Nov 21

E allora capii che ero un buffone della Vita,
di quelli che solo la morte avrebbe trattato da eguale
agli altri, facendomi uomo.
Edgar Lee Masters, Homer Clapp


Questa mattina, andando alla discarica per portare delle macerie che provengono (ovviamente) dalle Rosine, relative a un magazzino che stiamo ristrutturando (sono uguale a papà, me ne accorgo, ora che lui fisicamente non c’è più sono io a fare esattamente le stesse cose che faceva lui), mi sentivo molto Homer Clapp e molto quel ragazzo che spingeva quel Peugeot.

Erano le otto, c’era una nebbiolina molto leggera, il sole era spuntato da poco. Per la strada le altre auto mi superavano senza fatica. Io procedevo lento con la mia Punto di vent’anni fa, sporca e grigia; vedevo le altre auto lucide, mi figuravo i pensieri dei conducenti.

Mi guardo intorno e sono tutti migliori di me.

La discarica era vuota, io ero solo con i miei pensieri e le macerie.

Non riesco ad andare oltre, a mangiarmi una collina. Ricado sempre nei medesimi errori. Sempre Pavese:

– Come, – gridò Pieretto nel vento, – non sai che quello che ti tocca una volta si ripete? Che come si è reagito una volta, si reagisce sempre? Non è mica per caso che ti metti nei guai. Poi ci ricaschi. Si chiama il destino.

C’è sempre un Fifty nero, insomma, che ti supera. E tu rimani lì a guardare, “della razza / di chi rimane a terra”. E pensi che è ovvio che sia vero che solo la morte può renderti uguale agli altri, facendoti uomo tra gli uomini.


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