Set 03


Ho fatto quel che ho voluto, e questo è ciò che conta davvero. Ho scritto questo libro per me soprattutto, perché dopo il secondo non volevo più che passassero tanti anni tra l’uno e l’altro, perché mi picco di essere scrittore (che lo sia davvero o meno non è importante, credo di esserlo e questo è sufficiente) e uno scrittore scrive, perché sentivo di avere cose da dire, informazioni da passare, volevo lasciare il segno.

Il libro ha venduto poco, ma non importa: ogni tanto mi arrivano messaggi di complimenti e allora mi rendo conto che è per momenti come quelli che scrivo. Ovviamente credo che meriterebbe molto di più ma questo lo pensa qualunque autore; i messaggi di chi l’ha letto e – soprattutto – messo in pratica mi bastano.

Io non sono tanto bravo a vendermi ma anche questo non importa: lì ci sono ricette pratiche, ricette che funzionano e per me è sufficiente. La mia vita è già 2.0 da anni ormai, alla fine è questo che conta. Il libro in sé piano piano si allontana da me, com’è naturale che sia.

Vendere, alla fine, non mi interessa nemmeno così tanto: vedo il libro come un messaggio in bottiglia, arriva ai felici pochi e per me è sufficiente, va bene così.

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Dic 19


… o forse tre. (La mia vita 2.0 era iniziata due anni prima, nel 2008, e prima con meraviglia e poi con sempre maggior decisione ho sperimentato su di me i cambiamenti.)

Esattamente un anno fa facevo qui la cronaca dell’edizione del mio ultimo libro. Oggi voglio tentare un bilancio (provvisorio), vedere come quel libro ha influito su di me e – sperabilmente – su altri.

L’idea di fondo è che tu sei l’artefice del tuo destino, e che solo tu puoi decidere che cosa è giusto oppure no per te. (Non sempre ci riusciamo, ovvio.)

Soprattutto, per cambiare – cambiare davvero – ti deve essere chiaro che vuoi cambiare. Sembra una tautologia ma non lo è: non esiste un cambiamento generico, ma solo un cambiamento preciso che nasce da una precisa volontà interna.

Ecco, questo mio entusiasmo a volte ingenuo è allo stesso tempo contagioso, qua e là. Alla fine, si semina “solo” per i felici pochi di morantiana memoria. Mi piacerebbe, ma non posso contare sul fatto che il cambiamento sia generale, dobbiamo sempre basarci sul fatto che la maggior parte delle persone si limiterà a dire qualcosa come “bello”, con un sospiro aggiungendo “beato te che te lo puoi permettere…”, e poi ritornerà alle azioni abituali, sperando che portino a risultati diversi.

(Tu non sarai tra quelli, voglio ben sperare.)

È un progetto imperfetto e migliorabile, con i suoi grossi limiti (per fortuna). Ma si va avanti, un po’ di tempo c’è ancora. E, per dirla con Chris Guillebeau,

I would do it again tomorrow. Next time I want to do a 7-continent book tour.

Gen 17

Ho cercato di dire in breve come il mio libro possa aiutare chi è interessato a strutturare meglio la propria vita a dare meno importanza al lavoro e – soprattutto – più valore alle passioni e a ciò che ci definisce veramente.

Gen 03

L’idea (presuntuosa al limite della vanagloria, lo so) di formulare delle “leggi” mi viene da lontano. Tanti anni fa Nicola Poeta parlò di un “teorema” che avevamo elaborato assieme, una via di mezzo tra la scienza e la goliardia:

Il costo a parola di partenza equivale al costo a cartella diviso 2, utilizzando il centesimo di euro come unità.

Quello era il primo teorema di Davico, o più precisamente di Davico-Poeta. So che c’era, ma non ricordo qual era il secondo. Tant’è: evidentemente però l’idea di cercare delle regole nel mondo mi è rimasta, e per il mio ultimo libro ho elencato cinque leggi:

Legge di Davico numero 1, o della ricchezza
La vera ricchezza è data dal tempo che hai a disposizione, non dai soldi.

Legge di Davico numero 2, o del tempo
La mancanza di tempo non è altro che mancanza di priorità.

Legge di Davico numero 3, o del lavoro
NON – sì, non – lavorare duro.

Legge di Davico numero 4, o della zucca
In qualunque ambiente professionale, il 90% dei professionisti è zuccone.

Legge di Davico numero 5, o dell’indipendenza
Mettersi per conto proprio è la strada ineluttabile verso la libertà e la felicità.

Com’è logico (e come mi auspico), incontreranno molte resistenze, storcimenti di naso e così via. Del resto io preferisco trovare qualcuno che non è d’accordo con me e mi dica la sua opinione motivata piuttosto che mi si dica che ho ragione (o la conoscenza non progredirebbe).

Insomma per me sono assiomi, di cui verifico continuamente la veridicità: mi aiutano a lasciare il mio segno nel mondo, e ho la pretesa di ritenere che servano anche ad altri.

Dic 20


Dopodomani mercoledì 22 dicembre è il giorno, per me (meglio per il mio libro). Un conto è progettare un libro, organizzarlo, scriverlo; una storia differente è decidere il formato, curare l’impaginazione, vederlo nascere, rompere le scatole ad ogni piè sospinto allo studio grafico per farsi mandare un PDF, sapere questo e quel dettaglio, chiedere quando ci saranno le copie.

È stato un parto, sì. Sto imparando a fare l’editore di me stesso. Questo libro mi gira qui intorno da qualche giorno ma solo mercoledì – mercoledì 22 dicembre 2010 – l’avrò fisicamente in mano, potrò dire che sarà uscito. Dieci giorni prima della fine dell’anno, come sapevo da oltre un anno. E quindi mi vengono in mente le parole di Jack Walsh (Robert De Niro) in Prima di mezzanotte: “Mezzanotte meno un quarto… ce l’avrei fatta”.

Oggi non voglio parlare dei contenuti. Oggi voglio tentare una cronaca di un’edizione, a memoria futura.

Intanto, quando ho pubblicato il mio secondo libro una cosa sapevo: che non sarebbero più trascorsi otto anni, com’era successo in quel caso rispetto al precedente, per pubblicare il terzo.

Il progetto nacque due anni fa. L’idea iniziale era quella di comporre un manuale ad uso del giovane professionista (creare un’attività, il marketing, la burocrazia, la logistica, le crisi eccetera). Ma il giorno stesso in cui lo presentai all’editore mi sono reso conto che non funzionava, che io non avevo le competenze e la voglia necessarie per scriverlo. Era l’inizio del 2009. Rimisi mestamente il progetto nel cassetto delle cose incompiute.

E tuttavia ce l’avevo dentro di me. L’estate 2009 mi portò consiglio, iniziai a scrivere, il progetto prese corpo e sostanza. A novembre scrivevo:

Il mio libro è arrivato a 8.185 parole, entro settembre 2010 sarà terminato, entro fine anno sarà (auto)pubblicato.
È diverso rispetto al progetto originario: più ampio e più circoscritto al tempo stesso. Parla di felicità (questo concetto che teniamo sempre così nascosto, di cui troppo spesso parliamo con circospezione e vergogna), fortuna, ricchezza, dell’autenticità come valore-guida per il secondo decennio del secolo, di come la tecnologia può facilitare il nostro lavoro e così via.
Sono i temi che conosco, quelli dove mi sento preparato e – soprattutto – sento di poter portare valore a chi si prenderà la briga di leggerlo. […]
Non insegnerò nulla, ma faciliterò il compito di chi vorrà imparare da sé.

Tra dicembre 2009 e gennaio di quest’anno mi sono messo sotto con decisione, e a quel punto lì il progetto era di fatto completato. Da allora è passato quasi un anno e la sostanza del libro stesso non è cambiata di molto; ma insomma è successo e ora lui è qui, mi accompagnerà.

Tanti anni fa su Langit apprezzai tantissimo un commento di una traduttrice:

Sono mamma. Per sempre!

Chi sia, ignoro; parlava comunque del suo pargolo. Ecco, io le figlie le ho già, ma ho sempre considerato Tesi & testi una mia creatura; e anche questi libri, a modo loro, lo sono. E l’ultimo, quello più gracilino, quello che ha avuto il parto più travagliato, è forse quello a cui ti affezioni di più, cui vuoi più bene.

Naturalmente spero che venga letto e apprezzato; soprattutto spero che sia utile a tante persone (10mila, è la mia previsione – thing big act small). Ma insomma io posso dire, con Pavese, che

La mia parte pubblica l’ho fatta – ciò che potevo. Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti (Il mestiere di vivere, 16 agosto 1950).

E mi sento in pace con me.

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Nov 29

Oggi parlo di me – o meglio del mio ultimo libro (dal titolo La vita 2.0, appunto), progetto che ha riempito le mie giornate per tutto lo scorso inverno e la scorsa primavera.

L’idea che lo sottende è semplice (forse troppo semplice; ma il re è nudo, per dirla con Andersen): la felicità è alla nostra portata sempre e comunque, e ammazzarsi di lavoro non è più necessario. Basta prepararsi per tempo (Simone Perotti docet), applicare il principio di Pareto e la legge di Parkinson, spingere con decisione sul pedale della tecnologia e il gioco è fatto.

Ad aprile ne parlavo già come progetto concluso; e in effetti – come blocco almeno, come unità di pensiero – per me lo era; tant’è che da allora a oggi l’ho riletto qualche volta e ho apportato correzioni minime, ma sostanza e forma sono di fatto rimaste immutate.

Il problema – un problema che, vanitoso come sono (shame on me), ho sottovalutato – è stato trovare un editore disposto a pubblicarlo.

I miei due libri precedenti hanno venduto rispettivamente quasi 2mila e quasi mille copie. Non cifre da best seller, per carità; ma comunque risultati soddisfacenti per un carneade come me.

E io immodestamente pensavo che non sarebbe stato così difficile, questa volta, che il tema è d’attualità e potenzialmente degno di attenzione per molti.

Mi sbagliavo di grosso. Ho contattato una trentina di editori: c’è stato in qualche (raro) caso un minimo di interesse, ma nulla di concreto. Classico esempio di cerino acceso in mano: e la candela brucia in fretta, e brucia da due lati per di più. E io volevo (voglio)

continuare, andar oltre, mangiarmi un’altra generazione, diventare perenne come una collina (Pavese, Il mestiere di vivere, 19 gennaio 1949).

Altri libri mi aspettano, altri progetti. E quindi ho deciso che non ha importanza se non c’è l’editore: a mio parere il libro sarà interessante per molti (banale per molti altri, ma non importa). (Si potrebbe far di meglio, naturalmente, molto meglio; ma al momento io posso arrivare solo fino a qui.) Credo che sarà utile. E quindi lo pubblico da me e lo distribuirò tramite questo blog.

In sostanza ho pensato quel che dice Federico Bavagnoli:

Se non lo facciamo oggi non lo facciamo più; se non lo facciamo noi non lo fa nessuno.

Che è poi la filosofia di una tra le persone cui in assoluto devo di più (e non solo per il libro), Batista. Ovvero senza di lui questo libro non avrebbe mai visto la luce: lui – da lontano, da quella collina albese orientata a mezzogiorno (e il còs disti? [che cosa racconti?] è una sorta di saluto rituale che apre molte nostre mattine [mie, almeno; lui da bravo lavoratore si alza mooolto prima di me]) – mi ha spronato, incoraggiato, corretto quando ho detto e fatto sciocchezze e così via. Con Batista dalla tua parte tutto diventa molto più facile, gli ostacoli minuscoli, la gioia moltiplicata. Naturalmente la lista delle persone cui per questo libro devo dire grazie è mooolto lunga, ma Batista è senza dubbio il primo.

Insomma il libro è qui, nelle ultime fasi, quasi pronto. Da un anno sapevo che l’avrei fatto uscire entro dicembre 2010. Così sarà. Nelle prossime settimane lo racconterò più in dettaglio, scenderò nei particolari che più interessano i potenziali lettori e così via. Ma per intanto volevo far presente che le cose stanno così.

Che si sappia.

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Ago 24

Prendo spunto da un commento che la collega María José Iglesias ha lasciato sulla mia pagina FB:

Che bello il tuo blog, Gianni. È sempre molto piacevole leggerti e nelle tue parole trovo sempre nascosto qualcosa di quello che per me è essere imprenditore, che coincide pienamente con l’essere persona, con un cervello e un cuore. Sei un uomo fortunato 🙂 Anch’io sono fortunata.

(“Ragazzo” e non “uomo”, mi sono permesso di correggerla io; anche se il primo pensiero – o forse sensazione che precede il pensiero – è stato la gratificazione che immediatamente il mio essere vanitoso come un gatto ne riceveva.)

Ho aggiunto che, come dice Luigi Muzii, proprio perché siamo ragazzi fortunati dobbiamo (abbiamo il dovere morale di) restituire parte di questa fortuna agli altri. Ed è su questo punto che mi sono trovato, in questi due giorni di Verdon (quello che per me è uno dei luoghi più belli dell’orbe terracqueo che conosco), di silenzio, montagne, orridi, panorami mozzafiato e laggiù, piccolissimo e pacifico, il fiume, a riflettere.

Parlo per me, inizio da me. Da me, perché, come dice Federico Bavagnoli,

Se non lo facciamo oggi non lo facciamo più; se non lo facciamo noi non lo fa nessuno.

Quindi: poiché il caso / la vita / la sorte / la fortuna / Dio (casella da riempire a scelta, e sono possibili risposte multiple) mi ha dato delle doti, è giusto (ovviamente) che ne benefici, ma è altrettanto giusto che trasmetta questo beneficio a chi ha voglia di starmi a sentire.

È una lezione che ho imparato da Chris Guillebeau: il merito va a lui. (E il suo libro esce tra 14 giorni. Meno male: io ne ho bisogno.) A Luigi va il merito di avermelo ricordato – repetita iuvant, si sa –, a Maria José il merito (tutt’altro che piccolo) di aver dato l’abbrivio a questa riflessione. “Grazia à tutti / è l’amichi”, direbbero i miei amici Svegliu d’Isula.

Per me, questo vuol dire, tra le altre cose, il mio libro: l’ho riletto proprio in questi giorni, e l’ho trovato degno d’attenzione e utile: indipendentemente dal fatto che l’abbia scritto io, e nonostante il fatto che potrà non interessare a molti. Ma non è importante che venga ignorato dai più, è importante che il messaggio arrivi alle persone giuste, a chi avrà voglia di starmi a sentire per avere benefici per sé. (Entro fine anno sarà pubblicato, è una promessa solenne: deve uscire, perché io voglio andare oltre, pavesianamente mangiarmi una collina ecc.)

Vuol dire questo blog, questi blog, che sono ormai uno dei miei quattro mestieri.

Vuol dire che più doni offro al mondo e più, in realtà, sono io a beneficiarne. Aver capito questo è stato un passo avanti immenso nel mio personalissimo percorso di conoscenza.

E per te? Che cosa puoi offrire di veramente speciale al mondo? E come?

Apr 20

Sto tirando le fila del mio libro, e mi trovo con un’opera organica e completa (almeno, io penso che lo sia), che mi è cresciuta tra le mani senza quasi che me ne accorgessi.

Questo manuale (purtroppo io sono come quell’operaio di una fabbrica di armi da guerra di quel racconto di Rodari, che per quanto si sforzasse di costruire giocattoli pacifici per il nipotino gli venivano sempre fuori armi: io so solo scrivere manuali), che vedrà la luce entro l’anno (sono ora nella fase della ricerca dell’editore), ha la pretesa di dire che un mondo – del lavoro, soprattutto – migliore è possibile, che non si devono sempre seguire le regole imposte da altri, che si può vivere bene e decentemente anche senza ammazzarsi di lavoro.

Una domanda, in questi anni, mi è girata in testa tante volte: quanti tra di noi, arrivati in punto di morte, vorrebbero aver passato più tempo in ufficio? A mio modo di vedere, lo scopo del lavoro è quello di liberare il tempo e quindi di permetterci di dedicarci a compiti più importanti e significativi. Oggi, anche grazie alla tecnologia, tutti possiamo farlo: se lo faremo o no dipende solo da noi, dal grado di libertà che decideremo di assegnare alle nostre proprie vite.

Parlo ogni volta che ne ho l’occasione con persone che hanno molte responsabilità sul lavoro, e non riesco a capire il loro punto di vista quando si riferiscono al loro lavoro come a qualcosa di inevitabile al pari di uno schiacciasassi (come loro non riescono a capire il mio: “Eh, beato te che puoi lavorare così poco…”). Ma per me una vita più semplice, più piena e più ricca di significato, svuotata da preoccupazioni inutili e soprattutto non ricolma di lavoro fino all’orlo, è possibile: sta a noi darci l’autorizzazione a vivere secondo le condizioni che avremo deciso per noi stessi.

Sono arrivato a queste conclusioni cambiando molto, in questi anni: ho imparato a semplificare, ad applicare il principio di Pareto e la legge di Parkinson. Ora tutto riguardo al lavoro e non solo mi sembra enormemente più semplice; e penso di poter e saper trasmettere questa filosofia (spicciola) di vita. Ecco perché sono convinto che questo libro può fare del bene a molte persone.

Gen 05

De Biase
Mi sono imbattuto in questo volume per caso, nel corso delle ricerche per il mio libro sulla filosofia spicciola (18.635 parole al momento; dei contenuti non so giudicare), e ho iniziato a sfogliarlo in maniera distratta, da lettore vorace e consumato e abituato a troppi libri inutili. (Saccente, in una parola.)

Poi però arrivo a pagina 78 e trovo una frase, sui motivi per i quali in economia si parla troppo poco di felicità, che vorrei avere scritto io:

Quasi che la felicità fosse considerata un punto d’arrivo talmente alto e indefinibile da dover restare fuori dal dibattito.

Allora mi appassiono. Mi faccio attento e guardingo, trovo altri concetti che attirano la mia attenzione. Mi incuriosisco. Naturalmente arrivo al sito di Luca De Biase, che è un punto di partenza per altre riflessioni.

Adesso c’è molta carne al fuoco e, per ora, di più non so dire. Però bravo Luca, non ti conosco ma il tuo lavoro è ottimo.

Nov 30

Il mio ultimo post era una richiesta d’aiuto, motivata dal fatto che tante teste pensano mooolto meglio di una sola (il potere del crowdsourcing, lo potremmo chiamare ora). (A proposito: Renato Beninatto ci fa sapere che in 36 giorni l’ultimo libro di Dan Brown, 614 pagine, è stato tradotto in svedese da sette traduttori, rivisto, impaginato, stampato e distribuito in 300mila copie.)

Ho ricevuto pochi suggerimenti, il che può voler dire essenzialmente due cose:
– ho pochi lettori (ma sarebbe un colpo troppo grande alla mia vanità di scrittore, preferisco non ritenerla una causa);
– la felicità, soprattutto se associata al lavoro, lascia attoniti e sconcertati (sì, dev’essere senz’altro così! :-).

Tra i consigli richiesti, Silvina Dell’Isola suggerisce questo “piccolo granello” (così lo ha chiamato lei). Ok, può dare qualche indicazione.

E segnala un altro contributo di taglio accademico, mettendo l’accento su quanto riportato alla slide 45:

Paradosso del reddito: maggiore reddito non determina maggiore felicità. […]
Nel tempo: negli ultimi decenni nei paesi industrializzati il reddito pro capite è aumentato molto, ma la felicità media è leggermente diminuita.

Questo è un punto da studiare. Il problema principale, credo, sta nel trovare delle misurazioni sufficientemente oggettive; ma poiché questo non sarà possibile, dovremo allora accontentarci del buono ritenendolo in questo caso nemico dell’ottimo. (Proprio Chris Guillebeau ne ha parlato poco fa.)

Kirsi Ninita Raty dice che per lei sono importanti:

The Power of Now, di Eckhart Tolle, “rigorosamente su carta, sempre nella borsetta”. Bene, l’ho ordinato e lo sto aspettando, saprò dire;
The Happiness Project e i suoi preziosi link; e su questo concordo.

Molto, comunque, rimane da fare. (Nel mio piccolo, mille parole a settimana nei prossimi sette mesi. Mi rimetto al lavoro.)

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