo in più verso la comprensione. Ma soprattutto bisogna assistervi: le parole non bastano, sono solo approssimazioni.

E naturalmente c’è la musica. C’è tutto il genio di Domenico Torta per far suonare le bottiglie, i rastrelli, i setacci eccetera. Ci sono degli strumenti quasi perduti, come il torototela che Angelo Brofferio diceva scomparso già nel 1861 ma che, in realtà, a Riva di Chieri non si è mai perso. È strano (o forse no), ma culture assai diverse e lontane tra di loro si incontrano in queste due ore di musica, narrazione, risate, emozioni. C’è un grosso pezzo della nostra storia, qui. Una storia e una vita, le nostre.

E terminerò – copiandolo proprio dal protagonista – con il saluto che si sentiva un tempo per le nostre strade: “Alé!”, che è il medesimo di don Bosco, “Alégher!”; che è poi lo stesso – tout se tient – che adoperava il nonno di Marco Paolini, che togliendosi il cappello diceva: “Sani!”

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