Que será será

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La settimana scorsa, al termine di una lunga e piacevole chiacchierata con un amico che da virtuale è diventato in carne e ossa, lui mi ha chiesto quando sarebbe uscito il mio prossimo libro. Io sono rimasto un po’ spiazzato – è una domanda che non mi sentivo rivolgere da tantissimo tempo –, e gli ho risposto che per ora non è in previsione, e che forse lo spazio occupato dai blog va a riempire quel mio bisogno di condividere delle esperienze.

Ho continuato a pensarci per i giorni successivi però, e ho concluso che se questo è certamente vero la questione è comunque più complessa.

Innanzitutto, nei tre libri che ho scritto l’idea è stata compiuta dentro di me prima che iniziassi a scriverli. Ovvero essi erano di fatto già tutti scritti prima di essere scritti, perché dentro di me ne avevo già il senso e l’architettura. Quindi per il prossimo (se un prossimo ci sarà, perché come diceva Vittorini “ci vorrebbe silenzio, silenzio per parecchie generazioni”), so per certo che mi si presenterà l’idea e poi la svilupperò perché questo è il mio modo di scrivere, questo e nessun altro. Attraenti o meno, io i libri li so fare così.

Parlando dei temi che interessano qui (lavoro, filosofia spicciola, sviluppo personale, scorciatoie e così via; lasciando quindi da parte golf e piemontese – in effetti un mio libro di golf è pensabile nei prossimi anni), credo che mi debbano succedere ancora due cose, prima: innanzitutto devo metabolizzare un grosso rovescio lavorativo avuto nei due anni passati (lo sto elaborando ed è una bella sensazione ora, ma è una questione che richiede tempo – a lungo non riuscivo nemmeno a parlarne a me stesso, figuriamoci se sarei stato in grado di formularlo in parole) e, poi, devo avere ben chiara in mente la mia destinazione futura, ovvero la vita nel mio rifugio tra i monti. E anche questo prende del tempo.

Verosimilmente il soggetto sarà dunque legato alla natura, alla vita semplice, allo scoprire se stessi, a concetti come questi. Probabilmente sarò intorno alla cinquantina allora – sempre un ragazzo nella mia autopercezione, ma non un ragazzo di fatto –, con tante croci addosso (“nel cuore / nessuna croce manca”, per dirla con Ungaretti).

Ma il bello delle croci è proprio questo: che quando le metabolizzi ti rendono più forte, più allegro, più desideroso di vivere ancora e di fare esperienze. Davvero, davvero, E, soprattutto – qui sta il centro –, col desiderio di condividere quelle esperienze, di parlare e di ascoltare, di andare oltre, di mangiarsi una collina (anzi, una montagna, nel mio caso).

Cinque anni fa citavo Pavese:

Io sono come pazzo perché ho avuta una grande intuizione – quasi una mirabile visione (naturalmente di stalle, sudore, contadinotti, verderame, letame ecc.) su cui dovrei costruire una modesta Divina Commedia.

Oggi non ho più il desiderio o la mania di controllare tutto. Tutto quel che mi accade è positivo e lo racconto – qui o altrove non importa. Un libro? Sì, se accadrà sarà certamente magnifico.

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