Io sono fortunato.
A dirla tutta, io sono un ragazzo molto fortunato.
Cominciamo da capo. Avevo 27 anni, ero appena laureato. Giulio Einaudi e Norberto Bobbio, il primo per lettera e il secondo per telefono, mi avevano incoraggiato a proseguire gli studi su Cesare Pavese, che sarebbero stati il mio sbocco lavorativo naturale. Ma litterae non dant panem, si sa. Un giorno, per caso, alla Camera di Commercio di Torino mi imbattei in un dischetto – un floppy disk, scommetto che la maggior parte dei lettori non ne ha mai visto uno – contenente una lista di aziende piemontesi.
Mandai una lettera, offrii un servizio. Iniziai a lavorare, creai un’azienda. Per quindici anni ho lavorato come un matto, dalla mattina alla sera. Perché era giusto così, perché dovevo farmi una posizione, creare una famiglia, mantenere dei figli (delle figlie, nel mio caso; ma tant’è).
Poi, ad un certo punto è successo qualcosa. Ho passato i quarant’anni, segnatamente. Quarant’anni sono un traguardo importante. È tempo di bilanci, si cominciano a tirare i remi in barca. Vedi la fine del tuo tempo, capisci che non sei immortale, che non sarai qui per sempre.
Insomma ti devi dare una mossa.
Mmmmm.
La “crisi” – la cosiddetta crisi – è stata benedetta, in questo senso. Ne ho approfittato (assolutamente per caso, secondo la logica del Cigno nero) per semplificare la mia attività lavorativa (e la mia vita, già che c’ero).
Sono molto fortunato, dicevo. Sì, dopo quindici anni di lavoro avevo clienti, una posizione eccetera. Potevo permettermelo, probabilmente.
Ho dato il via al mio personalissimo downshifting. Solo, non sapevo si chiamasse così: e allora l’ho chiamato 25×44. Ovvero, mi sono ripromesso di non lavorare più di 25 ore alla settimana per più di 44 settimane l’anno – mai più –, basandomi sulla considerazione di cui dicevo prima, ovvero della fine del tempo. Sono passati tre anni da allora, e così è stato fino ad adesso.
Che cosa accadrà domani, ignoro. Ma intanto mantengo la mia famiglia. Allora dico che una vita migliore, più semplice e con meno preoccupazioni, è possibile. Solo, dipende da noi.
Occorre ripensare al concetto di lavoro, a quanto il lavoro deve pesare nelle nostre vite, quanto è importante, e quanto sono importanti altri aspetti che dovrebbero essere prioritari ma vengono relegati al domani – ovvero al mai.
Dipende da te.
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Commenti
Mi devo dare una mossa :-DDD
grazie per gli articoli Gianni, riesci sempre a motivarmi.
Sì, “avevo clienti, una posizione eccetera. Potevo permettermelo”, e chi non può permetterselo? E cosa vuol dire “poterselo permettere”? xx mila euro?… Ho il brutto sospetto che per fare downshifting prima si debba fare 40 anni di “highshifting”, di tensione verso l’affermazione socio-professional-economica in questo sistema…
Ciao Davide, grazie del tuo commento.
Vecchia storia, quella del poterselo o non poterselo permettere.
La mia premessa è *sempre* che sono un ragazzo fortunato. Ma dico anche che a quel punto si arriva con un certo numero di anni di impegno e – soprattutto – di un progetto, di una direzione.
Capisco benissimo che per chi ha 25 o 30 anni oggi non è facile. Ma non si può pretendere una soluzione immediata né indolore. Un principio che trovo valido nel golf come nella vita è “pay now or pay later”.
Se io avessi 25 anni penserei al mio futuro in maniera creativa. Per esempio ad andare via dall’Italia, o quantomeno dalle città. Da me in montagna, tanto per dire, si vive con molto meno – ma a prezzo di sacrifici di vario genere, logico.
Le soluzioni ci sono insomma, ma non rapide né indolori.