La sindrome del cit.

di chi sarà questa frase?

di chi sarà questa frase?


Ho imparato a scrivere – scrivere in maniera tecnica, ovvero precisa – sostanzialmente grazie a quattro maestri:

– Ugo Foscolo, che nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis mi permise di vedere che cosa vuol dire veramente l’eccellenza nello scrivere (avevo diciott’anni allora, ma ricordo ancora in maniera netta la sensazione di precisione che trasmetteva la scelta di quelle e non altre parole);

Italo Lana, che fu il primo a insegnarmi la scrittura tecnica: e lo fece senza fanfara, ma con la pratica;

Luca Goldoni, la cui leggerezza mi rapì verso i venticinque anni;

Riccardo Massano, che si prese la briga di leggere e rileggere e se del caso commentare ogni singola riga della mia tesi: probabilmente ero già bravino quando arrivai a quel punto, ma fu lì che imparai davvero a scrivere seguendo delle regole precise e non solo il flusso dei pensieri.

Già, perché non lo sanno in tanti ma la scrittura è un mestiere, un mestiere che si impara andando a bottega, scrivendo tutti i giorni, leggendo e studiando. Proprio come si impara a fare il fornaio. Un mestiere che ha regole precise (matematica e latino sono solo due facce della medaglia medesima, non sono due mondi che non comunicano tra di loro) e non si improvvisa.

Invece negli ultimi anni ha preso piede la sindrome del cit. Puoi citare qualunque autore, fuori contesto o meno, che la frase sia apocrifa o meno: tanto alla fine metti un “cit.” ed è tutto risolto. Il cit. è il passaporto che sdogana qualunque pensiero e ti libera pure la coscienza, in quanto citazione di pensiero altrui.

Ma non basta! Se mi citi una frase voglio – devo – sapere quanto meno chi è l’autore, e preferibilmente vorrei – dovrei – anche conoscere la fonte. Altrimenti è tutto un manicomio, il pensiero tritato della società liquida.

Quindi: va bene che tu citi un autore, che riporti una frase e così via: lo apprezzo ma per piacere, dammi maniera di risalire alla fonte.

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