Come può il traduttore vivere del proprio lavoro, a.k.a.: traduzioni a due centesimi, no grazie

A  luglio dell’anno scorso avevo preparato un intervento per il LanguageCamp della Luspio, che poi per motivi di tempo non era stato possibile esporre: ecco qui a seguire la traccia per quel contributo.

Grazie, innanzitutto, ad Anna Fellet e Valeria Cannavina per l’organizzazione di questa unconference: trovo che la formula sostanzialmente nuova – almeno per l’Italia – sia un buon viatico per il futuro.

Questo fatto – l’uso della tecnologia per semplificare la nostra vita lavorativa – mi fa venire in mente quel che Renato Beninatto ha detto questa mattina, ovvero che la machine translation è di fatto un alleato e non un nemico del traduttore.

Non ho potuto seguire tutti gli interventi, ma un’idea della giornata me la sono fatta. Così come ho un’idea abbastanza precisa di questo nostro mercato, che cercherò ora di illustrare.

Ho scritto qualche appunto, ma sostanzialmente vedo questo breve intervento come una chiacchierata a braccio. Questo anche perché ho preparato quest’intervento in pochissimo tempo, seguendo la legge di Parkinson esposta da Tim Ferriss, secondo la quale il lavoro si espande fino a riempire tutto il tempo disponibile per il suo completamento: e quindi minor tempo non vuol dire minor risultati, ma gli stessi risultati ottenuti in maniera più concentrata.

Quindi non sarò preciso come vorrei, ma sono comunque disponibile – molto disponibile – per scambi di pareri alla fine del discorso.

Dal mio ingresso in questo settore – 1996, in maniera assolutamente casuale (un Cigno nero – e vorrei invitare chi non abbia letto il libro di Nassim Taleb a farlo, magari come lettura sotto l’ombrellone – potrebbe aprire più di un occhio) – ho fatto tutti gli errori possibili e immaginabili, ma quel che ho capito subito è stato che il marketing era la chiave di tutto.

Il marketing, ovvero il mercato; e per me il mercato è una visione molto limpida. È uno dei miei primi ricordi a colori, una piazzetta della mia cittadina, le voci di chi comprava e vendeva, i colori e i suoni di quel mattino, il profumo degli aranci, il sole.

Il marketing, ovvero come rapportarsi come i clienti, i clienti potenziali, i concorrenti, le associazioni, i colleghi e così via: qualcosa di molto semplice, a ben vedere.

Ecco, il punto dolente dall’ottica del traduttore (e qui mi rivolgo soprattutto ai giovani) – quello che mi ha indotto al titolo di questo intervento – è proprio la considerazione che troppo spesso troppi traduttori dimenticano chi si trovano di fronte, si dimenticano di se stessi e del valore che possono offrire al cliente, dimenticano che vendere a poco non è conveniente, che è un atteggiamento che non ha futuro.

È chiaro che la tentazione a vendere a poco, a concedere sconti, è forte, perché magari ci si ritrova con tanto tempo, ottimi studi e nessun cliente “vero”: ma è un percorso suicida.

Non dico che sia facile, però chiedo scusa a chi mi ascolta e cito qui la mia esperienza. Vendetti le mie prime traduzioni a 14mila lire la cartella, ma in realtà solo perché spinto da un amico: io volevo chiederne 7mila – o almeno a questo mi spingeva il mio carattere umile, oltre che l’ignoranza – nel senso etimologico del termine – verso qualunque meccanica e conoscenza del settore.

Ma presto mi fu chiaro come stavano le cose, che le aziende pretendevano ma pagavano, che determinate lingue non le potevo pagare poco – semplicemente non c’erano traduttori disposti a lavorare a determinate cifre. Cito l’esempio del polacco: una traduttrice, che conobbi allora e con cui lavoro ancor oggi, che si rifiutava (giustamente, dico ora; ma allora non lo sapevo) di lavorare alle cifre che le avevo proposto.

Quindi da una parte potevo andare verso i prezzi bassi, ma mi è stato subito chiaro che non era una strategia valida sul lungo periodo.

Insomma le cose erano – e sono – semplici. Anche perché – rammento un’indagine citata da Renato Beninatto qualche anno fa e ricordata anche questa mattina – il prezzo è solo il terzo o il quarto fattore di decisione nel nostro settore, mentre fattori più critici sono il tempo, per esempio, il rispetto delle scadenze, il fatto che si offra una determinata lingua e così via.

Ma di più: se i prezzi sono alti, di solito il tuo servizio è percepito come eccellente – siamo umani, dopotutto. Non è bello da dire, ma spesso giudichiamo il vino dall’etichetta. Questo, però, vale solo alla condizione che il servizio offerto sia eccellente – altrimenti cade tutta la costruzione.

Tuttavia, un paio di settimane fa ho ricevuto una proposta di traduzioni a 2,5 – due virgola cinque – centesimi, da una persona che ha due lauree. Mi ha colpito talmente tanto che ne ho parlato nel mio blog. Io mi sento dispiaciuto per queste persone, che sicuramente sono preparatissime da un punto di vista tecnico ma non si rendono conto del danno che fanno a sé e ai colleghi.

Questo è un messaggio rivolto soprattutto a chi ha cominciato da poco, a chi comincia, a chi sta per cominciare: non svendetevi, sarebbe il vostro suicidio professionale. Un sistema può essere quello di lavorare in tandem con un traduttore professionista, cui lasciare buona parte – o anche l’intero – dei propri profitti iniziali, in cambio però di una revisione puntuale dei proprio lavori e di suggerimenti di mercato. È la classica win-win situation.

E mi sembra che non ci sia soluzione a questo problema. Insomma, chi si svenderà ci sarà sempre. Ma per vivere – bene – del proprio lavoro occorrono tra le altre cose, almeno queste due caratteristiche:

1. prezzi adeguati: e prezzi adeguati dall’inizio;

2. servizio eccellente: e con servizio non intendo la “semplice” traduzione, ma tutta l’assistenza di cui il cliente può avere bisogno: sia da una punto di vista informatico, che di fatture e così via.

E il risultato sarà un rapporto da pari a pari e non come questo:

È un disegnino – elementare ma assolutamente esplicativo, come le immutabili leggi del marketing – fatto da Renato Beninatto ad una presentazione alla conferenza ATA 2007 a San Francisco, dove l’uomo più grande (e sorridente) è il nostro cliente e l’omino piccolo (e triste) è ovviamente il traduttore.

Le cose sono semplici, non è il caso di farle molto complicate. Secondo me è più o meno tutto qui.

Commenti

enrica martinengo ha detto:

gentile Gianni Davico,

concordo pienamente con le sue riflessioni, posso aggiungere che molte aziende non sono in grado di valutare la professionalità perché ne sono sprovviste, si parano dietro il mito delle leggi di mercato per motivi di avidità. Faccio un esempio che le potrà sembrare grottesco: quando ci si trova davanti a un lavandino ingorgato, si paga l’intervento senza fare una piega, mentre quando si ha bisogno della traduzione integrale di un romanzo medievale non si scrivono neanche due righe di incarico se non dietro ripetute richieste del centrifugato traduttore, e quanto alle tariffe, si immagina che chi lavora debba già ritenersi in stato di grazia. Ora, secondo me la grazia non esiste, soprattutto in un pianeta di merce e denaro, e poiché in questo e in altri settori si lavora quasi sempre in urgenza con pagamenti a circa due mesi se non oltre – a me è capitato di essere retribuita con striminziti assegni postdatati distribuiti su tre anni – e compensi inferiori a quelli della raccolta del cotone nell’ottocento, non resta che convincersi di essere stati scaraventati nella barzelletta ebraica del sarto – che confeziona un abito impeccabile a un cliente e si sente rispondere ti pagherò se lo indosserò – oppure iniziare una concreta forma di disobbedienza civile, è vero per pochi centesimi le ditte possono trasferirsi in cina o in corea del nord ma è altrettanto vero che siffatti imprenditori dovrebbero entrare in un salutare bagno di umiltà e riconoscere la natura del lavoro intellettuale. Le risparmio la mia cronistoria, mi limito a osservare che questo selvaggiume, oltre a svilire la professionalità gettandola a un piano inferiore di chi si appropria del rame, non può giovare ad alcuno.
cordialmente

giannidavico ha detto:

Qui ci sono tanti temi (com’era logico aspettarsi), ecco a seguire le mie considerazioni.

A mio parere, Enrica, non è che le aziende siano avide ovvero cattive, è che le aziende esistono allo scopo di creare ricchezza, ed è più facile intervenire laddove si trova terreno franoso. Tu dici che il “centrifugato traduttore” non riceve un ordine scritto e riceve invece pagamenti in ritardissimo eccetera. Può essere vero, ma lo strumento per far fronte a questo esiste ed è il rifiuto dell’incarico. Cosa pesante e difficile a volte, lo so; ma è l’unica strada possibile.

Anche sul “riconoscere la natura del lavoro intellettuale” ho i miei dubbi che possa accadere mai: il motto “litterae non dant panem” era vero ai tempi di Orazio (o era Tacito?) come lo è oggi, con l’aggravante che oggi il mondo è cambiato e tanti lavori vanno scomparendo o trasformandosi.

Michele, tu mi fai arrossire! Dirò comunque che non conoscere i prezzi che sarebbe corretto applicare, oggi, è peccato esclusivo di chi non lo sa e non certamente di chi sa e non dice. Tu dici, ad esempio, che “il mercato è andato come è andato e va come va, anche (non solo) perché quelli più grandi di me si sono rifiutati di trasmetterci la loro conoscenza, di dirci che chiedere 20€/cartella per traduzioni dal cinese è un suicidio professionale, e lede noi stessi, la nostra immagine e i colleghi”. Qui a mio parere sei fuori strada. Citi l’immenso lavoro di Simon Turner, che è tantissimo ed è una base ottima per cominciare; ma solo per citare i primi nomi che mi vengono in mente citerò Frauke, Luigi Muzii (http://ilbarbaro.splinder.com/), Renato Beninatto (http://www.l10n411.com/; e aggiungo anche me stesso, io che ho parlato sempre liberamente di prezzi, tariffe eccetera su Langit, nel libro, qui, alle conferenze e altrove. Chi vuole ascoltare è il benvenuto, ma dire che non ci sono gli strumenti, oggi, è disinformazione.

giannidavico ha detto:

Ciao Michele, grazie per le tue interessanti note e il bello scambio.

Temo però che una pagina come quella che tu cerchi, ovvero che ti dica il prezzo da applicare, non la troverai semplicemente perché non esiste. Quel che esiste sono dei parametri per valutare un lavoro, ma poi il prezzo lo fanno molte variabili: potere contrattuale delle parti, urgenza del lavoro, difficoltà, tipo di file, lunghezza eccetera. È solo il mestiere, inteso come tempo che passa ed errori che si fanno, che può darti delle indicazioni precise. (E ciononostante l’errore sarà sempre dietro l’angolo.)

Dicevo stamattina delle 14mila lire a cartella che applicai io, da agenzia, nel 1996 per traduzioni tecniche EN>IT e IT>EN. Mi sembravano tantissime, erano una miseria. Infatti alzai i prezzi in maniera radicale nel giro di pochi mesi: lo feci perché “costretto” dal mercato, perché era necessario farlo per costruire l’azienda che avevo in mente. E la differenze tra il mio “tantissime” e la “miseria” effettiva mica la sapevo! Il web era agli inizi; le associazioni, le conferenze, chi le conosceva? Avevo 29 anni, una laurea e il desiderio di costruire qualcosa di duraturo: non penso di essere stato molto diverso dal te di ora o dagli studenti che porti ad esempio.

Quanto alla formazione, Sabrina sta facendo un lavoro eccellente. Ma le risorse sono tante: Langit è un’ottima palestra, per dire.

E le risposte sono fatte così, arrivano col tempo, non tutte insieme all’inizio del percorso. È la loro natura.

Sabrina Tursi ha detto:

Ciao Gianni, ciao Michele, approfitto del vostro fittissimo scambio per ricordare questo Studio (La formazione dei prezzi nei servizi di traduzione) di Monica Colasante che a me ha dato occasione di riflettere su alcuni aspetti per niente scontati del nostro mestiere:
http://sabrinatursi.files.wordpress.com/2011/04/studio.pdf

E grazie, Michele, ogni volta che mi capita di leggerti mi viene da pensare che sto andando nella direzione giusta.

A presto
Sabrina

Anna Russo ha detto:

Poiché non vivo in Italia, ciò che dirò va preso con le pinze.
1) Da quanto ho avuto modo di osservare in questi anni, uno dei ragionamenti che spingono ad abbassare le tariffe è il seguente: “Se devi arrivare a fine mese, sei costretto ad accettare; se hai bisogno di soldi, purtroppo dovrai fare buon viso a cattivo gioco …” Non mi stancherò di ripetere che in vita mia non ho mai, mai conosciuto nessuno che con questa mentalità da servette sia riuscito a ricoprire un solo ruolo di una qualche importanza.
2) C’è l’ossessione di quello che fanno gli altri: “Se gli altri abbassano le tariffe, sono costretto a farlo pure io, a costo di darmi la zappa sui piedi”; “Se gli altri fanno i furbi, io devo esserlo ancora di più”, ove “fare i furbi” sta per comportarsi da impiegato pauroso e subalterno.
3) Last but not least: mi pare che in Italia ci sia un potenziale di innovazione non proprio altissimo, anche a causa di quelli che potrebbero insegnare qualcosa. La mia impressione “da fuori” è che cultura italiana privilegi la lealtà di scuderia e i network di potere, e che questa cultura si perpetui anche nell’economia del libero-mercato. Nei “vostri” forum mi capita spesso di assistere a un triste, reciproco darsi pacche sulle spalle, all’insegna del motto: “Se io dirò che tu sei bravo, tu dirai che io sono bravo; se io loderò te, tu loderai me”. La critica costruttiva e intelligente, che dovrebbe spronare a migliorarsi e a dare il massimo, viene vista come uno sputare nel piatto in cui si mangia, una infrazione al tacito codice dell’onore. Insomma, il cavaliere è più importante del cavallo. Più le lodi sono sperticate, più si dimostra apprezzamento, ove l’apprezzamento richiede l’assenza di spirito critico e della minima obiezione. Chiedere “perché” è già considerato scomodo e inutile. Mi permetto di ricordare che l’impegno attivo dell’intellettuale è la metafora della sete del sapere mai pienamente soddisfatta: un minimo di onestà intellettuale da parte di chi insegna, si potrebbe anche pretendere.

Anna Russo ha detto:

Per venire al concreto:

+++e quindi minor tempo non vuol dire minor risultati, ma gli stessi risultati ottenuti in maniera più concentrata.+++

Può darsi, ma a quale tipo di mercato (segmento) si fa riferimento e perché lo si dice? La stessa tesi vale per i Cat-Tools, ma con tanti “dipende” …

+++Un sistema può essere quello di lavorare in tandem con un traduttore professionista, cui lasciare buona parte – o anche l’intero – dei propri profitti iniziali, in cambio però di una revisione puntuale dei proprio lavori e di suggerimenti di mercato. È la classica win-win situation.+++

Questo mi sembra un ottimo consiglio, io l’ho fato per anni. Perché si tratti della classica “win-win situation” non l’ho capito. Più che altro si tratta di un investimento, e come in tutti gli investimenti, non si sa mai come andrà a finire.

+++prezzi adeguati: e prezzi adeguati dall’inizio;+++

Cominciare da Euro 0,02 per parlare di prezzi in-adeguati (forse ti sei dimenticato qualche zero), non mi sembra un buon esempio. Quello che rovina il mercato verso l’italiano sono i prezzi delle agenzie italiane. Finché non si avrà l’onestà di parlare di questo, io continuerò a vedere tante parole al vento e un grande desiderio di tirare l’acqua al proprio mulino. Lo dico sempre: “Ragazzi e ragazze con poca esperienza, fatevi le ossa con le agenzie italiane, che pagano male e non sono attente alla qualità, e poi offrite i vostri servizi al mercato straniero, con prezzi consoni e dignitosi, che vi permetteranno davvero di vivere della vostra professione”.
Ciao,
anna

giannidavico ha detto:

Grazie a voi, io ho la speranza da sempre di fare uscire dall’urto una più energica morale.

Al commento di Anna non ho risposto perché dire che la colpa è delle agenzie italiane è fare del qualunquismo. E con me non si ragiona per categorie preconfezionate.

Sulle 5/6 cartelle al giorno devo dirti che la realtà può essere anche molto ma molto differente: con l’aiuto della MT (e dei CAT ovviamente, ma questi sono scontati) la produzione può arrivare ben più in alto (vedi quel che dice Beninatto in proposito; e anche Muzii ha delle opinioni che val la pena ascoltare).

Sulla traduzione come secondo lavoro/hobby ci sono dei commenti interessanti sulla mia pagina Facebook.

Va considerato anche un altro fatto: i traduttori sono troppi, non c’è lavoro per tutti. E fatico a credere che la situazione migliorerà in futuro. Ma non è un problema dell’Italia, è un problema molto più generale: tanti modelli costruiti in passato oggi non funzionano più. Questo complica il tutto.

(E io non ho soluzioni pronte all’uso – credo sia chiaro -, solo opinioni il più possibile informate.)

[…] Il mio post della settimana scorsa ha suscitato molti commenti, sia qui che sulla mia pagina Facebook che sul gruppo STL di Sabrina Tursi. Già, come stabilire il prezzo per i propri servizi – insieme un’arte e una scienza – è un punto cruciale per qualunque professionista, e dunque il tema è molto sentito. E probabilmente ho scritto anche delle ovvietà, come mi ha fatto notare Aurelia Peressini (invitandomi però a continuare a scriverle). (Personalmente mi pare il commento più sensato e lo condivido pure; ma se il re è nudo bisogna prima accorgersi che lo è per vedere che cosa fare dopo.) […]

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