Il 5 febbraio è una data scolpita in maniera cristallina dentro di me. Il 5 febbraio di tanti anni fa se ne andò la persona cui probabilmente più di tutte devo, perché più di tutte ha contribuito a plasmare il mio carattere, la persona che è stata di fatto la mia mamma: nonna Teresa, ovvero Teresa Leonetta Sabena vedova Bosco, nata a Rosario di Santa Fe il 7 luglio 1896 e spirata serenamente nel suo letto il 5 febbraio 1986.
Ricordo tutto del momento in cui, quel giorno, ricevetti la notizia della sua morte. Io ero nel cortile (delle Rosine ovviamente), stavo lavando la macchina. Da sopra si affaccia un’amica di mia sorella che era a casa nostra, mi dice “a l’ha telefonà tò mama, tò nòna a l’é mòrta”. Ricordo perfettamente l’immobilità di quell’attimo, il sangue che per un secondo ha smesso di circolare dentro di me (mi è successo qualche altra volta in vita, per esempio il 20 dicembre 2016 quando Sara mi telefonò per annunciarmi la morte di Batista e io prima di sentire quelle parole dissi ‘io so perché mi telefoni’; ma quella fu la prima, una sensazione che non avevo modo di situare nella mia esperienza precedente), il respiro che si è fermato in quell’istante eterno. Non era un giorno particolarmente freddo, ma ricordo distintamente il freddo che scese immediato dentro di me. Ricordo il colore del cielo, uniforme tra il bianco e il grigio. Il silenzio di quel momento. Quel giorno, che ora mi sembra perso nelle tenebre del tempo (tanto più “ora ch’è notte”, per dirla con Ungaretti), segnò uno iato profondo in me. Quel giorno finirono tante cose, terminò un mondo intero.
Ora, se io sono mite devo quella mitezza soprattutto a nonna Teresa (“nòna”), ma non per cose che può avermi detto. Devo la mia mitezza soprattutto alla mitezza sua, al bene che ha sempre dimostrato verso i componenti della sua grande famiglia – figli, figlie, nuore, generi, nipoti e bisnipoti. Anzi, c’è quel particolare che mi sovviene ogni tanto, lei che piangeva alla festa di battesimo del suo primo bisnipote, e io che non riuscivo a capire il motivo di quelle lacrime; mentre con gli anni forse l’essenza mi è stata un po’ più chiara.
Ho avuto la fortuna di conoscere tantissime persone buone in vita mia – zio Carlo, zia Luigina, zia Rosa, naturalmente papà sono le prime che mi sovvengono –, ma l’epitome della bontà ha per me un nome, il nome di mia nonna materna.
Ero un ragazzo coi calzoni corti che giocava a fare il grande allora, e ora ho i capelli grigi, ma il senso della vita mi viene precisamente da quella persona. Sono passati tanti anni, e purtroppo passano anche mesi da una volta all’altra in cui ho un pensiero per lei. Ma il senso della vita mi arriva da lei; e a questo fatto non devo pensare, questo fatto semplicemente è. Quando penso a lei mi sovvengono alcuni versi di Elena Clementelli:
Di te non scriverò,
io sono tutta scritta di te.
Non c’è al di là del mio margine ombroso
pagina chiara che ti possa accogliere.
Commenti
Parole bellissime che si possono riassumere nel concetto di psicologia del profondo Hillmaniano o ancora meglio nel concetto poetico del Buddhismo:
I nostri Avi sono i nostri Organi……..
E il tuo scritto,caro Gianni, acquisisce un “senso” profondo e spiritualmente poetico.
Grazie Carla! Apprezzo tanto le tue parole. In effetti per me è difficile sovrastimare l’importanza che nonna Teresa ha avuto nella mia formazione, perché è colei che è stata sempre presente nel mio tempo bambino.