Questo è un libro bellissimo, che merita pienamente il successo che sta avendo.
Conoscevo Gramellini solo molto tangenzialmente e distrattamente, ma il consiglio di un’amica mi ha spinto verso questo romanzo – questa storia, come la definisce l’autore – e l’ho trovato meraviglioso.
È un libro che parla dell’importanza del perdono, del lasciare andare le colpe come mezzo verso il crescere, verso il diventare tutto quello che possiamo diventare. Il tutto con una scrittura ariosa e leggera.
Una citazione:
Se alzi il velo sui tuoi tormenti più intimi, ti esponi alle critiche di chi trova insopportabile la sincerità perché ne teme il contagio.
E poi ce ne sarebbero tante altre, ma il libro mi ha rapito e ho preferito arrivare al fondo della storia anziché soffermarmi sui dettagli. Ora lo rileggerò con calma, cercherò di digerirlo. Ci vorrà tempo. Ma il succo, in due parole, è chiaro già da ora: perdona e passa oltre. A Gramellini sono occorsi quarant’anni ma ci è arrivato, questo è importante. Lo dice anche Antonio Albanese in Un uomo d’acqua dolce:
C’era una crepa sul muro vicino alla mia lavagna. Io stringevo l’occhio e guardavo il fiore del grano. Notte e giorno, giorno e notte col naso incollato al muro. Poi ho deciso di entrarci, dalla crepa, perché bisogna capire nella vita! Perché bisogna capire nella vita, Tonina! Bisogna capire nella vita.
Capire e perdonare. Gramellini qui mescola ironia e delicatezza, intelligenza e sensibilità. Il risultato è ottimo.
Mi permetterò anche un appunto: bambin e Madamin non vogliono l’accento! Posso capirne la logica, ma la grafia della lingua piemontese ha, com’è giusto che sia, regole precise e non sopporta d’essere bistrattata (peraltro sono gli unici refusi, e di categoria molto particolare invero, che ho trovato nel libro).
Ma è un peccato veniale, e lo si perdona (appunto!) volentieri. Questa è un’opera magistrale, una gran prova di scrittura e di pensiero. Chapeau, monsù Gramellini.