Non sempre arrivare ultimi è una cosa negativa. Questa è la lezione che ho imparato ieri, al Trofeo Sentieri degli Acciugai, una corsa podistica di 10,6 km in valle Maira, per tre quarti in ripida salita e per il quarto restante in discesa altrettanto ripida (per me almeno).
I partecipanti erano un centinaio, e – al netto di qualche sparuto ritiro (che immagino, pur non avendone notizia certa) – l’ultimo degli arrivati è stato proprio yours truly.
Lezioni apprese, tre.
1. Gli spettatori ti dicono bravo per il solo fatto che tu partecipi (in fondo a chi importa che tu arrivi novantanovesimo o centesimo?), e questa è già di per sé una vittoria.
2. Correre è un’attività autotelica, che trae in sé la sua ragion d’essere e la sua soddisfazione; e non importa se a tratti ho camminato, il ritiro semplicemente non era tra le opzioni possibili e la soddisfazione di aver tagliato il traguardo è ricompensa sufficiente.
3. Il podismo è disciplina povera e semplice (lo dico con tutto il rispetto e l’ammirazione possibili): essere stato parte di questa festa popolare significa essere in armonia con l’ambiente e con tutte le altre – tantissime – persone presenti.
Tutto ciò specificato, ieri mi è stato lampante un fatto che già sapevo: la corsa in salita non è il mio forte (e in discesa nemmeno, tanto perché sia chiaro). Ma il mio obiettivo, che qui rendo pubblico (e nel dirlo mi sovviene un obiettivo che mi posi da trentaduenne: parlare in pubblico in inglese negli Stati Uniti entro i quarant’anni, cosa che realizzai ad Austin – sia pure qualche mese dopo il mio genetliaco numero quaranta), è quello di partecipare, portandola a termine, ad una mezza maratona entro la fine del 2014.
Ho detto.
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[…] fatica degli ultimi kilometri e nella gioia dell’arrivo. E, tra l’altro, arriverò lì un anno prima del previsto, il che dice una cosa chiara: gli obiettivi ragionati e scritti sono molto più semplici (e […]
[…] Scrivevo qualche mese fa: […]
[…] I scrivìa quàich mèis fà: […]