Per chiudere un cerchio

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Venerdì, quando il traghetto si è staccato dal porto di Calvi, il tempo era nuvoloso. Lasciare la mia patria seconda senza il sole è forse un commiato un po’ più semplice.

Quest’anno le mie giornate – numericamente brevi, perché le finanze sono quel che sono – sono state quasi sempre divise in maniera equanime: mattino al mare e pomeriggio a esplorare. Potevano essere sentieri – sentieri soprattutto –, oppure file di paesoli abbarbicati, assolati e silenziosi (di fatto mai sul mare, perché la Corsica è la montagna in mezzo al mare, ciò che vuol dire che è innanzitutto montagna – Mausoleo essendo quello che più mi è rimasto dentro), o anche golf.

Sentire, semplicemente sentire il fascino che questa terra esercita su di me. L’attrazione non resistibile.

Paesaggire, come avrebbe detto Zanzotto citato da Paolini. La paesologia arminiana esiste anche in Corsica.

Cominciare a immaginare il libro che prima o poi scriverò, e che si intitolerà Mal di Corsica. (Perché il mal di Corsica esiste, anche questo è un fatto.)

Pensare a questi cerchi che si aprono e si chiudono, alle partenze e ai ritorni, immaginare i ritorni come partenze e viceversa.

Sei stato felice, Giovanni, in quella terra. Non stiamo parlando di cose piccole.

Commenti

sabina ha detto:

Mi ha messo i brividi, questo post, non solo per il settembre che si è affacciato qui da noi. È più l’idea dei cerchi e dei ritorni, miei e di chi amo, cambiati, impolverati e più grandi, che non è sempre bello.

Andrea Tuveri ha detto:

A un certo punto non potrai resistere e sceglierai un posto in cui vivere, fuori città. Solo, non si sa quando!

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