Chiara Zanardelli: Mamma e professionista, si può fare?

Ho chiesto a Chiara Zanardelli, ottima traduttrice con cui lavoro da tanti anni, un pezzo su come vede lei l’equilibrio tra lavoro e famiglia. (La nozione generale è che nessuno di noi abbia idea davvero di che cosa succede, e che tutto sia sempre difficilissimo, ma che comunque tentare di definire il mondo con i propri pensieri e le proprie parole possa essere d’aiuto per sé e per gli altri.) Ecco che cosa ne è venuto fuori.

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“I want it all”. Si potrebbe sintetizzare con le parole della notissima canzone dei Queen la mia vita da quando sono libera professionista e mamma, attualmente ben lontana dalla Vita 2.0 che ha abbracciato il proprietario di questo blog. E allora perché raccontare proprio qui la mia esperienza da stakanovista-equilibrista? Per mostrare un approccio alternativo, perché ognuno può trovare la sua felicità o detto proprio con le parole di Gianni “Ciascuno, poi, troverà la sua propria via. E questo perché nessuno può insegnare alcunché a chicchessia”.

Confesso: lavoro molto più delle 25 ore settimanali di Gianni. E la mia lotta quotidiana è sempre con il tempo. Una lotta ossessiva perché vorrei far di più su tutti i fronti. Ma temo che questo sia un problema del mondo moderno. Continuiamo a correre. Ma verso un obiettivo o solo per abitudine?

Per non rischiare di correre a vuoto è importante delineare un proprio percorso. E quindi seguirlo con dedizione e organizzazione, tappa dopo tappa. Per me l’obiettivo è riuscire a conciliare famiglia e lavoro. E non crediate che sia facile solo per il fatto che non sono dipendente. I liberi professionisti tendono spesso a lavorare troppo piuttosto che poco; siamo poco inclini, soprattutto agli esordi, a dire “no”. Ci lasciamo guidare dalla paura: paura di perdere il cliente, paura di “uscire dal giro”. Quando piuttosto dovremmo temere di non fornire un servizio di qualità o di arrivare stremati alla deadline a causa di uno stress eccessivo.

Io ho scelto di dedicare gran parte dei miei pomeriggi alla famiglia. Alle 16 interrompo il lavoro e sono in “balìa” delle mie figlie tra corsi, parchi o altre attività. Alle 21,30 però mi rimetto quasi sempre alla scrivania per un altro paio di orette che mi consentono di stare al passo con il lavoro e soddisfare le esigenze dei clienti. Molti clienti capiscono, altri meno. Pazienza. Altri ancora traggono beneficio dai miei orari perché sono in grado di gestire in serata alcune piccole urgenze.

Nella mia giornata la tecnologia ha un ruolo essenziale. Da un lato mi consente di automatizzare molti processi (fatturazione, gestione di preventivi e risposte alle richieste) e di velocizzare il lavoro (CAT ma anche strumenti di gestione terminologica, sistemi di ricerca e tanto altro), dall’altro crea l’illusione di essere sempre a disposizione del cliente. Con uno smartphone in mano è possibile rispondere in tempo reale alle richieste. Se in passato essere assenti dal PC per due-tre ore in orario d’ufficio poteva comportare la perdita di interessanti opportunità (i lavori devono essere spesso assegnati in tempi brevi), oggi è possibile rispondere via email, Skype oltre che telefonicamente, indipendentemente da dove si sia o cosa si stia facendo.

Molti mi guardano come un marziano quando parlo del mio lavoro serale. E sì, non è sempre facile perché la stanchezza a fine giornata c’è per tutti. Naturalmente alla sera mi occupo delle attività più leggere, da riprendere la mattina a mente fresca. Tuttavia mi piace l’idea di potermi godere le ore pomeridiane con le mie figlie senza compromettere la mia realizzazione professionale. Un equilibrio sempre precario e perfezionabile ma che mi consente di non rinunciare a nulla come accade, loro malgrado, a molte donne lavoratrici, soprattutto in Italia. Ma questo è un altro discorso.

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