Perché i traduttori in Italia sono troppi ma i traduttori qualificati, quelli che costituiscono il cosiddetto premium market, non sono abbastanza?
(Storia vecchia, peraltro. È una sorta di segreto di Pulcinella, e in due parole dice che chi fa bene viene premiato. Condisci la storia come vuoi, ma alla fine è tutta lì.)
In generale, la domanda di traduzione è in aumento. Secondo IBM, il 90% dei dati esistenti oggi è stato creato negli ultimi due anni.
In un mercato da 31,4 miliardi di dollari (di cui – stima mia – un miliardo di euro imputabile all’Italia) le opportunità abbondano, e come sempre sopravvive chi meglio si adatta al cambiamento.
Che cosa significa questo, per un singolo traduttore? I CAT sono diventati talmente onnipresenti e necessari da essere scontati. Idealmente un traduttore dovrebbe conoscere – e fattivamente usare – i principali.
Marco Cevoli aveva preparato un documento interessante, una tavola di comparazione tra i vari CAT. Ovviamente questi dati invecchiano in fretta: per esempio in questo file, che risale a sei mesi fa, memoQ è dato a 149 euro, mentre il prezzo corrente è oggi di 620 euro. Ma insomma è utile per farsi un’idea. L’articolo di riferimento è qui.
Sempre Marco, col collega Sergio Alasia, due professionisti italiani “prestati” alla Spagna, ha scritto un manuale tecnico dedicato a OmegaT, CAT gratuito e open source (qui i dettagli).
È un mondo in fermento, quello della traduzione. Sono tempi interessanti. Forse l’iperspecializzazione non è la risposta (la sconsiglia, per esempio, Nassim Taleb), ma chi è al passo con i tempi e sa cogliere le tendenze del mercato non rimarrà senza lavoro.
(E il cerchio, come sempre, si chiude.)
Commenti
Prima di Marco Cevoli, molto prima, fu Bruno Ciola a preparare una tabella comparativa e molto completa.
Oggi è un esercizio pressoché sterile, essendo le tecnologie alla base dei cosiddetti strumenti CAT definitivamente obsolete. Gli unici prodotti che vanno davvero avanti sono memoQ e quelli collaborativi (in particolare Memsource).
Quello su cui si dovrebbe riflettere è la pretesa che molti LSP rivolgono ai loro “collaboratori” di lavorare con uno strumento specifico. Avete mai pensato a cosa vi risponderebbero un falegname o un idraulico se chiedeste loro di usare gli strumenti di vostro gradimento e, per di più, di comprarseli? Se non vi piace il paragone con gli artigiani, provate a pensare a un pittore o a un dentista…
Quanto al “translation shortage” invito a leggere l’ultimo post di Don De Palma (http://bit.ly/Jieghf): “Executives at language service providers (LSPs) regularly tell us they cannot find enough qualified language specialists to meet their needs. […] LSP respondents complained about not being able to find enough staff to do the job”. È la solita vecchia storia, tanto vecchia che quelli che erano sul mercato prima di me, e io ci sono da 30 anni, dicevano di sentirla che erano giovani… Ma non ho mai visto un “imprenditore” impegnarsi direttamente per formare quelle che chiama pomposamente le sue “risorse”, né mostrarsi disposto a pagarle per quello che valgono: tutti, ma proprio tutti, nessuno escluso, micragnosi morti di fame desiderosi solo di far nozze coi fichi secchi.
Quanto a Taleb, preferisco Florence Noiville. Almeno ha avuto il buon gusto di vergognarsi.
Ogni imprenditore ha il mercato che merita (e che contribuisce a fare) e ogni mercato ha gli operatori che merita.
A me quell’esercizio non pare sterile. È vero che i CAT sono teoricamente superati, ma è altrettanto vero che in teoria la teoria e la pratica sono la stessa cosa, mentre in pratica non è così.
Case in point che cito a memoria: quando si introdussero i DVD sul mercato, le videocassette erano teoricamente morte. Ma in quell’anno (che non ricordo) si vendettero 1 milione di DVD e 15 milioni di VHS: la tecnologia che stava dietro alle videocassette era ovviamente morta, ma di fatto le vendite prosperavano. Insomma ci vollero degli anni perché la teoria divenisse pratica, che credo sia la stessa cosa che capita oggi con i CAT.
E quindi per un traduttore avere una panoramica dei vari strumenti può essere utile.
Riguardo agli imprenditori: non è che butti via il bambino con l’acqua sporca in questa maniera? Possibile che tu non conosca *nessun* imprenditore in questo settore che investa nelle risorse?
Gli strumenti CAT sono tecnicamente, oltre che teoricamente, obsoleti. Le poche innovazioni possibili riguardano le modalità di confronto dei segmenti, ma sono dovute a raffinamenti dovuti alla capacità consolidata di usare i DBMS. Alcuni progettisti e sviluppatori, come i ragazzi Kilgray, hanno più benzina di altri.
La storia è uguale a quella degli LSP: se vuoi crescere, devi investire, innanzitutto in risorse pregiate, anche correndo il rischio (che fa parte dell’essere imprenditore) di vedertele soffiare da un concorrente (ma anche no) che offra loro di più. È per questo che ci sono strumenti ben noti e un tempo apprezzati rimasti al palo, vuoi perché figli di un solo uomo che non ha lasciato “eredi”, o perché “asset” acquisiti da aziende che intendono spremere il mercato che si è costituito intorno ad essi come un limone.
A proposito, questo mercato si è costituito innanzitutto per l’insipienza di certi “imprenditori” appecoronatisi ai diktat dei grandi MLV che hanno preferito allungare le filiere anziché distinguersi.
Gli stessi “imprenditori” e (sedicenti) “professionisti” sono quelli che cercano in tutti i modi di riciclarsi (magari perché incapaci di sostenersi) sfruttando i colleghi vendendo loro formazione, spesso agendo da intermediari (timorosi, ça va sans dire), mettendo su programmi raccogliticci e con poca o punto esperienza di progettazione e programmazione didattica.
Quindi, no, non conosco nessun imprenditore in questo settore che investa nelle risorse, vuoi perché preferisce sempre il prezzo più basso anche per coppie di difficile reperibilità o perché magari non si sforza nemmeno di comprare qualche licenza da affidare, temporaneamente ai suoi “preziosi collaboratori”.
Quelli che lo fanno o lo hanno fatto o non sono più nel settore o ne stanno uscendo, ovvero sono dipendenti di questi “imprenditori” che, da loro, esigono, ovviamente gratis, proprio quei comportamenti che non adotterebbero mai. Perché “antieconomici”.
Ottimi spunti (come al solito), grazie Luigi. Solo qualche commento a seguire.
Le filiere troppo lunghe: io mi sono trovato in mezzo a tali filiere in diversi casi, ma se riesco a ricavare un profitto dall’attività perché non dovrei farlo? Mi viene in mente non so più quale nostro primo ministro che una quindicina di anni fa disse che gli imprenditori erano troppo avidi, e che invece avrebbero dovuto rinunciare a parte dei loro guadagni (discorso populista che fa presa ma non sta in piedi).
La formazione: di altri non posso dire, ma ho ricevuto e ricevo numerose testimonianze fattive che quel che dico (venendo pagato per farlo) risulta utile, porta del valore. Allora non penso affatto che quel che faccio sia un riciclare conoscenze, ma piuttosto metterle a disposizione di chi è interessato a sentirle. (Io stesso continuo a investire nella mia formazione e non solo nel lavoro, ma non penso nemmeno per un momento che i miei maestri si siano riciclati per non saper fare il loro mestiere.)
Le risorse: non più tardi di una settimana fa ho comprato una licenza di un CAT per una traduttrice, perché so che quel che fa per T&t ha un valore enorme, e quel piccolo gesto è una maniera semplice di dire grazie e nello stesso tempo per rafforzare un rapporto di lavoro.
I prezzi bassi: spesso sono una scusa perché non si sa negoziare. Qui il discorso si allarga molto, ma alla fine quel che vedo io è che ai clienti il prezzo importa in maniera relativa (quarto fattore di scelta nella mente dei clienti secondo una famosa ricerca di CSA, http://tinyurl.com/dyy3qoz).
Gli imprenditori sono troppo avidi; appena oggi ne ho avuto conferma: un ricarico dell’80% per costi di intermediazione è ladrocinio; se non puoi ridurlo, vuoi dire che sei un incapace, almeno dal punto di vista gestionale. Se poi pensi di ridurlo limando i costi di manodopera (non del lavoro, visto che in questo settore non ce ne sono), va bene, ma non venire a farmi sermoni.
Capitolo formazione: io ho lasciato la professione per insegnare, mentre vedo un sacco di gente che si dà alla formazione perché diversamente non metterebbe insieme il pranzo con la cena, ma non sa nemmeno come si predispone un programma. In questo caso non è nemmeno necessario che faccia nomi e cognomi.
Capitolo licenze: se vuoi che usi i tuoi strumenti, offrirmeli non è un contentino, è un dovere. E devi offrirmi anche la relativa formazione, ovvero il tempo per imparare a usarli. Non mi fai lavorare? Ciccia! La verità è che come ci sono gli “imprenditori” avidi e senza scrupoli che allungano le filiere perché pensano di poter trovare un traduttore a poco e di garantirsi un margine, ma non sarebbero in grado di offrire altro oltre questa “ricerca”, ci sono “professionisti” ossessionati dal dover prendere qualsiasi cosa a qualsiasi prezzo. Ognuno ha il mercato che si merita (perché contribuisce a farlo) e ogni mercato ha gli operatori che si merita.
Capitolo negoziale: uno che conosci mi ha detto giorni fa che non avrebbe nemmeno provato a rivolgersi a una traduttrice molto in gamba perché non avrebbe potuto permettersi di pagarle quanto avrebbe chiesto. Significa che non avrebbe nemmeno provato a negoziare e che, 10:1, non lo ha fatto nemmeno con il grosso MLV per il quale stava effettuando la ricerca.
Perdonami Luigi, ma in base a che cosa affermi che “un ricarico dell’80% per costi di intermediazione è ladrocinio”? Per me è un ricarico alto ma assolutamente non fuori dalla normalità, ma non per questo mi sento un incapace, un profittatore ecc.
Sulla formazione non so, io parlo per me: io credo che sia un’attività preziosa e che porti del valore – almeno i feedback che ricevo dicono questo.
Sulle licenze: un dovere perché? Chi lo dice?
Lucro: un ricarico dell’80% sulla sola intermediazione di lavoro è un furto, per diverse ragioni. In primis perché non comporta valore aggiunto, come credevo di aver già spiegato. In secundis perché se non riesci diversamente a coprire i tuoi costi, vuol dire che il tuo “overhead” è eccessivo e che dovresti lavorare prima su quello. Quindi perché il servizio è ormai commodizzato e questo significa che per garantirsi quei margini devi lucrare sul compenso alle tue “risorse”, che diventano tali solo perché senza non sapresti dove sbattere la testa. Una delle ragioni per cui i compensi non sono calati ancora negli ultimi tre anni e c’è qualche timido segnale di risalita è perché l’insoddisfazione tra i clienti è crescente. Peraltro, restano da ridere le pretese di troppi LSP che vorrebbero lavorare solo con autentici “mostri”, ma non sono disposti a pagarli per le competenze che esigono da loro.
Formazione: anch’io parlo per me. Io ho quasi abbandonato la professione per dedicarmi all’insegnamento; quando coordinavo il Gruppo L10N operavamo esclusivamente sulla base del recupero dei costi; non mi offro ai colleghi, con la pretesa di saperne più di loro e, se mi chiedono di tenere una giornata di formazione, lo faccio su cose che conosco bene e/o della cui efficacia posso testimoniare in prima persona. Non tengo sermoni, mi limito, quando ho spunti e argomenti, a proporre analisi. Se fossi un imprenditore, curerei innanzitutto la formazione dei miei collaboratori e non chiederei un compenso per quella.
Licenze: prova a chiedere al tuo falegname di usare solo gli strumenti che dici tu per farti un tavolino; ammesso e non concesso che non ti ci mandi, ti chiederà di procurarglieli, dopo di che, ritarderà del tempo necessario a impratichircisi e, infine, se il tavolino dovesse essere una schifezza, ti dirà che con quegli strumenti non era possibile fare di meglio. Ergo, è meglio lasciarlo lavorare con i suoi strumenti. Non basta l’esempio? Prova a chiedere al tuo dentista di praticarti una cura canalare usando gli strumenti che dici tu. Pensi che si direbbe disponibile a comprarli e, eventualmente, a non addebitartene il costo? E tu pensi di essere disponibile a pagare per un trapano a turbina e tutto il resto? Falegname e dentista hanno già investito sui loro strumenti e la formazione associata e il primo ad avere la pretesa di trattare con “professionisti” sei tu. Ergo, se pretendi di imporre loro i tuoi strumenti hai il dovere etico, prima che pratico, di offrirli gratuitamente a loro ovvero assumerti l’onere dell’acquisto e della formazione. Puoi scegliere, ovviamente, solo i collaboratori che si servono di determinati strumenti, ma poi devi accettarne le conseguenze. A cominciare dallo “shortage”, perché io per primo mi rifiuto di acquistare e usare un prodotto che costa troppo, non è sufficientemente flessibile, è instabile, chiuso e di difficile integrazione e ne preferisco uno che costi anche solo un po’ di meno, ma sia sempre allo stato dell’arte, estremamente versatile, pienamente aderente agli standard, stabile, ben supportato e non invasivo. Perché sono un professionista (senza virgolette) e faccio scelte consapevoli.
“In primis perché non comporta valore aggiunto”: che cosa significa, che un’agenzia è un venditore di scatole? Lo comporta, e come!
“Puoi scegliere, ovviamente, solo i collaboratori che si servono di determinati strumenti”: che in effetti è quel che capita (a me, almeno) in diversi casi.
“ma poi devi accettarne le conseguenze. A cominciare dallo ‘shortage’”: esatto, è una conseguenza che accetto.
Forse è il caso che torni a rileggere quello che hai scritto sulle agenzie (in special modo le mom&pop) nel tuo secondo libro.
Ed è il caso che rilegga anche quello che hai letto in questo post (“I CAT sono diventati talmente onnipresenti e necessari da essere scontati. Idealmente un traduttore dovrebbe conoscere – e fattivamente usare – i principali”): benissimo, quanto vale un professionista di rango di tal fatta? Provo… € 0,06/parola?
E ancora: lo “shortage” è una conseguenza che accetti? “Perché i traduttori in Italia sono troppi ma i traduttori qualificati, quelli che costituiscono il cosiddetto premium market, non sono abbastanza?” Perché non vengono pagati abbastanza, e vale la legge di Gresham: la moneta cattiva scaccia quella buona. Ovvero: questi operatori hanno il mercato, e le risorse, che meritano; per quello che hanno fatto del loro mercato.
In poche parole sono io che non so leggere! 🙂
Il mio lavoro aggiunge valore. E questo è un fatto, non un’opinione.
Io, personalmente, applico i ricarichi che il mercato mi consente. Ci sono arrivato con prove ed errori, e oggi il sistema funziona. Ed tutto è fatto nel pieno rispetto sia dei traduttori che dei clienti.
Sei centesimi a parola è una cifra come un’altra. Può essere poco o tanto a seconda del lavoro, della lingua, dell’urgenza eccetera, ma in sé non significa molto.
Non credo tu non sappia leggere. Forse con l’età ti si sono accorciate la vista e la memoria… 😀
Domanda: il tuo valore vale l’80% di quello di una tua “risorsa”? O, piuttosto, vale meno, ma quel ricarico ti permette di sentirti… alla pari?
€ 0,06 a parola non è un numero come un altro. Dipende dalla base negoziale. Un professionista come quelli di cui si parla vale molto di più. € 0,06 a parole fanno, per la maggior parte dei professionisti esperti, nel proprio settore di competenza, meno di € 40,00 l’ora lordi. A parità di studi, un dentista chiede tre volte tanto almeno. A parità di esperienza, un falegname fa altrettanto. Ed entrambi conoscono gli strumenti del loro lavoro, almeno i “principali”. Il primo dovrebbe tenersi costantemente aggiornato, il secondo forse no. Entrambi dovrebbero pagare le tasse, ma forse no. Un professionista della traduzione (non un doppiolavorista per il quale € 0,06 sono una paga regale), non può sfuggire al fisco, deve aggiornarsi e aggiornare i suoi strumenti. E deve vivere, magari. Per un professionista della traduzione di quelli “qualificati, quelli che costituiscono il cosiddetto premium market”, € 0,06 a parola (o € 40,00 l’ora) non sono commisurati al sacrificio di anni di studio e di gavetta. Se ne ha fatti, ovviamente, ma se è qualificato, dovrebbe. Si può lavorare a € 0,01 a parola, con determinati strumenti e modalità, sulla base di determinate specifiche, e lo sappiamo entrambi, ma allora il discorso cambia. Completamente. Perché cambiano le premesse, che non sono quelle con cui hai cominciato. E certi discorsi finiscono con il sapere di chiacchiere, o di sermoni. Anche un po’ vuoti e ipocriti.
Luigi, stai confondendo i piani.
1. Dal punto di vista del traduttore, io credo che saper negoziare serva a ottenere di più o, ciò che è lo stesso, a lavorare di meno a parità di guadagni. Questo è ciò che incoraggio a fare: lo faccio con chiunque, quando se ne presenta l’occasione, e – ovviamente – in special modo durante le giornate di formazione. Alla base di questo discorso c’è il fatto che un traduttore più consapevole è un bene per se stesso e nello stesso tempo per la categoria intera.
2. I miei ricarichi sono ricarichi miei, ovvero quelli che il mercato mi consente e che – a mio giudizio, basato su questi anni di pratica – massimizzano la funzione utilità di Tesi & testi. Non c’è nulla di discutibile o moralmente sbagliato in questo.
Poi, se capisco bene, mi dici che i miei discorsi sanno di chiacchiere e sermoni (vuoti e ipocriti, per giunta). È il tuo punto di vista, e sia. Io non devo convincere nessuno né vendere alcunché a chicchessia, ma dico quello che penso. E se queste chiacchiere e sermoni servono e vengono apprezzati, allora direi che l’obiettivo è raggiunto.
No, Gianni, non sono io a confondere i piani, ma tu a rivoltare la frittata. 🙂
Negoziare serve a poco se le premesse sono quelle che hai posto in cima al post e le conclusioni quelle cui sei giunto nella tua risposta precedente.
Quanto ai ricarichi, non ne faccio una questione di morale. L’avidità in se stessa mi fa orrore, ma è umana. Come umana è l’ipocrisia che porta a fare sermoni. Invito solo a una maggiore onestà intellettuale. In fondo, è esattamente quello che manca in questa industria, come in tante altre.
Chiacchiere e sermoni c’è chi li apprezza e chi no. Io no, e lo dico, apertis verbis. Da quelli che li apprezzano e magari fingono, altrettanto ipocritamente, di non cogliere l’ipocrisia, come sai, cerco di tenermi a distanza. E non faccio a meno di far notare che questo “apprezzamento” è controproducente, innanzitutto per loro. Tuttavia, giacché siam tutti adulti…
La differenza, con loro, è questa: non censuro nessuno, tanto meno me stesso; non piagnucolo; non mi riciclo a spese dei colleghi; non forzo nessuno a diventare mio seguace, magari iscrivendolo, a sua insaputa, in un gruppo Facebook. E mi fermo qui, stavolta.
Dunque, solo perché sia chiaro:
1) i traduttori che costituiscono il premium market *sanno* negoziare, e questo perché la capacità di negoziare è una degli asset necessari per prosperare nel mondo del lavoro;
2) ho 3mila difetti and counting, ma non credo di essere avido né ipocrita.
[…] un professionista della traduzione qualificato, di quelli che costituiscono il cosiddetto premium market, il compenso deve essere commisurato al sacrificio imposto da anni di studio e di “gavetta”. Si […]
[…] e il tasso di disoccupazione del paese corrispondente. A dispetto, quindi, di quanto vorrebbero alcuni, forse l’iperspecializzazione è davvero la risposta, anche se basterebbe il fatto che a […]