Natura non facit saltus

Questo diceva Linneo, per intendere che in natura non c’è soluzione di continuità ma tutto procede in maniera lineare.

Il mio corpo, però, non è d’accordo. Perché almeno in due occasioni ho avvertito dei salti netti:

  • il primo, intorno ai quarantasei anni, quando dolorini insignificanti all’improvviso vennero ad assumere proporzioni non trascurabili (tipicamente nuove varietà di mal di schiena), e io attonito dovetti adattarmi ad un corpo mutato;
  • il secondo in quest’anno solare: mi rendo conto che i miei tempi di recupero si allungano, e di parecchio – e certamente in maniera non lineare.

Qualche giorno fa stavo giocando a tennis, e avvertivo la difficoltà nel fare degli scatti brevi. Era la prima volta che mi capitava in vita, e dunque sul momento non ho saputo situare quella sensazione nella mia esperienza. Di sicuro non è stata piacevole. Pareva di muovermi nell’acqua, o in un mondo al rallentatore. La volontà c’era, ma il corpo non era in grado di seguirla. In quei momenti mi è sovvenuto Pavese, in un episodio avvenuto il 1° luglio 1949:

Stasera, a Pavarolo, nella cena coi tre Garino e Einaudi e Natalia e Molina, sentito per la prima volta – oggettivamente – la decadenza fisica, l’incapacità di fare uno sforzo, un salto, un exploit. Stato male e storto tutta la sera. Per salvarmi, odiavo il mondo, l’uomo, la compagnia. Vecchia storia.

(Grazie a Oreste Molina, direttore tecnico di Einaudi, la nota del diario venne circostanziata: in quell’occasione – una cena presso la trattoria “Maria” – Pavese non era riuscito a saltare da terra su un tavolo, neppure una volta, contrariamente a Molina stesso e a Garino. E me lo immagino benissimo, quell’uomo tutto cervello e con due muscoletti rachitici: tante volte, per esempio alla discarica, mi sono identificato con lui.)

O ieri pomeriggio, quando dopo una breve salita in bici mi sono sentito rimescolare e mi pareva di svenire.

La natura i saltus li fa, e come.

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