Gen 08


Ho capito che devo riprendere il passo smarrito. Come sempre uso la parola scritta per descrivere il mondo che mi circonda, cercare di darne una definizione; però è che alla fine delle fini a sentire un tale che si lamenta sempre, che non perde occasione per parlare del suo scoramento, del suo disallineamento rispetto al mondo, uno si stufa pure a sentirlo.

Io vorrei che le mie parole facessero magari riflettere o sorridere, facessero pensare, dessero spunti per proseguire altrove, non certamente che fossero percepite come uno strumento di noia mortale.

E dunque parlo della fatica di aver cinquant’anni, certo; ma anche della gioia, dei progetti ancora da immaginare e poi da cominciare. Del sole che un poco ti scalda – e non me soltanto.

Lascio andare i vecchi pensieri, la vecchia vita, la vita di prima che non è più la vita di adesso. Accetto il cambiamento, lo abbraccio, voglio vedere dove mi porta.

Penso con lieta nostalgia alle cose belle che ho lasciato, guardo la mia vita di prima e sorrido perché mi pare di essere finalmente un poco in pace con me stesso.

Del resto, come disse mia figlia piccola sei anni fa (“piccola”, poi! Così l’ho presentata a una persona qualche giorno fa, perché nella mia testa lei è piccola rispetto alla figlia grande, e quella persona è rimasta interdetta), a me che lamentavo il troppo poco che avevo fatto in vita:

Ma tutto il resto puoi ancora farlo.

E lo disse senza pensarci troppo. Allora in questo mio ondeggiare infinito tra la malinconia e la leggerezza magari quest’anno potrei anche fare che vince la seconda. Perché è vero che qualche giorno fa ho detto che non faccio piani per l’anno nascente, ma in realtà qualche progetto ce l’ho: principalmente scrivere molto di più. Osservare i pensieri, cercare di descrivere le sensazioni, dare loro un nome, vedere dove mi portano, continuare il viaggio verso le mie Cascate Paradiso.

Taggato:
Ott 04

In mezz alla pista
me par che me basta
tutt quel che g’ho
(Davide Van De Sfroos, La machina del ziu Toni)

Stamattina correndo, correndo dopo tanto tempo, correndo a ritmo per i miei standard fortissimo, mi accompagnavano Van De Sfroos (quello c’è sempre, una sorta di novello Batista, qualcuno che ha spesso le risposte giuste – la differenza è che Batista le aveva sempre) e i versi di una poesia di un poeta italiano del Novecento che non riesco a ritrovare ma che faceva più o meno così:

[…]
e i nostri mattini puri.
La gente conosce la coppia
che cammina rasente i muri.

Ah no, dimenticavo: mi accompagnavano anche le mie lacrime, che non so dire se erano di gioia o di tristezza; probabilmente un misto delle due. Forse erano figura, nel senso auerbachiano del termine, di tutte le parole che non so dire, di tutte le sensazioni di questi mesi che mi porto dentro e non riesco ad esprimere. Però c’eravamo io e loro, e io mi sentivo incredibilmente vivo.

Ora che ci penso: c’era anche nonna Teresa, Teresa Sabena Leonetta vedova Bosco, e c’era zio Carlo, e papà. Il fondamento di tutto quello che sono. Loro sono sempre e comunque dietro di me. Non devo fare nulla, non ci posso fare nulla. Ci sono anche senza nominarli, semplicemente esistono.

E c’erano i luoghi: Tetti Lusso, Savigliano, Madonna dell’Apparizione di qualcosa che non mi ricordo, luoghi dove non sono mai stato ma dove sarò per sempre. Luoghi che conosco pur non avendoli visti mai, se non nei racconti di bambino mezzo addormentato sul grembo di nonna.

E nonno Giovanni, che conosco solo per le foto in bianco e nero e i racconti di persone scomparse. Il riassunto di tutto quello che vorrei essere. Il mito cui da sempre tendo, il modello che mai raggiungerò. Io, Gianni, e tutte le magagne che possiedo e tutti gli errori compiuti e ancora da compiere. (Io, nano sulle spalle dei giganti, io mi sono perdonato. Comunque sia, mi voglio bene.)

C’erano anche Montale e Ligabue, loro sono una presenza costante.

Ah, e non avevo paura.

Taggato:
Lug 23


Sono stato in questi giorni in quello che un tempo era il mio rifugio tra i monti con mia figlia piccola (o meglio, che un tempo era piccola; e comunque la più piccola tra le figlie, e comunque colei che per me sarà sempre piccola).

Non è stato semplice vedere che quella casa che per anni è stata di fatto casa nostra, la mia vera casa, la casa dove le mie figlie hanno giocato e gioito e corso e riso a perdifiato e guardato le stelle in stellate senza fine, è ora il luogo che qualcun altro chiama casa. Logico, potevo aspettarmelo – dopotutto è bene che una casa sia abitata e viva; però arrivare lì ciapand travers (arrivarci direttamente no, non ne sarei stato capace; potevo solo giungerci attraverso il bosco) e vedere uno steccato circondare quel luogo è stato come subire una sorta di profanazione. Perfettamente legale, ma pur sempre una profanazione nella mia memoria.

Abbiamo accusato il colpo. Ci abbiamo messo un po’ per riprenderci da quello che, a ben vedere, è un normale fatto della vita. Abbiamo fatto finta di niente, ma eravamo delusi. Abbiamo girato intorno alla cosa, ma la cosa ci faceva male.

È l’ammonimento, valido sempre, di Augusto Monti: non tornare a Monesiglio. Ovvero, non tornare nei luoghi che ti hanno visto felice nei tempi andati, perché quel ritorno si presta a una delusione immane.

Poi capisci che va bene così. Lo accetti. Il tempo passa, la vita scorre, tutto rientra nel flusso del tempo e delle cose.

Il cerchio in ogni caso si doveva chiudere. E per come sono fatto io un cerchio lungo oltre quarant’anni richiede del tempo per fare il suo giro.

E niente, volevo fissare il ricordo nell’unica maniera che conosco: scrivendolo.

E comunque a calzini vinco io.

Taggato:
Mar 11


Callose, nodose, involte.

Le mani di un uomo nel suo cinquantaduesimo anno di età.

Le mani di un uomo che ha fatto tanti errori.

Le mani di qualcuno che non deve più fare finta.

Mani che sanno scagliare un driver con discreta perizia, che sanno tirare un putt con delicatezza, che sanno solfeggiare sulla tastiera, un sintagma dopo l’altro. Mani che sanno accarezzare, che sanno bloccare, che chiedono perdono e sanno perdonare.

Mani piene di speranza e di progetti. Mani nelle quali nessuna croce manca, mani consapevoli dei propri errori e delle proprie manchevolezze; ma anche dell’allegria e delle possibilità.

Mani che fanno famiglia.

A dirla tutta, mani vive.

Taggato:
Feb 23

La vita gira finché gira l’elica
ma gira per nagott
se te ghe mea la un timon
Davide Van De Sfroos, Il costruttore di motoscafi


Come faccio ogni tanto, sono salito a Superga oggi pomeriggio. Io e la mia bici. Eravamo soli.

No, non è vero.

Mi accompagnavano in realtà un sacco di suoni e memorie e ricordi e parole. (E i pensee che fann un gran casott, ma quelli paiono non andare mai via.)

Mi accompagnava Davide Van De Sfroos, il mio musico nume tutelare di questi mesi. Lui c’è sempre. C’è comunque.

Mi accompagnava il ricordo di Batista, e la solita domanda lòn ch’a dirìa Batista se gli potessi chiedere consiglio ora.

Mi accompagnavano personaggi incredibili che ho avuto la fortuna di incontrare, sebbene non di conoscere a fondo quanto avrei voluto.

Mi accompagnavano le parole dell’amore mio grande.

Eravamo in tanti a Superga, oggi pomeriggio.

Taggato:
Feb 20

Nei primi anni nel mondo del lavoro, circa un quarto di secolo fa, i miei fatturati erano spesso e volentieri crescenti, le buche che incontravo nel cammino erano solo preoccupazioni momentanee ma venivano superate senza problemi, io ero sicuro di me e di quel che potevo fare.

Anche nei primi anni di vita adulta pensavo di aver capito tutto, avevo già pianificato il futuro per due generazioni dopo di me. E, nel tempo, ho fatto finta che gli inevitabili rovesci non esistessero, pensando che la vita va avanti comunque.

Poi sono successe delle cose. Poche cose ma significative, fatti che non ho potuto ignorare. Non ho più potuto fare finta. Per riassumerle in un solo sintagma, è la fatica di avere cinquant’anni. Io e le mie macerie, le cose che non vanno e che, comunque, non si aggiusteranno da sole. I miei due numi tutelari che compongono la parte destra della mia scrivania, loro che interrogo spesso. Io e le mie ere geologiche per capire le cose come stanno. Das Ding an sich.

Ho capito una cosa, però. Che devo tenere le spalle diritte. Che comunque sia ho il diritto di rimanermene qui a registrare i miei pensieri, a pensare a quel che devo e voglio fare. Ho il diritto di sbagliare, di non sapere, di essere confuso, di prendermi il tempo. Come dice Siddhartha al mercante Kamaswami, “Io so pensare. So aspettare. So digiunare”.

Quindi posso ancora fare tre cose importanti:
– pensare, ovvero fare tante domande;
– aspettare, ovvero ragionare per il lungo termine;
– digiunare, ovvero allenare la resistenza al dolore.

Con le spalle diritte. E, comunque sia, lo sguardo fiero.

Taggato:
Mag 01


Prima o poi doveva succedere.

E oggi è successo. Oggi ho chiuso un cerchio.

Come i miei venticinque lettori sanno, la valle Grana è luogo che mi “appartiene” (o cui appartengo) dal 1974, e alla fine dell’anno scorso non è stato facile dover dire che non avevo più casa mia lassù. Ho cercato di spiegare a me stesso i motivi, ma mi sono stati chiari solo in parte. Insomma era un nodo irrisolto, che si è risolto oggi nella maniera meno immaginabile e scontata possibile.

Sentivo il bisogno di passare a vedere la casa dove sono cresciute le mie figlie, dove ho scritto quantità inimmaginabili di post e articoli, dove ho sognato e respirato e sono stato in pace con me. Per un mio sciocco ed esecrabile errore – ho sentito l’impulso di entrarvi – sono venuto a male parole col “custode” di quel luogo, persona che credevo di conoscere. Ma solo oggi, in verità, l’ho conosciuta.

La persona che era con me mi ha dato lo spunto per la soluzione. “Che cos’avrebbe detto Batista?”, mi ha chiesto. E io non ho avuto (né ho) dubbi: lui avrebbe detto qualcosa come “lassa perdi e ven via”. In realtà mi sono scese delle lacrime di frustrazione per essere stato chiamato maleducato.

Io comunque ho chiesto scusa per il mio gesto, e sono in pace con me.

E in quel momento ho capito. Batista me lo aveva già detto in maniera chiara lo scorso settembre (“Vita Gioanin, orizont!”, e “San Martin spiritual!”, e anche il titolo di questo post è una sua frase riferita alla questione). Ora, non poter andare da lui a chiedere un parere è una cosa che mi pesa, e certamente non sono esente da errori, ma infine ho capito. Ho capito che non devo giudicare e non importa quel che è stato, ho capito che è importante oggi passare oltre. Andare oltre. Dimenticare, perdonare e andare oltre.

Oggi, nel giorno del Signore 1 maggio 2017, ho detto addio alla Piatta. Non arrivederci, ma addio. Addio per sempre.

Taggato:
preload preload preload