Montemale blues, o dell’appartenenza

Montemale
Me ne sono reso conto solo dopo averlo fatto.

Giovedì era il mio ultimo giorno d’estate completo nel mio rifugio tra i monti. Allora, complice la solitudine (che non è un limite, e comunque non lo era in quel giorno), ho passato il pomeriggio a camminare intorno al mio paese, a bere birra con gli amici, a salutare (nel senso etimologico del termine: alicui salutem dicere) amici vecchi e nuovi.

Esattamente come l’anno scorso; solo che allora era nel senso contrario, ovvero nel mio ultimo giorno di Corsica.

Mi è servito, quel pomeriggio, perché è sempre una settimana difficile, questa, per me: da un lato c’è la gioia per la partenza verso la mia patria seconda, quel luogo che per me da anni è casa, ma dall’altro c’è il lasciare il mio rifugio sui monti, quel luogo che considero la mia casa futura.

Il tutto quest’anno complicato – positivamente complicato, s’intende – dal fatto di aver conosciuto tante persone nuove, villeggianti o locali, con cui ho scambiato parole e chiacchiere, parlato e riso, vissuto momenti che fanno una comunità. (L’altra settimana ci ho messo un’ora ad attraversare il paese – e non è Milano! –, perché ad ogni angolo c’era qualcuno con cui scambiare due chiacchiere: cioè il salutarsi, ovvero il riconoscersi, ovvero l’essenza di una comunità.)

Cioè insomma ho pensato che il mio esistere non prescinde da quei luoghi e da quella comunità. Poi certo, vado a fare cose diverse ma altrettanto interessanti in una terra magica e bellissima, ma dai miei monti mi sono dovuto staccare. (Il giorno dopo ho fatto 90 km in mountain bike per tornare a casa, e questo è servito anche da un punto di vista fisico, e come!)

Delle partenze e dei ritorni, insomma: ovvero dell’appartenenza.

Commenti

Lascia un commento