Ho fatto due conti. Non di soldi, ma di tempo, di anni, l’unica risorsa critica.
Ho pensato che la mia vita mi piace così. Anche con tutte le magagne che contiene. Anche con le sconfitte, le liti eccetera. Mi va bene così. Ci sto bene.
E poi voglio guardare avanti. Io non torno indietro. Ci ho messo tutti questi anni per arrivare – per caso – ad un risultato che mi soddisfa. Ora posso solo andare avanti posso solo migliorare.
E mi rendo anche conto che la felicità degli altri può dare fastidio. “Ma come? Io lavoro come un matto e quello pratica il 25×44 ed è pure felice?” Di domani ignoro, ma in questi tre anni sono stato sempre molto felice (di una felicità che Rita Levi-Montalcini definirebbe probabilmente da bambini, ma tant’è), ho mantenuto la mia famiglia, ho coltivato dei sogni per me grandi. Non è una ricetta e non è una garanzia, ma è – semplicemente è.
Ogni tanto mi volto indietro, guardo a quello che ero. Con tenerezza, ma senza rimpianti. Mi vedo giovane uomo in carriera, con i miei sogni imprenditoriali eccetera. Ma non voglio più tornare là, ho già dimostrato a me stesso che certe cose le so fare. Ora è tempo di mangiare altre colline.
E penso alla mia consapevolezza di adesso, al viaggio che ho intrapreso e che non intendo smettere. Sono felice. Voglio vedere dove mi porta questo percorso.
Il domani non mi spaventa. L’oggi nemmeno. Ho lasciato indietro tutte le paure. Quello che faccio, penso e dico non ha un particolare valore o significato. Morirò comunque. Ma proprio qui sta la forza di questa vita. Ha significato proprio perché non ha scopo.
Di tante preoccupazioni passate non possiamo che ridere. Essere felici costa più o meno lo stesso, è un percorso che possiamo scegliere.
Va benissimo così. Io non torno indietro.
Commenti
Mr. Davico,
se tu dici che sei arrivato “per caso” a questo risultato, significa che non abbiamo speranza di conseguirlo razionalmente, attuando una strategia che ci conduca almeno vicino al nostro ideale di duepuntozerismo. Non è contraddittorio? Io so, per averlo misurato con la mia fatica, che la felicità si può scegliere. Non è un caso. Il fatalismo è solo il nome elegante che diamo alle nostre indecisioni, alle nostre paure, agli ostacoli che – in definitiva – non abbiamo voglia di superare.
Sono d’accordo con te, Ms. Moscatelli.
Ho parlato di caso pensando a Taleb e per sottolineare il fatto che sono un uomo fortunato, ma sul fatalismo non posso che concordare al 100% con te.
Perdona la domanda, forse ingenua o sciocca.
Ma mi sembra che questa filosofia di vita (che condivido, peraltro) sia applicabile solo da chi, di fatto, HA lavorato come un matto per un certo numero di anni garantendosi un minimo di stabilità e risorse a cui attingere (tu, Perotti…). Senza nulla togliere ad una scelta che è comunque coraggiosa, il downshifting presuppone però che si stia in una certa posizione di partenza (conquistata, come dici del tuo caso, con 15 anni di lavoro da manager). E una persona a caso (come la sottoscritta…) che per motivi troppo lunghi da spiegare qui si ritrova con nulla in mano (niente lavoro) e due bambini, non può fare downshifting da zero. Non me ne importa niente dei vestiti firmati o dei SUV o dell’ipad. Ma se me ne importasse, non potrei comunque permettermeli. Scusa lo sfogo, non voglio fare la vittima e so di aver fatto, come tutti, degli errori. Ma forse il tuo libro è destinato ai ventenni con un futuro lavorativo tutto da costruire, o ai quarantenni con posizione economicamente solida alla ricerca del senso della vita (detto senza ironia). O mi sfugge qualcosa?
La domanda è tutt’altro che ingenua e sciocca, per me è legittima e interessante.
Sabina diceva ieri (qui sopra): “Il fatalismo è solo il nome elegante che diamo alle nostre indecisioni, alle nostre paure, agli ostacoli che – in definitiva – non abbiamo voglia di superare”.
Gli errori non contano, nel senso che sono normali. (Pasolini diceva che non importa avere amato, solo amare importa). E poi il downshifting non è certo fatto di SUV o ipad, piuttosto di esperienze e di momenti.
Io per esempio sto progettando di trasferirmi da queste parti (montagne sopra Cuneo, i luoghi della mia infanzia) per un duplice motivo: un vita più piena di significato e nello stesso tempo più semplice, nel senso che costa meno.
Il mio libro l’ho pensato per chi avverte che gli manca qualcosa e vorrebbe migliorare ma non sa bene come. E comunque io non pretendo di insegnare la strada – sono vanitoso, ma non fino a questo punto! 🙂 -, solo di indicare una via possibile e di dire che c’è possibilità. Anche per chi ha quarant’anni, due bambini e nessun lavoro. Certo non si fa in un momento, è un percorso che richiede anni (almeno cinque, diciamo), però è possibile.