Ho conosciuto Sabrina Tursi per caso. Abbiamo iniziato a parlare di progetti comuni, che sperabilmente avranno sviluppi di cui darò conto a breve.
Per intanto segnalo un seminario organizzato da lei, che si terrà a Milano il 12 febbraio: Gli adempimenti fiscali del traduttore/interprete professionale. Qui c’è il programma completo.
E lo segnalo perché tradizionalmente i traduttori non hanno (in genere) un buon rapporto con i numeri. E invece essere traduttori vuol dire essere imprenditori; ed essere imprenditori vuol dire capire i numeri, amarli anche, comunque rispettarli. Allora sapere quali sono le strade che si possono percorrere per dare alla propria micro-impresa un senso (in buona sostanza, per non lasciare sul tavolo più soldi del necessario) è importante, anzi fondamentale. E questo seminario va precisamente in quella direzione.
Tra l’altro, l’educazione ai numeri parte da lontano, idealmente dai nostri figli, come ci segnala magistralmente Cameron Herold in questa presentazione al TED.
Altro punto debole, di cui non mi stancherò mai di parlare: il marketing. Il marketing (meglio, il soft marketing) non concerne i numeri ma fa parte di quei requisiti estranei alla professione in senso stretto ma assolutamente necessari per esserne dei vincenti.
E aggiungo che, soprattutto in tempi di cosiddetta crisi, investire in formazione è una delle mosse più sagge che si possano fare pensando al futuro a medio e lungo termine della propria micro-impresa – dunque di se stessi.
Quindi ben vengano opportunità come questa: più il traduttore vedrà se stesso come un professionista completo, in grado di offrire soluzioni e non “semplici” traduzioni, più il servizio fornito verrà percepito come fondamentale. Un’industria che diventa adulta è un bene prezioso per tutti.
Commenti
Quella segnalata a me non sembra formazione, ma aggiornamento, tutt’al più istruzione, anche se la sola idea di “traduttore/interprete-artigiano” (anziché artista) potrebbe essere considerata rivoluzionaria. La distinzione mi appare d’obbligo proprio perché l’istruzione è di fatto obbligatoria per condurre un’attività e l’aggiornamento ne è conseguenza, mentre la formazione produce arricchimento.
Inoltre, proprio perché la formazione costa, è un investimento che va pianificato, mentre l’istruzione dovrebbe addirittura precedere l’avvio di un’attività o seguirlo immeddiatamente e rimanere dappresso ad essa.
L’istruzione è “strategica” e la formazione “tattica”. Per questo, investire in formazione in tempi di crisi, ancorché consueto, non è saggio, almeno se lo si fa solo allora, senza contare che impegnare risorse, in tempi di crisi, può voler dire esporsi a rischi.
Ecco quindi che l’istruzione “fiscale”, al pari di altra analoga, dovrebbe far parte del percorso didattico di base del professionista ed è triste che si concentri su aspetti immanenti. Piuttosto bisognerebbe affrontare temi di metodo, e spero che prima o poi ci si arrivi.
Infine, giorni fa, su FB, ho proposto alcuni quesiti al riguardo che, se non avessi sospeso la pubblicazione del blog avrei posto lì: “come si valuta la formazione? In base a ciò che si è in grado di dire di aver imparato, o in base a ciò che si è davvero imparato? Oppure in base a quanto si è apprezzato il docente, indipendentemente dal programma, dal sua adeguatezza e dall’efficacia dell’insegnamento? E come si valuta ciò che si è appreso e, soprattutto, se si è davvero appreso qualcosa?”
Per me la formazione (o come la vogliamo chiamare) deve essere continua. In tempo di crisi è più interessante perché permette di avere strumenti in più quando la cosiddetta crisi finisce. E quanto ai rischi il discorso è molto più generale: scegliere di non rischiare è l’unico vero pericolo che incombe su di noi.
Cercherò di spiegarmi meglio. Se si sceglie di fare formazione solo in tempi di crisi, si rischia di sbagliare, e di parecchio. Si rischia, innanzitutto, di scegliere i programmi sbagliati, perché non si sa cosa ci sarà dopo la crisi e si rischia di spendere troppo perché, di conseguenza, non si sa se le scelte pagheranno. La formazione va pianificata e non va abbandonata per via della crisi. Si può rimodularla, ma senza stravolgerla, mantenendo gli obiettivi originali. Se la crisi porta a ritenere che quegli obiettivi non sono più perseguibili forse erano sbagliati anche prima, ma in questo caso vanno modificati senza tener conto della crisi, ma più in generale degli obiettivi di business. Spero di essermi spiegato meglio.
Ma infatti per me la formazione non ha nulla ha che vedere con la crisi, è – in una parola – continua.
[…] This post was mentioned on Twitter by Laura Dossena, Gianni Davico. Gianni Davico said: Formazione per traduttori (Milano, 12 febbraio 2011): https://giannidavico.it/brainfood/?p=610 (grazie a @SabrinaTursi) […]
un problema che “fortunatamente” al momento non mi assilla (traduttore in-house dipendente), ma che prima o poi mi si presenterà. sembra interessante.
Penso che la situazione sia semplicemente questa: in tempi di “cosiddetta crisi” i liberi professionisti senza un chiaro piano aziendale/professionale (quelli che corrono dietro ai lavori urgenti, ma non sempre importanti ai fini della propria carriera, per intenderci), si ritrovano con più tempo libero. E’ verissimo che investire questo tempo in formazione è per molti una scelta contingente, ma in ogni caso – e nonostante tutto – può rivelarsi azzeccata, poiché permette di acquisire conoscenze che in altri tempi non si sarebbe mai pensato di acquisire. Il rischio finanziario è in genere talmente basso che non rappresenta un vero problema (a meno che uno non s’imbarchi in un Master da migliaia di euro, ovviamente).
Un saluto e complimenti per il blog. 🙂
Ciao Gianni
tanti complimenti per il sito.
Da traduttrice “precaria” interessata a specializzarmi nel settore sarei interessata a partecipare a questo corso in una prossima edizione. Mi fai sapere se è previsto a milano quest’autunno?
grazie
Lucia
Grazie per il tuo interessamento, Lucia. La prossima edizione sarà a Torino a inizio dicembre; e poi Milano, perché no?