#ER16

estate
Abbiamo fatto la pazzia, e la responsabilità è innanzitutto mia.

Tutto trae origine da un pensiero: vedere mia figlia piccola così spensieratamente bambina, innocente e felice nei suoi giochi (“La vita è fatta solo di giochi”, ha detto alla mamma non più tardi di un mese fa), e capire, sapere che è al limitare dell’infanzia, che questa sarà forse l’ultima sua estate di bambina; e allora cercare di fermare il tempo, e fermarlo io so che si può solo mirando a viverlo nella sua pienezza intera, nel suo andare, nel suo flusso naturale, con l’idea (forse infantile, e certamente ingenua) che tutto questo contribuirà a rinforzare i miei ricordi di lei quando bambina non sarà più.

Allora abbiamo invitato nel nostro rifugio tra i monti la sua classe intera, per una settimana che è quasi qui. Ed è stato un successone di adesioni: nella prima settimana di luglio saremo in compagnia di ventidue diconsi ventidue bambini scorrazzanti, urlanti, ridenti, felici intorno a noi.

Bambini felici.

Ecco, alla fine delle fini mi sembra che essere genitore sia questo. Cioè mi sembra che in accadimenti come questi sia nascosta una risposta – provvisoria e parziale, per carità – al motivo per cui esistiamo.

(Già, quella notte in cui nacque Roberta capii – intuii, forse, è più preciso – che attraverso quell’angelo di respiro e sangue sarei diventato immortale.)

Sarà una settimana superimpegnativa, ma dove c’è gusto non c’è perdenza. Ne parlerò ancora più di una volta, è sicuro. Ma insomma oggi volevo fissare in questo diario questa idea, rendere chiaro anche a me stesso che fare delle pazzie, a volte, vuol dire esser vivi.

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