Renato Beninatto, da poco tornato dalla parte degli LSP (bem-vindo!), scrive un articolo degno di nota sull’ultimo numero di MultiLingual. L’impressione che ha, dice, è che c’è molta poca innovazione nell’industria della traduzione. (Come dargli torto? Personalmente avverto netta l’esigenza di sfide intellettuali nuove, soprattutto per via della ripetitività degli incarichi che incontro.)
Tre, secondo lui, sono i dogmi che hanno finora impedito il progresso nel nostro settore:
– le memorie di traduzione sono un asset;
– la revisione migliora la qualità;
– meno traduttori danno un risultato più omogeneo.
Concordo anche sul primo (argomento creato per vendere CAT, i quali però hanno valore solo quando la memoria esiste già e solo nella misura in cui un traduttore li sa usare) e sul terzo (con una buona automatizzazione dei processi – cosa che oggi è alla portata di qualunque budget – è preferibile usare diversi traduttori bravi piuttosto che un solo superesperto per ottenere traduzioni più veloci e, tutto considerato, meno care), ma è il secondo di questi punti quello che credo più interessante per l’industria della traduzione nel suo complesso.
È un tema di cui si occupa da un paio di anni almeno; e ricordo il suo affollatissimo seminario alla conferenza ATA del 2007. In sostanza, dice Renato, più passaggi in una traduzione aumentano, non diminuiscono, la probabilità di errore. La soluzione consiste nel trovare le risorse migliori che facciano il lavoro giusto da subito. O, per usare le sue parole,
Focusing on doing things right the first time, companies can eliminate the editing stage. Total quality is knowing what needs to be done, having the means to do it, then doing it right the first time, every time.
Da segnalare anche questa intervista in cui espande i medesimi temi.
Lascia un commento