Ieri. Alla Turin Half Marathon. 2:02:05.
Niente di eclatante, per carità – quasi mille runner hanno fatto meglio di me –, ma è un risultato significativo per me, che ho abbassato di oltre 23 minuti il mio tempo (so che migliorarsi partendo da fondo classifica può non apparire difficile, ma vieni te a correre!).
Tuttavia, al di là dei numeri il sugo di tutta la storia è questo: un solo, semplice minuto. Ovvero, io sono partito con l’idea di correre al ritmo di 7 minuti al kilometro, velocità che sapevo mi avrebbe permesso di arrivare in fondo; però appena dopo la partenza ho incontrato un amico (una persona con un obiettivo importante, una maratona tra 110 giorni, che ha tutte le carte in regola per raggiungere in pieno – Propp lo chiamerebbe l’aiutante magico), il quale ha corso al mio passo anche quando avrebbe potuto andare decisamente più veloce. Insomma, quel 7 è diventato 6 e io sono stato incoraggiato a tenere quel ritmo per me elevato; e l’ho mantenuto per tutto il tempo, anzi aumentandolo nella seconda parte di gara.
Ovvero, grazie all’amico ho fatto una cosa che non sapevo nemmeno di saper fare. Eppure la sensazione bellissima è stata proprio quella di procedere con passo spedito quando intorno a noi più d’uno mostrava chiari segni di fatica, e di conseguenza superare tanti compagni di avventura; così, in maniera semplice e tranquilla.
(E verso i tre quarti di gara il flow era assoluto, accompagnato dall’idea che di tante sensazioni non potrai mai parlare, semplicemente perché non possono essere espresse con le parole.)
Tutto per quel minimo minuto. Un minuto può fare la differenza. E, già che ci siamo, aggiungerò che anche chiacchierare amabilmente con l’amico lungo tutto il percorso può fare la differenza (lo dico soprattutto a me stesso e alla mia difficoltà di rapportarmi con gli altri).
Quindi le lezioni di ieri sono due:
– poniti degli obiettivi precisi e lucidi, ed è di fatto automatico che li raggiungerai;
– resistere per un minuto in più, quando potresti pensare che le forze ti stanno abbandonando (è una metafora, sia chiaro), può fare la differenza – e come.