Piovaschi


Ieri sera mi sono seduto di fronte a queste montagne che han fatto il mio corpo, imbruniva e io guardavo piovere.

Quel che succede all’esterno, quel che succede laggiù, in città, non ha molta importanza. Non è molto più di un rumore di fondo quel che arriva quassù.

Quel che succede dentro di me sì.

La mia realtà è fatta di cose minime, probabilmente insignificanti ad un occhio esterno. Tutto questo non vuol dire molto. Più passa il tempo e più mi accorgo di come la realtà e la mia realtà sono due entità assolutamente distinte. A volte si toccano, più spesso no – e va bene così.

Il tempo non è più un problema, il tempo è liberato e quindi libero. Le cose che contano sono ormai poche: ad esempio pensare, esplorare, guardare piovere.

Commenti

Ylenia ha detto:

Che belle parole che hai scritto. Anche la mia realtà interna è profondamente distinta e diversa da quella esterna, il rumore della città, della società. In città ormai solo brutte notizie, la nostra società efficientista sta stritolando sempre di più le persone fragili. Chi ha la buccia “dura” riesce a reggere e ad adeguarsi a tutte le follie che il sistema ci richiede, anzi viene incredibilmente premiato dal sistema, i fragili stanno soccombendo. Io mi sento sempre più estranea da questo e penso come te che le cose che contano sono ormai poche, quelle che hai elencato mi rappresentano molto.

Faccio però sempre più fatica ad essere in sintonia con il mondo esterno che invece tira dritto per conto suo ad una velocità forsennata travolgendo tutti, anche le vacanze diventano un incubo se devi farle quando scelgono gli altri, se devi prenotare quando ci vanno tutti, se non puoi avere nessun tipo di libertà. Ciao!

giannidavico ha detto:

Ti capisco bene Ylenia, anch’io mi sento confuso; però mi sembra che la vera libertà è quella interiore, e quel che succede al di fuori di noi certamente ci condiziona, ma sta a noi non farcene vincolare più di tanto.

silvia giancola ha detto:

Caro Gianni,

leggendo i tuoi post mi accorgo sempre più di quanta saggezza contengono le tue parole. Riesci a sintetizzare in poche righe enormi e possenti concetti che albergano nella mia mente, ma spesso sono seppelliti da strati e strati, se non cumuli, di polverosa quotidianità, che spesso rende difficile respirare quell’aria che troverei poco più in alto se solo riuscissi a fare piazza pulita di molte inutilità. In questi giorni di calma lavorativa sto cercando di mettere in atto manovre di “pulizia”, iniziando da quella spicciola, domestica. A ben guardare è la prima delle mie trappole: una casa piccola ma piena di tante cose che non servono, non servivano forse nemmeno quando le abbiamo comperate o ricevute, figuriamoci ora. Eppure già vedere in casa un po’ di spazio in più per vivere mi consente di dilatare la mente, di sentirmi meno oppressa, sembra banale, ma qualche piccolo sforzo per riconoscere alcuni oggetti come rifiuti, non necessari e quindi impedimenti aiuta a sentirsi meglio. E in un certo senso liberare spazio in casa equivale a liberare spazio interiore. Il tuo amore per la campagna, per il suo ritmo, i suoi profumi, la dolcezza dei paesaggi è pienamente condiviso. Hai ragione, ha la duplice caratteristica di essere un territorio dell’amima e al tempo stesso un territorio della vita, che aspetta il nostro ritorno (mi riallaccio al post d questa settimana), un nuovo ripopolamento da parte di creature umane tecnologiche sì, ma altrettanto desiderose di recuperare una sintonia perduta con la natura, impossibile da realizzare nelle città, luoghi inospitali e stressanti. Sul piatto della bialncia cosa può rendere la nostra vita migliore? L’affanno urbano o il profumo della mentuccia?

un caro saluto,
silvia

giannidavico ha detto:

Sì Silvia, per me è matematico che i prossimi anni vedano un ritorno a luoghi come questi. Troppo rumore, troppa confusione, troppi costi e troppa inutilità popolano gli spazi urbani.

La vita lassù in montagna non è semplice, va pensata e organizzata, ma è a eoni di distanza rispetto a quel che accade in città. Non vedo (più) in beneficio dello stare ammassati.

Certo, io non sono – anagraficamente! 🙂 – più giovane e questo ha il suo peso, ma insomma la mia prima casa non è più questo ex orfanotrofio ed ex convento di fine Cinquecento, dimora storica che “appartiene” (se così si può dire di un edificio) alla mia famiglia dal 1920 ma quella casa normalissima, che odora di storia minima di gente perduta (di cui nessuno ha più memoria) in mezzo ai boschi lassù, nelle montagne sopra Cuneo.

Non c’è partita.

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