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Ij vej a son milanta

Io di anni ne ho cento: sono nato nel 1920, quando nonno Giovanni comprò il convento delle Rosine per farne casa e impiantarvi la sua tessitura.

O forse ne ho centoquaranta, che sono gli anni che avrebbe Giovanni Davico se fosse vivente.

Ma potrebbero essere centoventiquattro, perché nonna Teresa (Sabena Leonetta vedova Bosco) è nata a Rosario di Santa Fe il 7 luglio 1896.

O novantuno, gli anni che sono passati dalla nascita di papà a oggi.

Io ho tutti gli anni che avrebbero i familiari che sono nati molto prima di me e che mi hanno preceduto. Ho anche la mia età, ma questa è solo una curiosa coincidenza.

Come le cose che ci sono sempre state

Ci stai accanto senz’ombra e col sorriso
di chi ha creato un lento paradiso.
(Nelo Risi, Non vogliamo ricordarti, vv. 1-2)

Alle Rosine è morto un signore molto anziano, ieri.

No, devo partire da un po’ più lontano. (Il tempo è del tutto relativo quando si parla di tempi lunghissimi, ne c’est pas?)

Questa persona è stata – è, essendo il suo corpo fisicamente ancora qui, sia pure per una notte soltanto: questa, l’ultima di sempre – alle Rosine da prima che nascessi io. (E io, per chi non lo sapesse, ho cinquantuno anni.) (Il contratto lo fece con mia nonna, scomparsa nel 1970.) Ovvero, pavesianamente parlando, si tratta di un mito, di qualcosa che va oltre al tempo.

(“A quei tempi non mi capacitavo che cosa fosse questo crescere, credevo fosse solamente fare delle cose difficili – come comprare una coppia di buoi, fare il prezzo dell’uva, manovrare la trebbiatrice. Non sapevo che crescere vuol dire andarsene, invecchiare, vedere morire, ritrovare la Mora com’era adesso”.)

(La Mora sono le Rosine. Adesso papà non c’è più, è tutto molto diverso. Divago.)

Ma il mio punto è in realtà un ricordo molto semplice e molto […] continua a leggere »