Below the surface-stream, shallow and light,
Of what we say we feel–below the stream,
As light, of what we think we feel–there flows
With noiseless current strong, obscure and deep,
The central stream of what we feel indeed.
Matthew Arnold
J’ai lu tous les livres.
Stéphane Mallarmé
Ninna nanna, dorma fiöö
el tò pà el g’ha un sàch in spàla
che l’è piee de tanti ròpp:
el g’ha deent el sö curàgg
el g’ha deent la sua pagüra
e i pàroll che ‘l po’ mea dì.
Davide Van De Sfroos
Cambiano i paradigmi, cambia la vita, cambiano le prospettive, cambia tutto.
Un discorso del tipo “appena questo sarà finito torneremo tutti per strada, ci abbracceremo” eccetera semplicemente non ha senso. Perché il dopo sarà molto diverso da adesso, e noi saremo molto differenti.
Passo una parte significativa del mio tempo a (ri)leggere libri – ho ripreso a leggere libri, dopo uno iato di diversi mesi, e sto persino ricominciando a crearmi una mia biblioteca, io che senza libri mi pare di perdere significato; una ventina di anni fa circa entrai per motivi molto diversi da oggi (io ero molto diverso rispetto a oggi) in un vortice simile, solo che allora durò anni; e la rinascita avvenne sotto forma di Flatlandia, un libro cui per questo stesso fatto devo molto; questa volta invece ho ripreso da dove avevo interrotto quest’autunno, da 4 3 2 1 di Auster, ma con modalità molto diverse, perché io sono ora molto diverso rispetto a com’ero questo autunno. E dunque anche quel libro mi ha parlato in maniera differente.
E in ogni caso riprendo a “leggere” le sensazioni che albergano in me. Le mie paure, che non mi lasciano, anzi col tempo non fanno che ingigantirsi. Trascorro molto tempo da solo, ho maniera di pensare, annoiarmi, lavorare per quel che c’è.
E dalle sensazioni al tentativo imperfetto di metterle in parole il passo è breve: ora dunque riprendo a scrivere. E la scrittura è un mestiere che non si insegna, si impara. Io l’ho imparato – almeno, credo di averlo imparato – a partire dalla seconda media, quando iniziai a scrivere un racconto ispirato a qualcosa che si faceva in classe, e da lì proseguii tutti i giorni del mondo che Dio manda in terra. Certo, ho ancora ambizioni; ma se dopo quarant’anni di prove e controprove sono ancora al punto di partenza forse sarebbe il caso di ammettere che il talento, ecco, non c’è. Ma non importa; scrivo perché esplorare le sensazioni mi dà sollievo, a volte persino gioia. Scrivo nonostante i miei errori.
Però un attimo… è tutto diverso ora, ma non è tutto negativo. Per esempio ho iniziato a compilare la lista dei cento progetti, ovvero le cose che voglio mettere in cantiere nel breve e medio termine. Lista che poi sfronderò, e magari di cento ne sopravvivranno tre o quattro. Ebbene, in quella lista ci sarà comunque una parte importante dei miei anni a venire.
Mi sento un po’ come Harold, personaggio fittizio de L’animale sociale di David Brooks:
Per tutta la vita, fino a quell’ultimo giorno, si era domandato come sarebbero andate le cose. Ora la storia era completa. Conosceva il suo destino. Era sollevato dal peso del futuro. La paura della morte era là, sempre presente, ma insieme a quella paura c’era la consapevolezza di essere stato straordinariamente fortunato. […] A questo punto le sue domande sul senso della vita se n’erano andate, ma avevano avuto risposta.
Non pretendo di fare scoperte particolarmente brillanti. È che sempre, ma forse in questo momento ancor di più abbiamo bisogno di poeti e contadini; e le mie parole sono una poesia. Imperfetta, quel che vuoi: sono la mia poesia.