Ecco, ieri ero nel mio rifugio tra i monti e mi sono abbandonato alle sensazioni, ho lasciato che permeassero il mio corpo e il mio spirito.
Prima di tutto, mi è stato chiaro lo scorrere del tempo. Avevo dentro di me le voci e i colori di quand’ero bambino, le voci di chi non c’è più, il suono di una radio, d’estate; e davanti a me gli stessi colori della montagna di tanti lustri fa. Mi sono sentito fortunato e un po’ malinconico, mi era chiaro che lì come dovunque sono semplicemente un ospite temporaneo, e come ospite devo essere gentile ed educato con tutti.
A tratti soffiava un vento caldo, e mi riempiva la faccia e i polmoni.
Ho guardato quella casa, “casa mia”, ho guardato quelle montagne innevate e quei prati slavati: tutte le preoccupazioni, come d’incanto, svanivano. Ho pensato che quel luogo sarà per sempre il mio rifugio, il luogo dove i mali del mondo non potranno raggiungermi. (Be’, starò male anche lì, è chiaro, ma quel luogo sarà sempre un lenimento per l’anima.)
Ho pensato, riprendendo parole che mi sono tanto care, quelle di Stefano Tomassini riguardo alla Corsica, che le mie figlie le ho fregate comunque: perché loro non potranno mai fare finta che quel luogo non esista. Potranno odiarlo oppure amarlo ma non ignorarlo, no.
Mi sentivo in pace con me, il che ultimamente mi capita solo in due luoghi molto specifici (lassù e in campo pratica). Ecco, allora ho pensato che questa pace – che da dentro di me si rifletteva in tutto lo spazio circostante, quasi un leopardiano infinito – non ha prezzo, e che la fortuna di poterla ritrovare a poco più di un’ora di macchina è la mia gran risorsa, l’uscio che ho conservato per uscire quando niente nel mio mondo quadra.
Lassù, insomma, i giorni dispari divengono giorni pari; e il cerchio si chiude.
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