In mezz alla pista
me par che me basta
tutt quel che g’ho
(Davide Van De Sfroos, La machina del ziu Toni)
Stamattina correndo, correndo dopo tanto tempo, correndo a ritmo per i miei standard fortissimo, mi accompagnavano Van De Sfroos (quello c’è sempre, una sorta di novello Batista, qualcuno che ha spesso le risposte giuste – la differenza è che Batista le aveva sempre) e i versi di una poesia di un poeta italiano del Novecento che non riesco a ritrovare ma che faceva più o meno così:
[…]
e i nostri mattini puri.
La gente conosce la coppia
che cammina rasente i muri.
Ah no, dimenticavo: mi accompagnavano anche le mie lacrime, che non so dire se erano di gioia o di tristezza; probabilmente un misto delle due. Forse erano figura, nel senso auerbachiano del termine, di tutte le parole che non so dire, di tutte le sensazioni di questi mesi che mi porto dentro e non riesco ad esprimere. Però c’eravamo io e loro, e io mi sentivo incredibilmente vivo.
Ora che ci penso: c’era anche nonna Teresa, Teresa Sabena Leonetta vedova Bosco, e c’era zio Carlo, e papà. Il fondamento di tutto quello che sono. Loro sono sempre e comunque dietro di me. Non devo fare nulla, non ci posso fare nulla. Ci sono anche senza nominarli, semplicemente esistono.
E c’erano i luoghi: Tetti Lusso, Savigliano, Madonna dell’Apparizione di qualcosa che non mi ricordo, luoghi dove non sono mai stato ma dove sarò per sempre. Luoghi che conosco pur non avendoli visti mai, se non nei racconti di bambino mezzo addormentato sul grembo di nonna.
E nonno Giovanni, che conosco solo per le foto in bianco e nero e i racconti di persone scomparse. Il riassunto di tutto quello che vorrei essere. Il mito cui da sempre tendo, il modello che mai raggiungerò. Io, Gianni, e tutte le magagne che possiedo e tutti gli errori compiuti e ancora da compiere. (Io, nano sulle spalle dei giganti, io mi sono perdonato. Comunque sia, mi voglio bene.)
C’erano anche Montale e Ligabue, loro sono una presenza costante.
Ah, e non avevo paura.
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