Anche dal silenzio impari

Ho scritto un libro, e quando sono arrivato al fondo ho capito esattamente perché.

Otto giorni dopo la morte di papà ho iniziato a scrivere il libro su di lui. Tutto era in realtà partito nei suoi ultimi mesi di vita, periodo nel quale ho scritto spesso brevi note su di lui sulla mia pagina FB; e spesso, di rimando, c’erano persone – amici – che raccontavano le proprie esperienze con i genitori anziani. Allora questo flusso di pensieri comuni mi ha fatto sentire parte di un tutto più grande di me, e ho capito che i miei pensieri potevano parlare a qualcuno. Lo ha detto meglio di me Cristina Maccarrone:

Scrivi quello che hai visto, che hai provato, non pensare non serva: la gente non sa come fare a volte, potresti aiutarla.

È stato il mio progetto principale per nove settimane. Non tutti i giorni, ma le cose andavano così: mi svegliavo presto, diciamo intorno alle sette, e mi mettevo subito a scrivere evitando qualunque interruzione (i giorni veramente produttivi sono stati quelli in cui non ho preso in mano il telefono e/o guardato la posta prima delle nove almeno). (Tale metodo mi viene da questo libro.) Oppure durante il giorno mi veniva in mente qualcosa e lo annotavo, e poi al momento opportuno elaboravo quelle note. Ho letto anche tanti libri sul tema, mi sono “documentato”, per così dire, facendo man bassa dell’esperienza di altri scrittori.

Due mesi dopo è venuto un momento, un istante preciso, in cui ho sentito che il libro era terminato. In quel momento mi sono reso conto che avevo scritto di papà tutto quello che desidero ricordare negli anni a venire. Il libro contiene tanti buchi, ovvio, cose importanti che ho trascurato come dettagli che ho enfatizzato all’eccesso; ma dopotutto il papà è il mio, e così desidero ricordarlo.

L’intero percorso è durato due mesi esatti. E quando sono giunto a quel momento ho capito che la vera, la principale, l’essenziale ragione per cui ho scritto tutto quanto è stato per accompagnare davvero papà alla sua tomba. In quel momento, pochissimi giorni prima di Natale, ho capito che lo avevo seppellito per sempre e che potevo passare oltre con la mia vita.

C’eravamo lui e io. E io l’ho seppellito. Il figlio ha seppellito il padre, come è giusto che sia, come è nell’ordine naturale delle cose che succedono. L’intero processo è terminato. Ora, a libro concluso, l’ho lasciato andare in maniera completa, lieta, serena e definitiva.

Ora mi do due mesi di tempo per trovare un editore. Non di più, perché se non viene reputato interessante è inutile che vada a chiedere l’elemosina di qua e di là, preferisco piuttosto fare l’editore di me stesso (come ho fatto con il libro precedente, che nessuno voleva) e andrà bene così. Anche perché il libro per me la funzione principale l’ha già assolta, tutto il resto è un eventuale di più.

Io sono felice di averlo scritto, è come se papà mi avesse passato tutta la sua serenità – che ora mi appartiene.

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