Nei primi anni nel mondo del lavoro, circa un quarto di secolo fa, i miei fatturati erano spesso e volentieri crescenti, le buche che incontravo nel cammino erano solo preoccupazioni momentanee ma venivano superate senza problemi, io ero sicuro di me e di quel che potevo fare.
Anche nei primi anni di vita adulta pensavo di aver capito tutto, avevo già pianificato il futuro per due generazioni dopo di me. E, nel tempo, ho fatto finta che gli inevitabili rovesci non esistessero, pensando che la vita va avanti comunque.
Poi sono successe delle cose. Poche cose ma significative, fatti che non ho potuto ignorare. Non ho più potuto fare finta. Per riassumerle in un solo sintagma, è la fatica di avere cinquant’anni. Io e le mie macerie, le cose che non vanno e che, comunque, non si aggiusteranno da sole. I miei due numi tutelari che compongono la parte destra della mia scrivania, loro che interrogo spesso. Io e le mie ere geologiche per capire le cose come stanno. Das Ding an sich.
Ho capito una cosa, però. Che devo tenere le spalle diritte. Che comunque sia ho il diritto di rimanermene qui a registrare i miei pensieri, a pensare a quel che devo e voglio fare. Ho il diritto di sbagliare, di non sapere, di essere confuso, di prendermi il tempo. Come dice Siddhartha al mercante Kamaswami, “Io so pensare. So aspettare. So digiunare”.
Quindi posso ancora fare tre cose importanti:
– pensare, ovvero fare tante domande;
– aspettare, ovvero ragionare per il lungo termine;
– digiunare, ovvero allenare la resistenza al dolore.
Con le spalle diritte. E, comunque sia, lo sguardo fiero.
Lascia un commento