Capodanno. Ma niente lista dei progetti da fare, niente elenchi dei buoni propositi che all’Epifania sono già morti. Solo registrare i miei pensieri. E le sensazioni, quelle sopra tutto.
La tristezza che mi prende da dentro e che mi mangia. Il mio malessere che non so mettere in parole, che non so spiegare. Qualcuno, bontà sua, mi ascolta; ma io cambio versione ogni dieci minuti, come mi si può seguire? La colpa è mia che non sono in grado di spiegarmi.
Io che, da giovane uomo, avevo scandito la mia vita per due generazioni dopo di me, oggi mi guardo allo specchio e sono parecchi i giorni in cui non mi piaccio per niente. Ma non voglio chiedere scusa, mi arrogo il diritto di stare male per conto mio. I miei pensieri sono disordinati; cionondimeno ritengo importante, prima di tutto per me, registrarli. Chi ride, pazienza. Come dice la regola numero cinque del Manuale di cattiveria per piccoli lupi: Gli altri, tutti al diavolo.
E dunque niente piani per il 2020, ma solo qualche augurio che mi faccio.
Mi auguro di mantenere l’autonomia di pensiero, e di pensare tanto. Se altri ritengono sciocchezze quel che penso non è un problema mio.
Mi auguro di avere serenità ogni tanto. La felicità l’ho scordata da tempo; ma avere un raggio di sole che mi scalda di tanto in tanto, questo potrebbe bastarmi.
Mi auguro di eliminare la tristezza che mi mangia da dentro, quel male sottile che mi rode e mi consuma. Perché un Gianni mangiato non pensa più ma vegeta soltanto.
Mi auguro di correre, di correre tantissimo. Di andare lontano tanto da perdermi lungo il cammino. E di strisciare carponi per fare venti metri più quando non riuscirò più nemanco a camminare.
Mi auguro consapevolezza. Mi auguro consapevolezza.
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