Nov 09

DCL
Sei anni fa uscì il Dizionario delle Combinazioni Lessicali: opera che, a quanto ne so, è unica nel suo genere per il fatto che fornisce le combinazioni di nomi, aggettivi, verbi e avverbi, con ciò dando una bella mano a chi lavora con la lingua italiana. Ne parlai qui (inclusa un’intervista con l’autore, Francesco Urzì).

Già allora la carta pareva come una barriera alla diffusione di quest’opera meritoria. Infatti alla mia domanda (“La carta, per quanto affascinante, potrebbe essere un limite per questo strumento. Prevedi un’edizione su CD?”) l’autore rispose:

Sembra la conferma della legge del contrappasso. Il DCL, concepito per essere pubblicato su supporto informatico, viene alla fine pubblicato su carta, e adesso il CD-ROM viene sollecitato a furor di popolo…
Non posso ignorare questa istanza popolare. Non appena raggiunta una certa massa critica (in termini di copie vendute) partiremo anche con questo progetto.

Ecco, passati gli anni anche i CD sembrano cose dell’altro ieri, ma da poco tempo è online la versione digitale del dizionario e la lacuna è colmata. È un passaggio che appare logico, l’ideale completamento del dizionario su carta: i libri su carta non sono ancora sostituibili, ma sappiamo bene che la comodità del digitale non è resistibile. Senza contare i vantaggi dell’aggiornamento costante (nella mia biblioteca fanno bella mostra di sé i volumi degli aggiornamenti dell’Enciclopedia Treccani, dalla prima appendice del 1938/XVI fino ai cinque volumi del 1979-1992, che non credo di avere mai aperto.)

L’opera è meritoria, utile per tutti coloro che lavorano con la lingua italiana. Il sito supera i limiti della carta e si mette in pari con la tecnologia. Per questi motivi dico bravo a Francesco Urzì, e lo ringrazio per aver creato uno strumento che ci permette di conoscere più a fondo e utilizzare al meglio la nostra lingua.

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Ago 24

libri Goldoni
La mia passione per la scrittura e i libri di Luca Goldoni ha origini abbastanza lontane. Dopo tre anni passati a studiare (si fa per dire) economia, avevo da poco fatto il passaggio a lettere, ovvero alla sola facoltà cui davvero avrei potuto appartenere, e un’amica mi consigliò questo autore che non conoscevo. Fu un amore subitaneo e totale, e la sua leggerezza di scrittura è stata una delle pietre miliari per il mio scrivere.

(Non credo di averlo mai raccontato, ma espressioni come appoggiami il formaggio sono diventate parte del lessico familiare di casa Davico. Da noi sarebbe impensabile passare il formaggio: si può soltanto appoggiarlo.)

Qualche anno fa ebbi la fortuna di conoscere lo scrittore di persona, e insieme a lui il figlio Alessandro. È un’amicizia distante, fatta di contatti rarefatti, ma che mi rallegra in pieno.

Ebbene, ora padre e figlio hanno dato alle stampe Francesco Baracca. L’eroe dimenticato della grande guerra, che è una sorta di biografia romanzata di un eroe oggi abbastanza messo da parte. Mi è venuto bene, quindi, approfittare di questo legame per fare a loro qualche domanda sul libro, che personalmente ho trovato fresco e leggero.
Baracca
– Com’è nata l’idea del libro?
Fra i tanti libri per i cento anni della prima guerra mondiale, mancava il ricordo dell’eroe dell’aviazione Francesco Baracca.

– Che cosa in particolare vi ha attratto del personaggio?
Ha realizzato con mezzo secolo di anticipo il famoso pensiero di Che Guevara: indurirsi senza perdere tenerezza.

– Come sarebbe diventato Francesco Baracca se fosse invecchiato?
È difficile immaginare da vecchio un uomo che ha vissuto così intensamente ogni istante della sua brevissima vita.

– Qual è l’insegnamento principale che ci resta di lui?
Che la vita e la tenacia vincono la paura.

Un concetto importante del libro, ribaditomi da Luca Goldoni in una cordiale telefonata di qualche giorno fa, è che un eroe come Baracca era abituato a vivere per così dire su due piani: perché da una parte c’erano le feste, la mondanità, le belle donne e la bella vita di cui un personaggio come lui faceva parte in maniera naturale, ma dall’altra c’era la consapevolezza che il giorno dopo ci si poteva alzare per andare a combattere e anche morire. Questo a differenza di chi andava in trincea, che a un certo punto veniva quasi a sperare di farla finita, perché non ne poteva più delle condizioni di vita disperate, della fame, dell’igiene assente e così via. Francesco Baracca potrebbe essere paragonato a uno di quei protagonisti dei romanzi ottocenteschi di cappa e spada, con una vita bellissima e – allo stesso tempo – la possibilità concreta e reale di morire.

In due parole questo è un libro gradevole e di rapida lettura, che attrae come un romanzo – non di cappa e spada, ma come un racconto fresco dei giorni nostri. Grazie, Luca e Alessandro, per averlo immaginato e scritto.

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Mag 05

4 ore alla settimana
Non ho mai scritto una recensione vera e propria di questo libro.

Di fatto, però, se ripenso alle trasformazioni avvenute dentro di me negli ultimi anni, riconosco che ne è stata la benzina principale. (Tutto partì, credo, da qui, ma poi Ferriss mi diede gli strumenti per elaborare il mio pensiero.)

Ne ho comprate, nel tempo, diverse copie, in lingue e formati diversi. L’ho letto, riletto e ancora oggi lo consulto ogni tanto: mi serve a ricordare qual è la direzione.

Trovo abbastanza ironico che non si trovi nemmeno più a volerlo comprare, o che comunque sia un atto molto difficoltoso. È un mondo che brucia in fretta i suoi miti, si sa; comunque mi appare una cosa poco logica, date le informazioni che contiene.

Ne regalai una copia a Simone Perotti il giorno che lo conobbi. Fu un atto casuale, ma per come conosco il pensiero di entrambi mi sembrano decisamente allineati; anche se Ferriss è più “americano”, pratico e diretto al punto, mentre Perotti è più “filosofico”, europeo e di grande respiro.

A seguire qualche citazione che ho apprezzato in maniera particolare.

Per tutte le cose più importanti, il tempo manca sempre. […] Le stelle non si allineeranno mai e i semafori della vita non saranno mai tutti verdi nello stesso istante. L’universo non cospira contro di voi, ma non si ferma nemmeno per aiutarvi a rimettere le cose in ordine. Le condizioni non sono mai perfette. (p. 43)

La maggior parte degli input sono inutili e il tempo viene sprecato in proporzione alla quantità disponibile. (p. 92)

Smettetela di chiedere pareri e cominciate a proporre soluzioni. (p. 97)

[un suo ex capo] “Tim, non voglio tutta la storia. Dimmi soltanto che cosa dobbiamo fare”. (p. 115)

Il nostro obiettivo non è creare un’impresa che sia il più grande possibile, ma piuttosto, un’impresa che ci disturbi il meno possibile. (p. 215)

È un libro che parla al lato destro del cervello, e lo fa in maniera precisa, con indicazioni logiche e condivisibili. Chiaramente ciascuno ne potrà adattare i principi al suo proprio caso, ma io sono il testimone che – per me almeno – il sistema funziona.

Ott 28

IFC
Conobbi Daniel alla stazione di Grosseto, in un giorno di primavera di due anni fa. Ricordo perfettamente la sensazione di calma e forza che subito mi trasmise la persona. (Forse sarebbe più corretto dire che lo ri-conobbi, perché vidi in lui – immediatamente, senza pensare – una proiezione di come avrei voluto essere io.)

Poco più di un anno fa lui è partito alla scoperta – ma anche qui, si tratta piuttosto di una ri-scoperta – dell’Italia che cambia: lo scopo era quello di incontrare quelli che lui ha chiamato “gli agenti del cambiamento”, ovvero coloro che hanno deciso che le condizioni di vita cui sono costretti non vanno bene. E quindi cambiano.

O meglio, hanno già cambiato. Sono già cambiati. Se dovessi sintetizzare in poche parole questo progetto non potrei dirlo meglio che con le parole di Montale:

Qualche volta s’incontra l’ectoplasma
d’uno scampato e non sembra particolarmente felice.
Ignora di essere fuori, nessuno glie n’ha parlato.
Gli altri, nel sacco, si credono più liberi di lui.

Ma gli incontri, ovviamente, non erano fini a se stessi, erano piuttosto il pre-testo per un testo: i sette mesi e sette giorni di viaggio sono infatti diventati libro, Io faccio così. Viaggio in camper alla scoperta dell’Italia che cambia.

Ora, questa rivoluzione silenziosa è in atto dal 2008 perlomeno, ovvero dal momento in cui divenne chiaro a tutti che l’economia e la società così come sono strutturate oggi non vanno bene, e dunque per forza – per forza – devono cambiare. E cambiano: è semplice, logico e conseguente.

Daniel è un testimone e un osservatore acuto di questo fenomeno dal quale nessuno può più chiamarsi fuori. La sua calma e la sua forza mi commuovono. E questa rivoluzione silenziosa non ha bisogno di essere gridata, semplicemente è.

Mag 06

pecoranera
Avevo preso in biblioteca il suo libro – un approccio soft, come dire –, poi ho iniziato a leggerlo mi è piaciuto talmente tanto che mi sono vergognato: sono andato in libreria con un’amica, l’ho comprato e gliel’ho regalato seduta stante. (Da autore sono sicuro nell’affermare che i libri vanno comprati. Fine.)

Perché niente, io prima di morire voglio andare a conoscere Devis Bonanni, alias pecoranera. E voglio farlo perché scrive bene, perché è tosto, perché sa che cosa sta facendo e perché, perché ha dei dubbi ma anche dei punti saldi (quella capanna che liberò dai rovi, tanto per dire).

Voglio parlare con lui, spiegarmi, capire. Voglio sentirlo parlare, vederlo lavorare. Perché quella è una strada percorribile; ed è vero che io sono fortunato, lassù in montagna ho praticamente tutto pronto, ma chiunque può fare una cosa del genere. E “chiunque”, via tutte le balle, vuol dire chiunque.

Per me una recensione – e questa è una recensione, sia pure sui generis – non è tale senza almeno una citazione. Vorrei citare il libro intero, ma dovendo scegliere un passo opterei per questo:

Quando si inizia a essere la propria idea non c’è più necessità di parlarne, di farne propaganda, di urlarla addosso al mondo. Eccomi, sono qua a coltivare i miei pomodori, era questo che aveva sostituito le infinite discussioni sui massimi sistemi. Quel che avrei da dirvi lo sto facendo (p. 176).

La pagina Facebook parla del libro in questa maniera:

Tra le montagne della Carnia, la straordinaria storia di un ventenne e della sua scelta di vita coraggiosa e controcorrente, a mezza strada fra i libri di Mauro Corona e “Adesso Basta” di Simone Perotti.

E questo sì, è vero, ma c’è di più: nel senso che lui è lui e basta, non assomiglia a nessuno se non a se stesso. Non lo voglio mitizzare perché non lo conosco (ancora) ma insomma voglio dirti bravo Denis, sei in gamba.

Poche parole, via tutte le balle, si fanno i fatti: i fatti parlano per noi.

Gen 14

Flow
Oggi non parlo io, parla un libro fondamentale per capire meglio il concetto di flusso (flow), ovvero la condizione in cui ci troviamo quando siamo in situazioni nelle quali ricaviamo talmente tanto piacere da quel che stiamo facendo che ci dimentichiamo quasi di noi stessi, che il mondo esterno non ha più alcuna importanza, che non siamo più nemmeno consapevoli dello scorrere del tempo.

Flow. The Psychology of Optimal Experience di Mihaly Csikszentmihalyi (d’accordo, il cognome potrebbe porre qualche problema) è un’opera straordinaria, un luogo dove filosofia, psicologia e vita quotidiana si incontrano. La parola al libro. (Io ho semplicemente tradotto i passaggi.)

Sulla differenza tra piacere e gioia
Le esperienze che danno piacere possono anche dare gioia, ma le due sensazioni sono molto diverse. Per esempio, tutti provano piacere a mangiare. Godere del cibo, tuttavia, è più difficile. […] Una persona può provare piacere senza sforzo alcuno, se i giusti centri nel suo cervello sono stimolati elettricamente, o come conseguenza della stimolazione chimica dei farmaci. Ma è impossibile godere di una partita di tennis, di un libro o di una conversazione a meno che l’attenzione sia pienamente concentrata sull’attività (p. 46).

Sulla felicità
Le persone che imparano a controllare l’esperienza interna saranno in grado di determinare la qualità della loro vita: il che rappresenta la minor distanza possibile che ciascuno di noi può avere rispetto alla felicità (p. 2).

Sulla vita armoniosa
Invece di preoccuparsi di come guadagnare un milione di dollari o del modo di avere nuovi amici e influenzare le persone, sembra più giovevole scoprire come la vita quotidiana possa essere resa più armoniosa e più soddisfacente, e ottenere così in maniera diretta ciò che non può essere raggiunto attraverso il perseguimento di obiettivi simbolici (p. 45).

Sul valore di una comunità
Una comunità non dovrebbe essere giudicata in maniera positiva perché è tecnologicamente avanzata, o perché gode di ricchezze materiali; ma va giudicata positivamente se offre alle persone la possibilità di godere di quanti più aspetti possibile della loro vita, al contempo permettendo loro di sviluppare il proprio potenziale nella ricerca di sfide sempre più grandi (p. 191).

Una virtù essenziale
Di tutte le virtù che possiamo imparare, nessuna è più utile, più essenziale per la sopravvivenza e più promettente per migliorare la qualità della vita che la capacità di trasformare le avversità in una sfida avvincente (p. 200).

L’intero capitolo Cheating Chaos (pp. 192-213) è illuminante sul tema. Ecco le tre caratteristiche che secondo l’autore accomunano le persone che riescono comunque a uscire bene da situazioni drammatiche, imparando cose nuove e minimizzando le negatività:

– naturale sicurezza di sé (unselfconscious self-assurance, pp. 203-204), ovvero la ferrea convinzione che il nostro destino è nelle nostre proprie mani;

– attenzione rivolta al mondo (focusing attention on the world, pp. 204-207) e non a se stessi: in un momento di pericolo o difficoltà è naturale guardare all’interno di noi stessi, ma è solo prestando attenzione all’esterno che si possono risolvere in maniera brillante situazioni difficili;

– scoperta di soluzioni nuove (the discovery of new solutions, pp. 207-208), ovvero la capacità di andare oltre la normalità e i percorsi scontati per arrivare a conclusioni efficaci di livello superiore.

Ago 13

Questo è un libro bellissimo, che merita pienamente il successo che sta avendo.

Conoscevo Gramellini solo molto tangenzialmente e distrattamente, ma il consiglio di un’amica mi ha spinto verso questo romanzo – questa storia, come la definisce l’autore – e l’ho trovato meraviglioso.

È un libro che parla dell’importanza del perdono, del lasciare andare le colpe come mezzo verso il crescere, verso il diventare tutto quello che possiamo diventare. Il tutto con una scrittura ariosa e leggera.

Una citazione:

Se alzi il velo sui tuoi tormenti più intimi, ti esponi alle critiche di chi trova insopportabile la sincerità perché ne teme il contagio.

E poi ce ne sarebbero tante altre, ma il libro mi ha rapito e ho preferito arrivare al fondo della storia anziché soffermarmi sui dettagli. Ora lo rileggerò con calma, cercherò di digerirlo. Ci vorrà tempo. Ma il succo, in due parole, è chiaro già da ora: perdona e passa oltre. A Gramellini sono occorsi quarant’anni ma ci è arrivato, questo è importante. Lo dice anche Antonio Albanese in Un uomo d’acqua dolce:

C’era una crepa sul muro vicino alla mia lavagna. Io stringevo l’occhio e guardavo il fiore del grano. Notte e giorno, giorno e notte col naso incollato al muro. Poi ho deciso di entrarci, dalla crepa, perché bisogna capire nella vita! Perché bisogna capire nella vita, Tonina! Bisogna capire nella vita.

Capire e perdonare. Gramellini qui mescola ironia e delicatezza, intelligenza e sensibilità. Il risultato è ottimo.

Mi permetterò anche un appunto: bambin e Madamin non vogliono l’accento! Posso capirne la logica, ma la grafia della lingua piemontese ha, com’è giusto che sia, regole precise e non sopporta d’essere bistrattata (peraltro sono gli unici refusi, e di categoria molto particolare invero, che ho trovato nel libro).

Ma è un peccato veniale, e lo si perdona (appunto!) volentieri. Questa è un’opera magistrale, una gran prova di scrittura e di pensiero. Chapeau, monsù Gramellini.

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Apr 18


Ecco un libro che fornisce degli spunti di riflessione interessanti sul successo e sull’eccellenza.

Si chiede Malcolm Gladwell: in che cosa consiste esattamente il successo? C’è il talento, ovvio; ma il mito del self made man è solo una mezza verità. C’è infatti dell’altro:

Le spiegazioni del successo in termini prettamente individuali non reggono. Le persone non vengono dal nulla. Dobbiamo sempre qualcosa ai nostri genitori e a chi ci ha favorito. […] La cultura a cui apparteniamo e l’eredità che ci hanno trasmesso i nostri antenati plasmano i risultati che sapremo conseguire come neppure immaginiamo. In poche parole, non basta chiedersi come sono fatte le persone di successo. Per chiarire quale sia la logica per cui ottengono il successo che sfugge ad altri, dobbiamo chiederci da dove vengono (p. 16).

Gli esempi si sprecano. Per citarne uno solo: Bill Gates possedeva talento e ambizione sconfinati, ma se nel 1968 – quando lui era in seconda media – l’associazione delle mamme non avesse investito tremila dollari nel terminale di un computer (in un periodo in cui molte università non ne disponevano nemmeno), lui non avrebbe potuto cominciare a programmare in maniera intensiva, né avrebbe potuto proseguire poi, quando il caso gli offrì altre opportunità (nel 1971 Gates e il suo gruppo accumularono 1575 ore di programmazione in soli sette mesi).

Questo punto allarga il discorso ad un concetto che trovo affascinante. Per dirla con le parole del neurologo Daniel Levitin, citato nel libro:

Ci vogliono diecimila ore di esercizio per raggiungere il livello di padronanza associato all’essere un esperto di caratura mondiale, in qualsiasi campo (pp. 32-33).

Diecimila ore, oltre che essere una sorta di numero magico, sono un tempo enorme:

È assolutamente impossibile diventare adulti ed essersi esercitati per tutto quel tempo contando solo sulle proprie forze. I tuoi genitori devono averti incoraggiato e mantenuto. Non puoi essere povero, perché se devi tenerti un lavoro part time per contribuire a far quadrare il bilancio familiare, durante il giorno non ti rimarrà il tempo per esercitarti a sufficienza (p. 34).

Questa non è ovviamente una giustificazione per chi non arriva ai massimi livelli in un determinato campo, ma solo una spiegazione del fatto che per arrivarci devono allinearsi un numero di fattori non indifferenti. È, insomma, il classico Cigno nero: al punto che trovo assolutamente strano il fatto che il libro di Taleb non si citato nemmeno una volta in questo volume.

Altro argomento rilevante: l’intelligenza analitica. Gladwell dimostra come, superata una certa soglia di QI (intorno a 120), l’aggiunta di altri punti non porta ad alcun vantaggio misurabile nel mondo reale. E qui vedo un chiaro parallelo possibile con la ricchezza: oltre un dato livello, il denaro non porta più felicità e benessere (inteso come stato positivo della persona). Mentre l’intelligenza pratica, quella sì, può fare la differenza – ma qui il parallelo è decisamente da scoprire.

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Mar 21


No, dico, non è cosa da poco. Il concetto di lettura sta cambiando, e cambiando in maniera assai rapida. Da tempo rimando l’acquisto di un lettore di ebook, ma so che non potrò farlo indefinitamente. E allora penso a tutti i libri della mia libreria, fatti di pensieri di pensatori e autori con cui sono cresciuto, che hanno formato il Gianni di oggi, e li immagino da domani cedere tutti insieme mestamente il passo a un aggeggio dal peso di trecento grammi.

Non solo: ma penso anche che non leggerò mai più libri come La storia di Elsa Morante, ottocento pagine in corpo dieci che presero un paio di giorni del Gianni venticinquenne, in un’incantagione piena di fascino e con un senso intenso di letteratura che mi circondava. Ora mi spaventa la mole, l’ho portato da casa alla Piatta (la mia isola felice in mezzo ai boschi) ma anche là credo che rimarrà chiuso, una sorta di messaggio in bottiglia che nessuno leggerà più. Ahimè.

E per estensione mi viene in mente anche quanto scrisse Umberto Eco in Come si fa una tesi di laurea:

Sovente le fotocopie agiscono da alibi. Uno si porta a casa centinaia di pagine di fotocopie e l’azione manuale che ha esercitato sul libro fotocopiato gli dà l’impressione di possederlo. Il possesso della fotocopia esime dalla lettura. Succede a molti. […] Difendetevi dalla fotocopia: appena avutala, leggetela e annotatela subito.

Ho finito da poco di leggere un bel libro sul tema, Internet ci rende stupidi? Come la Rete sta cambiando il nostro cervello, di Nicholas Carr. L’autore non dà giudizi, ma cerca di presentare la situazione che abbiamo dinnanzi a noi nella maniera il più possibile obiettiva. E mi è venuto in mente un altro paio di libri letti anni fa su temi molto simili: Giuliano da Empoli, Overdose. La società dell’informazione eccessiva e Gabriel Zaid, So Many Books. Reading and Publishing in an Age of Abundance. Evidentemente è un problema che sento da tempo. Ed evidentemente non sono solo in questo disagio.

Ho sottolineato anche (cosa sarebbe leggere un libro senza la compagnia di un evidenziatore?) un passo del libro di Carr che mi ricorda Il Cigno nero:

Il flusso pressoché continuo di informazione che si riversa dal Web fa leva anche sulla nostra tendenza naturale a “sopravvalutare largamente quello che ci succede proprio adesso“, come spiega lo psicologo dello Union College Christopher Chabris. Desideriamo ardentemente il nuovo anche quando sappiamo che “il nuovo è molto più spesso banale che essenziale”.

Adoro la tecnologia e i benefici che porta – anche se credo, con Fabian Kruse, di non aver bisogno di un iPhone per essere felice –, ma sono un poco confuso. Non dico né credo che la situazione di oggi sia peggio di quella di ieri relativamente alla lettura e all’articolazione del pensiero, solo che sono un po’ confuso.

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Dic 27


Ho conosciuto Claudio Maffei diversi anni fa, per caso, in uno dei suoi tanti interventi. Mi affascinarono subito la capacità affabulatoria di quest’uomo, la sua sicurezza, le storie che racconta, il suo credere in quello che fa senza prendersi troppo sul serio.

Mi considero un suo “fan”. Mi piacciono le cose che dice, i pensieri che esprime, la forza che ci mette. E il sorriso.

Non posso essere obiettivo, quindi, nel parlare di Stai come vuoi, il suo ultimo libro. Lo farò, comunque, tramite qualche citazione di passi che mi hanno colpito.

Puoi stare come vuoi tu, piuttosto che come vogliono gli altri o come sembra ti sia imposto dalle tue vicende personali (p. 10).

Puoi stare come vuoi tu. Non è meraviglioso e semplicissimo?

Se prendiamo tutto come un attacco personale, è evidente che saremo particolarmente vulnerabili (p. 71).

Il mondo, dopotutto, probabilmente non ce l’ha con noi. Probabilmente le cose vanno avanti lo stesso. (Ecco perché possiamo stare come vogliamo.)

Perfino un dolore, se opportunamente ristrutturato, a distanza di tempo, potrà offrire un’opportunità di crescita (p. 29).

E

Quasi sempre […] i cambiamenti importanti sono preceduti da una crisi (p. 166).

Ecco perché le crisi, in sé considerate, semplicemente non esistono. Ecco perché non dovremmo dimenticare mai che il mondo è il nostro parco giochi – gigante e gratuito.

Bravo Claudio, bien joué.

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