Set 01


Ieri mi sono concesso un pomeriggio di libertà. Avevo bisogno di manutenere i miei pensieri. Avevo pensato a Ligabue (C’ho un po’ di traffico nell’anima / non ho capito che or’è). Ho scelto un sentiero che almeno un po’ mi rappresentasse, ovvero fosse di confine e soprattutto non lineare (perché se è troppo definito mi ci perdo). Il motivo ufficiale dello spostamento era l’andare a prendere la mia primogenita che tornava dalla mia – o, più esattamente, nostra – seconda patria, un luogo che negli ultimi anni si è, ahimè, allontanato da me, per prendere in mano la sua vita e farne la cosa più bella di cui sarà capace, per dirla con Pavese. La motivazione secondaria, ovvero la motivazione di Gianni, era appunto quella di stirare i pensieri, di manutenerli, di cercare di dare un po’ di senso alle cose che mi circondano (che poi è quello che grossomodo cerchiamo di fare tutti in qualunque momento delle nostre vite).

C’era il sole, la temperatura era ottimale, quell’aria che quasi diventa frizzantina nel momento in cui la stagione sta per cambiare, e io mi sentivo quasi felice.

Non sono andato laggiù per tirare chissà quali conclusioni, capire chissà quali cose o raggiungere chissà quali vette; sono andato laggiù/lassù solo per andare, per la gioia del camminare e del distendere i pensieri.

Ho sentito tanta nostalgia per le cose passate, ma questo è un tratto del mio carattere che ormai conosco e sopporto, quello di dover tirare avanti le cose per tempi infiniti prima di digerirle, metterle in un cassetto e passare oltre. Ho sentito speranza per le sfide che mi aspettano, perché ho pensato che immergersi nel flusso della vita senza voler per forza controllare tutto e che tutto sia sempre perfetto e al posto giusto può essere una ricetta non dico per la felicità, ma almeno per una certa distensione d’animo.

E appunto questo soprattutto ho sentito ieri, una sorta di serenità d’animo quasi robusta. Camminavo, mettevo un passo dietro l’altro e andavo sereno. Salendo, mi sembrava proprio che i pensieri si pulissero, o forse erano già più puliti di quanto credevo (come dice Andrea, sei più vicino alla metà di quanto tu creda – e vale per ciascuno di noi). È stata una sensazione simile a una provata qualche anno fa e descritta qui.

Non sentivo nemmeno il desiderio di provare pensieri particolarmente rivoluzionari o interessanti, come ora non sento il bisogno di scrivere cose particolarmente brillanti o imperiture: mi sembra un’ottima cosa già il poter descrivere i pensieri, metterli in fila anche senza ordinarli, così come sono (Gianni Celati insegna). Ecco, erano queste più o meno le sensazioni che ho provato ieri.

Sono state ore in cui ho osservato la vita scorrere tranquilla intorno a me, mi sono goduto i colori e profumi del bosco e insieme “il tremolar della marina” (sì, anche Dante mi ha accompagnato per un tratto). A tratti (prolungati tratti invero), l’asprezza di quelle montagne mi ricordava la Corsica del nord, e più precisamente la zona di Patrimonio, un luogo che conosco solo di sfuggita (come Bastia, che ne è l’epitome, quella zona di Corsica è soprattutto un ponte verso il sud, ma a fermarsi un attimo non puoi non rimanere incantato da cotanta bellezza). Osservavo compiaciuto, felice, allegro, tranquillo, in sintonia con me stesso e con tutto quello che di bello mi circondava. Poi, ritornato nel mio mondo, i problemi sono rimasti esattamente quelli di prima, ma non è questo il punto: il punto è essermi goduto una giornata in compagnia di me stesso e soprattutto aver pulito i miei pensieri.

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Gen 08


Ho capito che devo riprendere il passo smarrito. Come sempre uso la parola scritta per descrivere il mondo che mi circonda, cercare di darne una definizione; però è che alla fine delle fini a sentire un tale che si lamenta sempre, che non perde occasione per parlare del suo scoramento, del suo disallineamento rispetto al mondo, uno si stufa pure a sentirlo.

Io vorrei che le mie parole facessero magari riflettere o sorridere, facessero pensare, dessero spunti per proseguire altrove, non certamente che fossero percepite come uno strumento di noia mortale.

E dunque parlo della fatica di aver cinquant’anni, certo; ma anche della gioia, dei progetti ancora da immaginare e poi da cominciare. Del sole che un poco ti scalda – e non me soltanto.

Lascio andare i vecchi pensieri, la vecchia vita, la vita di prima che non è più la vita di adesso. Accetto il cambiamento, lo abbraccio, voglio vedere dove mi porta.

Penso con lieta nostalgia alle cose belle che ho lasciato, guardo la mia vita di prima e sorrido perché mi pare di essere finalmente un poco in pace con me stesso.

Del resto, come disse mia figlia piccola sei anni fa (“piccola”, poi! Così l’ho presentata a una persona qualche giorno fa, perché nella mia testa lei è piccola rispetto alla figlia grande, e quella persona è rimasta interdetta), a me che lamentavo il troppo poco che avevo fatto in vita:

Ma tutto il resto puoi ancora farlo.

E lo disse senza pensarci troppo. Allora in questo mio ondeggiare infinito tra la malinconia e la leggerezza magari quest’anno potrei anche fare che vince la seconda. Perché è vero che qualche giorno fa ho detto che non faccio piani per l’anno nascente, ma in realtà qualche progetto ce l’ho: principalmente scrivere molto di più. Osservare i pensieri, cercare di descrivere le sensazioni, dare loro un nome, vedere dove mi portano, continuare il viaggio verso le mie Cascate Paradiso.

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