Giu 02

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Ieri. Alla Turin Half Marathon. 2:02:05.

Niente di eclatante, per carità – quasi mille runner hanno fatto meglio di me –, ma è un risultato significativo per me, che ho abbassato di oltre 23 minuti il mio tempo (so che migliorarsi partendo da fondo classifica può non apparire difficile, ma vieni te a correre!).

Tuttavia, al di là dei numeri il sugo di tutta la storia è questo: un solo, semplice minuto. Ovvero, io sono partito con l’idea di correre al ritmo di 7 minuti al kilometro, velocità che sapevo mi avrebbe permesso di arrivare in fondo; però appena dopo la partenza ho incontrato un amico (una persona con un obiettivo importante, una maratona tra 110 giorni, che ha tutte le carte in regola per raggiungere in pieno – Propp lo chiamerebbe l’aiutante magico), il quale ha corso al mio passo anche quando avrebbe potuto andare decisamente più veloce. Insomma, quel 7 è diventato 6 e io sono stato incoraggiato a tenere quel ritmo per me elevato; e l’ho mantenuto per tutto il tempo, anzi aumentandolo nella seconda parte di gara.

Ovvero, grazie all’amico ho fatto una cosa che non sapevo nemmeno di saper fare. Eppure la sensazione bellissima è stata proprio quella di procedere con passo spedito quando intorno a noi più d’uno mostrava chiari segni di fatica, e di conseguenza superare tanti compagni di avventura; così, in maniera semplice e tranquilla.

(E verso i tre quarti di gara il flow era assoluto, accompagnato dall’idea che di tante sensazioni non potrai mai parlare, semplicemente perché non possono essere espresse con le parole.)
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Tutto per quel minimo minuto. Un minuto può fare la differenza. E, già che ci siamo, aggiungerò che anche chiacchierare amabilmente con l’amico lungo tutto il percorso può fare la differenza (lo dico soprattutto a me stesso e alla mia difficoltà di rapportarmi con gli altri).

Quindi le lezioni di ieri sono due:

poniti degli obiettivi precisi e lucidi, ed è di fatto automatico che li raggiungerai;

– resistere per un minuto in più, quando potresti pensare che le forze ti stanno abbandonando (è una metafora, sia chiaro), può fare la differenza – e come.

Dic 16

VLUU L110  / Samsung L110
Scrivevo qualche mese fa:

Il mio obiettivo, che qui rendo pubblico […], è quello di partecipare, portandola a termine, ad una mezza maratona entro la fine del 2014.

Ebbene, quel sogno – perché di sogno a tutti gli effetti si tratta: per fare una cosa devi prima sognarla (è questo uno degli insegnamenti fondamentali di Bob Rotella) – si è avverato ieri. (Decisamente prima del previsto: e questo, a cose fatte, non mi stupisce punto – da tre mesi sognavo, con profluvio di dettagli, di passare sotto quel traguardo.)

La corsa era questa. Oggi ne parlo da un punto di vista “filosofico”; mercoledì dirò di come ho vissuto questa competizione in piemontese, e venerdì del lato strettamente sportivo.

Quel che volevo, a dirla tutta, era arrivare in fondo entro le due ore e mezza: questo era lo spartiacque che, nella mia mente, avrebbe separato il successo dal fallimento.

Le due notti precedenti sono state difficili, per problemi che non riuscivo a togliermi dalla testa; così invece di rilassare la mente per l’imminente prova ho continuato a macerarmi dentro a problemi che non riesco a risolvere.

Ma tant’è. Sono partito ad un passo tranquillo (circa 7 minuti al chilometro) e, cosa più importante, dopo i primi chilometri mi è stato chiaro che quel passo mi avrebbe permesso di stare sotto la soglia prefissata.
Un Po di Corsa
Verso il chilometro 14 le forze scarseggiavano. Per un po’ mi è servito l’incitamento di un volontario, ma poi vedevo che faticavo a tenere il passo. Più avanti ho messo in pista tutti i trucchi che mi venivano in mente (contare i passi al minuto, per esempio, così come altri trucchetti forse stupidi ma efficaci): così il tempo passava e la meta si avvicinava. Lo sforzo più grande è stato contare i passi fino a mille quando ero intorno al ventesimo chilometro: sapevo che se fossi riuscito ad arrivare a mille sarei arrivato nei pressi del traguardo, e a quel punto sarei stato sicuro di farcela.

All’arrivo il mio cronometro segna 2 ore e 27 minuti: ovvero ho corso esattamente a 7 minuti al chilometro, mantenendo la media con lievi deviazioni.

C’è il sole, io sono felice.

Nov 18

mozziconi
Ho sperimentato il flow tantissime volte nel lavoro (quella meravigliosa sensazione di dimostrare a se stessi che si è molto bravi, sia lavorando da soli che in gruppo), molte volte nel golf, ma la scorsa settimana mi è capitato per la prima volta nella corsa.

È stata un’esperienza esaltante perché non cercata. È iniziata giovedì: prima della consueta lezione di pilates ho fatto un quarto d’ora scarso sul tapis roulant, poi complice la musica la lezione è scivolata via con gioia e ritmo (Luciano, la tua playlist era fantastica!), e infine ho corso per un’altra mezz’ora senza pensare a niente e contando i passi (180 passi al minuto è il numero magico per una corsa fluida, by the way); ma ha raggiunto il suo apice ieri mattina.

Avevo scelto un percorso pianeggiante, che ho approcciato in maniera cauta (Gianni diesel, that’s me!); ma verso la fine della prima ora di corsa i pensieri – che prima già fluivano – hanno cominciato a scorrere velocissimi e ordinati, e ho “visto” (ovvero immaginato in profondità, con vividezza e ricchezza di particolari) due cose:

– l’armonia di mente e corpo senza soluzione di continuità: quando tutto fluisce non c’è confine tra il pensiero e la fisicità;

– di conseguenza, la mia vita secunda, ovvero il film di quel che farò da ora fino a che avrò respiro.

Ieri era tutto un fluire, sia di corsa che di pensieri. Ho corso per un’ora e 44 minuti e percorso 15,5 km, e ho visto la mia prima mezza maratona, il 15 dicembre: mi sono visto con chiarezza e precisione alla partenza, durante il percorso, nella fatica degli ultimi kilometri e nella gioia dell’arrivo. E, tra l’altro, arriverò lì un anno prima del previsto, il che dice una cosa chiara: gli obiettivi ragionati e scritti sono molto più semplici (e divertenti) da raggiungere rispetto alle generiche buone intenzioni.

Altra cosa: nell’ultimo anno o anno e mezzo ho avvertito la netta sensazione che la spinta datami dal libro è via via andata esaurendosi, anche per ingenuità mie (se nasci ingenuo non puoi morire scafato, direi): ho passato un periodo limbesco e di attesa, che ora è finito. E ritorna Goethe (l’ho già citato lunedì scorso ma le rinascite hanno questo di magico, l’aura che si trascinano dietro di sé):

Fino a che uno non si compromette c’è esitazione, possibilità di tornare indietro, e sempre inefficacia. Rispetto ad ogni atto di iniziativa c’è solo una verità elementare, l’ignorarla uccide innumerevoli idee e splendidi piani. Nel momento in cui uno si compromette definitivamente anche la provvidenza si muove. Ogni sorta di cose accade per aiutare cose che altrimenti non sarebbero mai accadute. Una corrente di eventi ha inizio dalla decisione, facendo sorgere a nostro favore ogni tipo di incidenti imprevedibili, incontri e assistenza materiale, che nessuno avrebbe sognato potessero venire in questo modo. Tutto quello che puoi fare, o sognare di poter fare, incomincialo. Il coraggio ha in sé genio, potere e magia. Incomincia adesso.

E ancora: sempre ieri mattina mi tornava in mente un pensiero scritto qualche giorno fa nella mia pagina Facebook:

La mattina, la prima cosa che faccio uscendo di casa è tirare su una cicca dal cortile e buttarla nel cestino dell’immondizia. Non cambia nulla nel mondo, ma cambia la mia giornata. E come.

E la metafora è lucida: se io raccolgo un mozzicone – se io porto a termine una mezza maratona, è lo stesso –, al mondo fondamentalmente non interessa, non cambia nulla. Ma magari qualcuno osserva, e gli/le viene voglia di farlo anche lui/lei: perché quel mozzicone che raccogli è figura (nel senso auerbachiano del termine) del bene che fai a te, indipendentemente da ogni altra considerazione. È un’attività autotelica, per dirla alla Csikszentmihalyi, di puro flow. Running flow.

Ott 07

collina
Ieri mi sono ricordato di quando, da ragazzo, mi chiamavano Gianni diesel – perché in tutto ciò che facevo c’era lentezza iniziale, e poi man mano prendevo coraggio, mi lasciavo andare e da un certo punto in poi davo il massimo. E andavo forte. Ebbene, io sono così – è un tratto di me che non posso né voglio modificare.

Ieri questa era la sfida. Per i primi quattro kilometri, che erano in piano, ho corso al mio passo tranquillo; poi ho affrontato con calma la salita, e ho continuato a correre piano anche quando la pendenza si faceva proibitiva.

Poi è iniziata la discesa e una cosa bella, strana e bella, mi è successa. Ho iniziato ad accelerare, a correre sempre più forte. Non è importante che in questo fare abbia superato diversi corridori (anche perché probabilmente la maggior parte di loro non era lì per competere), ma è importante relativamente a me stesso: non sapevo nemmeno di esserne capace. Finire la corsa senza camminare mai sarebbe già stata ricompensa sufficiente; invece accorgermi che una volta preso lo slancio potevo andare avanti quasi per forza d’inerzia, e che in ciò facendo potevo ottenere dei buoni risultati (parlo per me, ovvio – tutto è relativo) è stato semplicemente bellissimo. Bellissimo e soddisfacente.

Allora la lezione appresa, in una parola, è:

Keep grinding.

Arrivo tardi alle cose? E pazienza, va bene così. Ho ripensato anche a quel che avevo descritto qui e al fatto che, insomma, alla meta si può arrivare in un milione di maniere differenti, e che come dice quel proverbio cinese che amo citare:

Chi pensa che la frutta maturi tutta insieme come le ciliegie non sa nulla dell’uva.

Ho la consistenza tranquilla dell’uva e non la dirompenza delle ciliegie. Ci ho messo una vita intera a rendermene conto, va bene così.

Ago 05

Dragonero
Non sempre arrivare ultimi è una cosa negativa. Questa è la lezione che ho imparato ieri, al Trofeo Sentieri degli Acciugai, una corsa podistica di 10,6 km in valle Maira, per tre quarti in ripida salita e per il quarto restante in discesa altrettanto ripida (per me almeno).

I partecipanti erano un centinaio, e – al netto di qualche sparuto ritiro (che immagino, pur non avendone notizia certa) – l’ultimo degli arrivati è stato proprio yours truly.

Lezioni apprese, tre.

1. Gli spettatori ti dicono bravo per il solo fatto che tu partecipi (in fondo a chi importa che tu arrivi novantanovesimo o centesimo?), e questa è già di per sé una vittoria.

2. Correre è un’attività autotelica, che trae in sé la sua ragion d’essere e la sua soddisfazione; e non importa se a tratti ho camminato, il ritiro semplicemente non era tra le opzioni possibili e la soddisfazione di aver tagliato il traguardo è ricompensa sufficiente.

3. Il podismo è disciplina povera e semplice (lo dico con tutto il rispetto e l’ammirazione possibili): essere stato parte di questa festa popolare significa essere in armonia con l’ambiente e con tutte le altre – tantissime – persone presenti.

Tutto ciò specificato, ieri mi è stato lampante un fatto che già sapevo: la corsa in salita non è il mio forte (e in discesa nemmeno, tanto perché sia chiaro). Ma il mio obiettivo, che qui rendo pubblico (e nel dirlo mi sovviene un obiettivo che mi posi da trentaduenne: parlare in pubblico in inglese negli Stati Uniti entro i quarant’anni, cosa che realizzai ad Austin – sia pure qualche mese dopo il mio genetliaco numero quaranta), è quello di partecipare, portandola a termine, ad una mezza maratona entro la fine del 2014.

Ho detto.

Lug 15

I limiti sono solo nella nostra testa: questo motto campeggia sul sito dell’associazione podistica Dragonero, che ha organizzato qualche giorno fa, di concerto con la ProLoco Montemale, il Trail estivo dei due comuni (i due comuni essendo Dronero, il mio “capoluogo”, e Montemale di Cuneo, il mio “paese”). Mi avessero detto vent’anni fa che sarei riuscito (allora, quand’ero al massimo teorico della mia forma fisica, non oggi) a fare di corsa 10,4 km, equamente divisi tra salita, discesa e tratti pianeggianti, parte su asfalto, parte su carrarecce e parte su sentiero (sia pure al mio ritmo pacifico), probabilmente avrei riso un po’ amaro. Ma oggi, che gli anni sono quasi quarantasei, tutto ciò non solo è stato possibile, ma mi pare tranquillo e normale.

La metafora, dunque, è chiara: vedi una montagna di fronte a te, prendi paura e pensi che non riuscirai mai ad arrivare in cima. Oppure non pensi, parti e arrivi in cima. (Misuri prima le forze, beninteso; ma senza lasciare che le paure trainino tutte le cose.) I limiti sono nella nostra testa, ovvero il risultato dipende da noi stessi.

Giovedì scorso c’era questa fiumana di persone che correva, e io mi sentivo sereno e felice anche solo per il fatto di essere lì, partecipe di un evento collettivo; un po’ come mi accadde qualche mese fa con il SUSA. E c’erano queste persone semplici, ed ero di fatto a casa mia, e il piemontese era la lingua non ufficiale ma di gran lunga la più adoperata: insomma tutto concorreva a dirmi che le cose semplici sono quelle che mi danno più soddisfazione.

Stefano Baldini in un suo libro – non ricordo più quale – parla del compagno che invariabilmente incontri durante una corsa, quello che va al tuo passo. Ecco, c’è stato anche questo ingrediente, tutto era tranquillo e semplice e perfetto.

Corri ragazzo, corri.

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