Il libro, alla fine, è uscito.
È uscito nei tempi previsti, il 30 marzo. La cosa non mi stupisce punto, perché tutto ciò che riguarda papà è sempre stato elegiaco e tranquillo. Sapevo che l’avrei fatto, l’ho fatto e sono soddisfatto.
Quel giorno sono andato a ritirare con mamma le prime copie. Era una mattina di nuvole, io ero imbarazzato e sulla porta del mio editore-amico le ho detto quello che fino ad allora le avevo taciuto, ovvero che avevo scritto un libro su papà. (Noi parliamo poco, questo si sa, mi sono fatto una ragione del fatto di non trovare mai le parole giuste quando è il momento, devo sempre parlare mediando con le mie insicurezze.)
In quel momento avevo un crogiuolo di sentimenti che come al solito non riuscivo a esprimere in maniera chiara. Mi sentivo stranito e fuori luogo, soprattutto perché questo è un libro molto personale, dove per forza dico tanto delle mie radici.
Ora lo prendo in mano, lo accarezzo, per suo tramite mi sembra quasi di parlare con papà, di sentire la sua voce. Come quando salgo sui tetti delle Rosine. E mi sovviene quella magnifica poesia di Nicola Duberti, O tubàu do rtir (“Il fumatore del ricovero”):
Còn ësta e sòn cařanta.
Vir la mustò
dla santa
ch’am vëgga nent tubé.L’hè dma ciù chëlla da puèmi stëřmé.
Peusc fumé
cheuncc còm en lum.
Ařmanch endřént ař fumem vagh tórna masnò.
Combèn ch’e n’aga stanta
em sent vořé, e seuj ëlgé.
E ‘n sovërciùij di
e l’han l’odo’ d me pò
e s’em pass sui caviji na man
em chërd ch’o segia chiala feme cara còm e fossa ‘n can.
(Con questa sono quaranta. / Volto l’immagine sacra / della santa / perché non mi veda fumare. // Non mi resta che lei se voglio avere qualcuno da cui nascondermi. / Posso fumare / bisunto come un lume. / Almeno dentro al fumo // mi rivedo ragazzino. / Anche se ne ho settanta / mi sento volare, sono leggero. / E inoltre // le dita / hanno l’odore di mio padre / e se mi passo sui capelli una mano / mi immagino che sia lui // ad accarezzarmi come fossi un cane.)
Ogni tanto, certo, mi prende la malinconia, in particolare del mio tempo bambino e delle cose che ho fatto e delle tante che non ho fatto con lui. Perché tante volte è troppo difficile, mi sembra troppo difficile prendere decisioni senza il suo conforto, senza la sua saggezza a dirmi che cosa devo e non devo fare. E ora il tempo passa e sembra normale che lui non ci sia. Qui alle Rosine, per esempio, a volte pare che papà non sia mai esistito. E proprio pensando alle Rosine, che è di fatto il principale legame con lui, mi sovviene un verso di Franco Fortini:
Dove una folla tace e gli amici non riconoscono.
Il libro comunque esiste, è una testimonianza. È piccola cosa, per carità, forse poco più di un ricordino funebre. Io l’ho scritto con grandissimo impegno ma senza pretese, l’ho scritto per testimoniare fatti che sono accaduti, pensieri che sono stati pensati; se sarà servito anche solo a me avrà già assolto al suo scopo. Sempre Fortini (Traducendo Brecht):
La poesia
non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.