Il lavoro e la vita

In questi giorni ho sfogliato (un tempo lo leggevo con più attenzione) l’ultimo numero di Inc., e un tema – trattato da due prospettive diametralmente opposte – ha attratto il mio interesse: il rapporto tra il lavoro e il tempo al di fuori del lavoro.

Meg Cadoux Hirshberg, moglie di un imprenditore (e per questo con un’ottima prospettiva sul tema), in Sharing Gary cita Sherry Turkle, professoressa al MIT ed esperta di relazioni tra uomo e macchina, la quale sostiene che gli strumenti come i BlackBerry, insieme alla loro indubbia utilità, ci fanno pagare un prezzo psicologico notevole, perché molti tra di noi si sentono ansiosi quando sono lontani da Internet. Dice la studiosa che stiamo smarrendo l’inclinazione per la solitudine e il desiderio dell’essere nel qui e ora. Sembra che a essere semplicemente nell’attimo presente si perda qualcosa e si rimanga indietro.

Cita anche il professor Stewart Friedman e il suo corso alla Wharton School, che mette l’accento sull’essere totalmente presenti a noi stessi, qualunque cosa stiamo facendo. Per esempio, quando siamo con i nostri figli dedichiamoci a loro, senza nessun altro pensiero: anche il lavoro ne beneficerà. Il professor Friedman dice, in una intervista mooolto interessante, parlando delle persone che si sottopongono ai suoi esperimenti (gli stessi di cui parla Meg Cadoux nel suo articolo):

People are spending less time working, but they’re performing better and they’re more satisfied across the board. Now, why is that? […] It’s because they’re using their time and attention more intelligently. They’re doing more of the things that matter to them and to the people around them.

Che è, non a caso, uno dei concetti centrali di The 4-Hour Workweek.)

L’altro punto di vista è quello di un imprenditore californiano, Jerry Gonzalez, cui un paio di anni fa fu diagnosticato un cancro (ora risolto). Si legge nell’articolo:

Many survivors report that illness changed their lives in a stop-and-smell-the-roses way. If anything, Gonzalez is more driven than ever. “What gets to me is the knowledge it could come back,” he says. “So I’ll spend that extra hour in the office. Because if it does come back, at least I’ll have done what I set out to do.”

Io, però, non capisco: chi in punto di morte vorrebbe aver passato più ore in ufficio?

29/07/2009 Aggiungi commento

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