(Scritto alla Mescla, là dove l’Artuby si getta nel Verdon, il dì di Ferragosto)
Nel primo quarto di secolo di Tesi & testi, oltre ad altri di entità minore, ho subito tre fallimenti (di clienti) importanti, per una perdita complessiva intorno ai 25mila euro. (Sia detto tangenzialmente, in tre casi su tre si è trattato di filibustieri veri e propri, persone senza scrupoli che passano senza riflettere sulla vita di altri, senza che ciò abbia per loro il minimo peso; ma sciocco, o piuttosto ingenuo, io ad aver bevuto le loro parole.)
Una decina di anni fa, un contenzioso con l’INPS, originato da un errore mio (in assoluta buona fede, ma sempre di errore si trattò), mi fece perdere circa 40mila euro (si sarebbe risolto con danno molto minore se non fossi stato consigliato male), incluso il denaro messo da parte per l’università della mia primogenita da quando ella aveva sei mesi (fatto che rimarrà per sempre una delle mie vergogne più grandi).
Io ho sempre sostenuto la superiorità, a livello di benessere personale (sia quanto a soddisfazioni che a risultati tangibili), del lavorare per conto proprio. Mi è sempre parso un assioma, qualcosa che non poteva essere messo in discussione.
(Che poi il mio vero mestiere sarebbe stato l’etimologo, ma per farlo devi essere un po’ politico da subito, scegliere il professore “giusto” eccetera – semplicemente non ne sarei stato capace. E comunque non mi pento della scelta: solo Riccardo Massano avrebbe potuto leggermi Orazio tradotto in lingua piemontese.)
Ma ora, che vado verso il momento in cui si dovranno tirare le somme totali globali della parte lavorativa e professionale della mia vita, mi pare che quell’assunto fosse fondato su premesse, almeno per quanto mi riguarda, errate.
Perché quei mancati introiti sono anni di vita di una persona normale. Perché sì, posso dire la crisi, le crisi eccetera (stavo ancora cercando di digerire il 2008 quando è arrivato il Covid), ma trovo che all’età mia, con le capacità e i mezzi a mia disposizione, c’è qualcosa di profondamente errato se sono ancora costretto a guardare il singolo euro.
È condizione comune, mi si dirà. Verissimo, ma di efficacia nulla quanto a consolazione.
Questa primavera ho preso per due mesi i 600 euro dell’INPS. Da imprenditore sono diventato un assistito dallo Stato.
E sì, ho speranza di far tornare a risplendere in futuro la mia bòita; ma al momento la realtà cozza contro questa speranza in maniera drammaticamente evidente.
Ho fatto tanti errori, è vero, cumuli di errori, ma oggi sarei pieno di timori nel consigliare a qualcuno – le mie figlie per esempio – di intraprendere un mestiere per conto proprio. E non è un fallimento questo?
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