Nov 30


Un altro pezzo interessante di Chiara Zanardelli (i precedenti qui e qui), con la quale abbiamo immaginato un tema – il rapporto con lo smartphone – sviluppato da due punti di vista diversi: il suo, qui, che riguarda la produttività; il mio, più “filosofico”, seguirà la settimana prossima. La parola a Chiara.

Dopo aver parlato qualche mese fa degli strumenti indispensabili per liberi professionisti, questa settimana mi vorrei concentrare sullo smartphone, ormai fondamentale tanto quanto il PC o il notebook per il lavoro di ogni professionista.

Nel bene e nel male, e lascio a Gianni una riflessione più filosofica sul tema, al libero professionista è richiesto di essere sempre connesso e rispondere in tempi brevi agli input esterni. Che impressione vi fate di una persona che impiega una settimana a rispondere a un’e-mail? In quanto tempo al massimo rispondete a una richiesta di un cliente? Che cosa fate nei tempi morti, ovvero nelle sale d’aspetto di medici, sui mezzi pubblici o in coda al semaforo?

Se vi riconoscete in questa descrizione e non riuscite a immaginare di uscire di casa senza telefono (mai sentito parlare di nomofobia?) o comunque volete utilizzare professionalmente il vostro smartphone, vi propongo questa breve rassegna delle app per Android più interessanti e irrinunciabili (e aspetto tanti altri suggerimenti nei commenti).

Lo smartphone è, in fin dei conti, l’evoluzione del telefono, un fondamentale strumento di comunicazione. Se già l’avvento della telefonia mobile aveva cambiato radicalmente il lavoro permettendo di essere contattati ovunque, lo smartphone ha portato l’ufficio fuori casa e soprattutto consente di avere accesso in qualsiasi momento alla posta elettronica. Naturalmente si può consultare la posta da browser (io utilizzo Chrome anche da smartphone), ma trovo le app molto più comode. Per chi ha un account di Gmail, l’app è molto pratica ma sicuramente ogni smartphone dispone di appositi programmi per importare diversi account. Alcuni colleghi mi hanno segnalato che comunicano con i clienti anche tramite messaggi: WhatsApp è ormai indispensabile nella vita quotidiana per le comunicazioni di gruppo (gruppo palestra, gruppo mamme ecc.), ma la sua immediatezza sta conquistando anche un’utenza più professionale. Rispetto al vecchio SMS è molto più smart, è possibile ricevere la notifica di lettura e permette la condivisione gratuita di immagini e video. Infine non va trascurata la messaggistica istantanea: ne ho già parlato nel precedente articolo, ma anche da mobile suggerisco l’utilizzo di Skype per comunicare con i clienti. Oltretutto è possibile effettuare chiamate gratuite o a prezzi contenuti, un grande vantaggio per chi deve comunicare con una clientela internazionale. Quando si parla di messaggistica istantanea molti di voi ricorderanno anche Messenger, oggi integrato su Facebook. Per archiviare i documenti ricevuti e accedervi da diversi dispositivi, c’è ormai l’imbarazzo della scelta, ma direi che GoogleDrive, One Drive e Dropbox sono i più diffusi. Installateli su PC e su smartphone per avere i file più importanti sempre con voi.

Anche se in molti casi il libero professionista lavora da casa propria, non mancano le opportunità di uscire, in occasione di corsi di formazione, incarichi fuori ufficio o altre esigenze. Innanzitutto le vecchie cartine sono ormai state ottimamente sostituite dai navigatori, sia per chi si muove a piedi (e manca di senso dell’orientamento come me) sia per chi si muove in auto. Per quanto riguarda il trasporto locale, nelle città più grandi è sicuramente disponibile un’app con orari, pensilina più vicina e situazione in tempo reale. Esistono invece diverse app per monitorare l’andamento dei trasporti ferroviari, ma segnalo quella ufficiale di Trenitalia che consente anche l’acquisto dei biglietti. E se durante i trasferimenti avete dei tempi morti, potete ascoltare della musica o dedicarvi alla lettura. Quando non ho con me il Kindle, dallo smartphone utilizzo la relativa applicazione. Chiaramente la lettura perde un po’ di fascino ma grazie alla sincronizzazione tra i dispositivi non si rischia di rileggere due volte lo stesso passaggio. Quando vi trovate sui mezzi pubblici, potete anche consultare i social network: naturalmente sono disponibili app/widget per tutti i social più diffusi, Facebook, Twitter, LinkedIn e Google+.

Ma lo smartphone è anche uno strumento utilissimo per organizzare il proprio tempo. Anche se il vostro smartphone dispone sicuramente di un calendario, consiglio sempre l’integrazione con Calendar di Google che può essere aggiornato e sincronizzato da qualsiasi dispositivo. Per lo stesso motivo ho scelto Evernote per prendere gli appunti e Pocket per salvare gli articoli che voglio leggere in un secondo momento. Quando sarete di nuovo davanti al PC tutto sarà perfettamente sincronizzato. Attenzione però al salvataggio delle password, se pensate di cavarvela con un file di testo rischiate molto. Tra i diversi programmi sul mercato io utilizzo KeePass Password Safe (gratuito), anche questo disponibile su dispositivi mobili e PC. Un’ultima segnalazione per la vostra sicurezza: dato che i virus non sono esenti neppure dagli smartphone, consiglio l’installazione di buon antivirus (non necessariamente a pagamento) e un po’ di attenzione quando si installano le app (soprattutto giochi gratuiti), evitando l’accesso non autorizzato s dati riservati o l’utilizzo improprio di identità per effettuare acquisti o frodi.

Quali sono le applicazioni più importanti per il vostro lavoro? L’acquisto di uno smartphone è davvero essenziale o una moda del momento? Che rapporto avete con questa tecnologia? Diteci la vostra nei commenti!

Set 28

Chiara Zanardelli, che qui aveva parlato dell’equilibrio delicato tra lavoro e famiglia, descrive oggi alcuni strumenti a disposizione del traduttore (e del professionista in generale) per migliorare l’organizzazione del lavoro e dunque la gestione del proprio tempo.

Siamo padroni o schiavi della tecnologia? Domanda difficile che dipende da molti fattori come la propria esperienza, età, professione e, direi, il proprio individuale approccio alla tecnologia. Di certo non se ne può più prescindere e quindi perché non sfruttarla per “liberare tempo” invece che assorbirlo con giochi et similia?
tools
Come ho già raccontato alcune settimane fa, per me la tecnologia è importantissima per trarre il massimo dalle mie giornate lavorative e per dare quell’illusione di presenza continua a cui, ormai, sono avvezzi molti clienti. Prima di passare in rassegna alcuni dei software più utili, premetto che è essenziale dotarsi di uno smartphone e installare le App corrispondenti ai software presenti su PC: la sincronizzazione tra PC e smartphone permette infatti di non perdere tempo nel recupero dei dati e di averli sempre a propria disposizione.

A livello di comunicazione, consiglio vivamente l’utilizzo di Skype: per la sua immediatezza molti clienti preferiscono un messaggio su Skype alla tradizionale telefonata; personalmente apprezzo questo strumento perché permette di mantenere un tono professionale anche nelle situazioni più “difficili” (vedi festa di compleanno con bambini urlanti in sottofondo) e non perdere interessanti opportunità di lavoro. D’altro canto, il cliente ci vede come “disponibili” e quindi si aspetta una risposta in tempi rapidi.

Sempre sul fronte della comunicazione, oltre a telefono e Skype, i miei clienti mi contattano naturalmente via e-mail. A chi ha più di un account suggerisco di usare un programma di posta elettronica che aiuti a gestire i diversi indirizzi e permetta di strutturare con facilità la posta. Al momento utilizzo Thunderbird ma in passato ho usato anche MS Outlook, mentre su smartphone mi basta l’App di Gmail su cui inoltro le altre caselle. L’organizzazione della casella di posta è molto importante per gestire al meglio il proprio tempo e tenere comunque traccia della propria documentazione. Da anni utilizzo un sistema di archiviazione dei messaggi suddiviso per clienti e fornitori in cui archivio i task conclusi; i lavori in corso restano invece in inbox, categorizzati tramite le etichette di Thunderbird.

Thunderbird ha inoltre la possibilità, tramite apposite estensioni, di integrare l’utilissimo calendario di Google. Da anni ho abbandonato l’agenda cartacea a vantaggio di Calendar a cui, ovviamente, accedo sia da PC sia da smartphone. Suggerisco di creare diversi calendari, eventualmente condividendoli con i soggetti interessati (con autorizzazioni di scrittura o di semplice visualizzazione); io ho un calendario personale, un calendario lavorativo e un calendario familiare (che in sostanza include tutti gli impegni familiari, condiviso in lettura/scrittura con mio marito). In questo modo tutto è sempre sotto controllo e, per i più smemorati, si possono attivare anche utili promemoria.

La vostra scrivania è invasa di post-it e la borsa è piena di foglietti accartocciati? Siete fra le persone che scrivono una dettagliata lista della spesa e poi la dimenticano a casa? Vi serve un programma di gestione degli appunti. Di recente sto utilizzando Evernote, anche questo sincronizzabile su diversi dispositivi, che permette di fare ricerche tra le note, suddividerle in taccuini e fotografare i post-it cartacei per avere sempre tutto a portata di mano.

A livello più prettamente lavorativo, come traduttrice non posso prescindere dall’utilizzo di sistemi CAT che permettono di recuperare traduzioni già svolte in precedenza e quindi di risparmiare tempo prezioso; se poi aggiungiamo ai programmi di traduzione assistita anche strumenti di gestione terminologica, l’investimento iniziale sarà di certo recuperato in breve tempo.

E passiamo a uno dei compiti meno amati dai traduttori e, più in generale, dall’intera categoria dei liberi professionisti: la fatturazione; anche se sono anni che mi riprometto di provare l’arcinoto Translation Office 3000, gestisco con facilità le mie fatture con TradBase, un programma gratuito in MS Access creato dal traduttore Nazzareno Mataldi (@ennemme). Per chi ha un po’ di dimestichezza con MS Access sarà facile adattarlo alle proprie esigenze, grafiche e contenutistiche. In buona sostanza, a parte l’inserimento mensile dei vari lavori, le fatture sono generate automaticamente e il programma consente anche di tenere traccia di pagamenti, spese e altri dati sui committenti.

Avete mai perso dei dati per un guasto al PC? Se vi è successo immagino che vi sarete attrezzati con un sistema di backup. Io utilizzo Cobian Backup che giornalmente sincronizza i miei dati in maniera incrementale e, dopo un numero di giorni stabilito, in maniera integrale. Potete impostare la frequenza di backup, le cartelle da salvare e tanto altro. Per un backup “al volo” si può ricorrere anche a Google Drive o Dropbox ma attenzione alla riservatezza dei dati che salvate su questo archivi cloud.

La parola chiave per ottimizzare la giornata è quindi organizzazione! Spesso l’utilizzo della tecnologia appare più complesso rispetto a sistemi più tradizionali, ma vi assicuro che il tempo di apprendimento è minimo rispetto ai vantaggi derivanti dall’ottimizzazione delle procedure. Se però non riuscite a capire come impiegate la vostra giornata al PC vi consiglio di provare Rescue Time, un programma che tiene traccia di tutte le attività svolte e le suddivide in attività più o meno produttive. Potreste scoprire di dedicare troppo tempo ai social network o ai video di YouTube invece che alla vostra traduzione…

E la vostra “cassetta degli attrezzi” cosa contiene? Segnalateci nei commenti i vostri must have!

Lug 06

Ho chiesto a Chiara Zanardelli, ottima traduttrice con cui lavoro da tanti anni, un pezzo su come vede lei l’equilibrio tra lavoro e famiglia. (La nozione generale è che nessuno di noi abbia idea davvero di che cosa succede, e che tutto sia sempre difficilissimo, ma che comunque tentare di definire il mondo con i propri pensieri e le proprie parole possa essere d’aiuto per sé e per gli altri.) Ecco che cosa ne è venuto fuori.

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“I want it all”. Si potrebbe sintetizzare con le parole della notissima canzone dei Queen la mia vita da quando sono libera professionista e mamma, attualmente ben lontana dalla Vita 2.0 che ha abbracciato il proprietario di questo blog. E allora perché raccontare proprio qui la mia esperienza da stakanovista-equilibrista? Per mostrare un approccio alternativo, perché ognuno può trovare la sua felicità o detto proprio con le parole di Gianni “Ciascuno, poi, troverà la sua propria via. E questo perché nessuno può insegnare alcunché a chicchessia”.

Confesso: lavoro molto più delle 25 ore settimanali di Gianni. E la mia lotta quotidiana è sempre con il tempo. Una lotta ossessiva perché vorrei far di più su tutti i fronti. Ma temo che questo sia un problema del mondo moderno. Continuiamo a correre. Ma verso un obiettivo o solo per abitudine?

Per non rischiare di correre a vuoto è importante delineare un proprio percorso. E quindi seguirlo con dedizione e organizzazione, tappa dopo tappa. Per me l’obiettivo è riuscire a conciliare famiglia e lavoro. E non crediate che sia facile solo per il fatto che non sono dipendente. I liberi professionisti tendono spesso a lavorare troppo piuttosto che poco; siamo poco inclini, soprattutto agli esordi, a dire “no”. Ci lasciamo guidare dalla paura: paura di perdere il cliente, paura di “uscire dal giro”. Quando piuttosto dovremmo temere di non fornire un servizio di qualità o di arrivare stremati alla deadline a causa di uno stress eccessivo.

Io ho scelto di dedicare gran parte dei miei pomeriggi alla famiglia. Alle 16 interrompo il lavoro e sono in “balìa” delle mie figlie tra corsi, parchi o altre attività. Alle 21,30 però mi rimetto quasi sempre alla scrivania per un altro paio di orette che mi consentono di stare al passo con il lavoro e soddisfare le esigenze dei clienti. Molti clienti capiscono, altri meno. Pazienza. Altri ancora traggono beneficio dai miei orari perché sono in grado di gestire in serata alcune piccole urgenze.

Nella mia giornata la tecnologia ha un ruolo essenziale. Da un lato mi consente di automatizzare molti processi (fatturazione, gestione di preventivi e risposte alle richieste) e di velocizzare il lavoro (CAT ma anche strumenti di gestione terminologica, sistemi di ricerca e tanto altro), dall’altro crea l’illusione di essere sempre a disposizione del cliente. Con uno smartphone in mano è possibile rispondere in tempo reale alle richieste. Se in passato essere assenti dal PC per due-tre ore in orario d’ufficio poteva comportare la perdita di interessanti opportunità (i lavori devono essere spesso assegnati in tempi brevi), oggi è possibile rispondere via email, Skype oltre che telefonicamente, indipendentemente da dove si sia o cosa si stia facendo.

Molti mi guardano come un marziano quando parlo del mio lavoro serale. E sì, non è sempre facile perché la stanchezza a fine giornata c’è per tutti. Naturalmente alla sera mi occupo delle attività più leggere, da riprendere la mattina a mente fresca. Tuttavia mi piace l’idea di potermi godere le ore pomeridiane con le mie figlie senza compromettere la mia realizzazione professionale. Un equilibrio sempre precario e perfezionabile ma che mi consente di non rinunciare a nulla come accade, loro malgrado, a molte donne lavoratrici, soprattutto in Italia. Ma questo è un altro discorso.

Mag 04

Non riesco ad immaginare la mia vita senza lo studio: niente più esami, nessuna tesi da scrivere, nessuna lezione da frequentare, nemmeno un appunto da prendere su un quaderno a righe appoggiato sulle gambe dove le righe sono totalmente inutili perché in certe posizioni l’unico modo per scrivere è andando storto.

Studio da vent’anni ormai, forse anche di più, e ora che è arrivato il giorno della laurea mi sento felice e persa allo stesso tempo.

Certo, si prova una sensazione di orgogliosa soddisfazione nel raggiungere questo traguardo, ma questo non è lo stesso tipo di traguardo che si raggiunge quando si fa una maratona. La corsa, questa volta, non finisce quando si supera il cartello su cui c’è scritto “arrivo”. Questa volta, non si può nemmeno rallentare per riposarsi un po’ e riprendere fiato: lo slancio iniziale deve continuare con la stessa velocità e costanza dei primi cento metri, ma mentre prima del cartello d’arrivo il percorso era ben delimitato con chiari segnali su entrambi i lati e con il pubblico che fa il tifo e che con un gesto della mano indica la strada da percorrere, una volta superato quel cartello tutto sparisce e di fronte si vede solo una grande pianura senza indicazioni. Non ci si può fermare e si continua a correre senza sapere dove andare. Ci si guarda intorno, prima a destra, poi a sinistra, non si vedono segnali, non si vedono tifosi, mentre le gambe continuano a correre e si va avanti comunque, sperando che quella sia la strada giusta.

All’orizzonte si intravedono diverse città, ma non si riesce a capire quale sia quella in cui potrò sentirmi a finalmente a casa: sembrano tutte uguali e tutte altrettanto luminose. Così, si cerca di scorgere anche solo una minima differenza: ecco, quella lì a sinistra emana una luce più blu delle altre. Blu è il mio colore preferito, è il colore delle mie passioni. Quando immagino la traduzione la vedo circondata da un’aura blu. È il colore che mi fa sentire a mio agio quando lo guardo e quello che ho scelto per la maglietta della mia maratona, è il colore che da anni dirige tutte le mie scelte. Cercherò di arrivare in quella città sperando di non trovare troppi ostacoli lungo la via.

Ancora uno sguardo al traguardo appena superato: è stato un percorso avvincente, ci sono state salite difficili ma anche piacevoli discese, è durato tanto e ora già mi manca.

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Apr 06

Babele 2.0
Con piacere porgo ai miei venticinque lettori un altro pezzo di Martina Borgnese (il primo è qui).

La prima volta che sono entrata nel Dipartimento di Lingue Moderne dell’Università di Birmingham ho avuto una strana sensazione. Aprendo la porta, mi sono ritrovata in un edificio circolare che si estende verso l’alto: le travi di legno e i vetri che costituiscono l’intera struttura si incontrano in alto in una voluta a raggera perfettamente simmetrica che ricorda i petali sottili di un fiore. Stando al centro si può vedere l’intero edificio: le porte blu degli uffici, che diventano più scure man mano che si sale, si affacciano tutte verso l’interno mentre una scala troppo stretta e con i gradini troppo alti per non adattarsi meravigliosamente alla stravaganza di questa costruzione si arrampica tutt’intorno come un ramo di edera. Salendo per quei gradini si scopre che ad ogni piano corrisponde una lingua diversa: l’italiano alloggia al terzo.

Avevo già visto una costruzione simile, ma non ricordavo dove. All’improvviso, un’illuminazione: quella costruzione l’avevo già incontrata nella mia immaginazione. Non ho più avuto dubbi: mi trovavo nella Torre di Babele.

Proprio come in quella torre leggendaria, c’è sempre un gran via vai di persone. Si spostano da un piano all’altro cercando di schiacciarsi su un lato della scala per evitare spiacevoli scontri. Si salutano con la lingua che capita, se qualcuno augura “guten Morgen” si sente rispondere con un allegro “bonjour” senza che nessuno faccia caso a quella strana incongruenza linguistica.

C’è però un elemento che rende questa torre diversa da quella della leggenda. È un elemento che la rende diversa nella sua sostanza, che stravolge completamente l’idea stessa di Torre di Babele. Qui, infatti, nonostante ognuno parli una lingua diversa, ce n’è una che parlano tutti: in questa torre del mondo moderno la comunicazione è possibile ed è la chiave di volta che permette alla conoscenza di ingrandirsi e di salire sempre più in alto. Parola dopo parola, mattone dopo mattone, la conoscenza cresce, la torre cresce. Qui, ognuno porta avanti i propri studi e le proprie ricerche sapendo che in realtà sono parte di un unico grande progetto.

È la Torre di Babele 2.0.

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Mar 16

moleskine
Martina Borgnese è una traduttrice professionista e studiosa in pectore e, al momento, insegnante d’italiano all’Università di Birmingham. Per dirla con le sue parole:

Il mio proposito quotidiano è di fare della traduzione e dello studio non solo la mia ragione d’essere, ma anche la mia professione; nel frattempo, però, mi diletto ad insegnare italiano all’Università di Birmingham e a giocare a squash. Ecco quindi cosa sono: una studentessa da una vita e per tutta la vita, in uno spazio indefinito tra Italia ed Inghilterra… e traduttrice nel cuore.

Io le ho chiesto un pezzo, che spero il primo tra tanti, per Brainfood. Eccolo.

“Scelta”. Questa parola a me sembra avere un significato positivo.

“Scelta”. Più la rileggo e più mi sembra una parola positiva, ma non riesco a capire perché: se provo a definirla mi vengono in mente solo definizioni neutre.

Meglio controllare sul dizionario, magari mi sbaglio. Il primo dizionario che trovo in rete la indica come “indicazione o attuazione della propria preferenza per qlcu. o qlco. dopo una selezione, una valutazione delle altre possibilità disponibili”. Niente: pare che scelta abbia effettivamente un significato neutro.

Ma allora perché viene usata così tanto in quest’articolo che parla di Brittany Maynard e di eutanasia? A ben guardare, scelta compare con più frequenza rispetto ad ogni altra parola (ovviamente dopo gli articoli e le congiunzioni, ma questo è inevitabile, non li batte nessuno). Ci deve essere qualcosa che mi sfugge.

Le frasi che incontro percorrendo l’articolo sono molto chiare: “La libertà è nella scelta”, “la scelta va salvaguardata”, “bisogna procurare la scelta a tutti gli americani”. Questa parola non è per niente neutra! È un qualcosa da proteggere, che tutti devono avere, è un segno di libertà: scelta ha una connotazione positiva! Però c’è ancora qualcosa che non mi convince: nonostante quello che si legge sul dizionario, avere una scelta è un bene agli occhi dell’autore di quest’articolo e sembra che venga dato per scontato che anche i lettori siano d’accordo con questa posizione. Una scelta è una cosa positiva e non c’è bisogno di spiegarne il perché.

Allora significa che questa parola ha una duplice identità. La prima è quella nata nella norma: è l’identità fissata sulle pagine dei dizionari, quella comunemente condivisa dagli accademici, quella su cui non si può discutere. La seconda, invece, nasce nell’uso: è l’identità nascosta della parola, quella che si intuisce, ma che non è facile vedere e che solo in particolari contesti esce allo scoperto in modo chiaro, dando così conferma ad una percezione che è in realtà condivisa dalla maggior parte delle persone.

Questa intuizione però non basta: c’è bisogno di prove. Con una semplice ricerca su un corpus di testi inglesi, e senza più troppa sorpresa, scopro che gli aggettivi che si accompagnano a scelta con maggiore frequenza sono giusta, informata, eccellente, buona, popolare, ideale, sana, saggia, perfetta ed intelligente. È così che questa parola viene percepita – positivamente – al di là di quel che si legge su un qualunque dizionario: è la comunità a decidere il suo senso, sono le persone a determinarne la connotazione, fino ad arrivare ad un punto in cui attraverso una parola che sulla carta è neutra (ma che nella comune percezione non lo è affatto) l’autore riesce ad esprime ed a comunicare il suo giudizio, in modo velato, addirittura subdolo. E quando si parla di eutanasia, insinuarsi così nelle opinioni di chi legge non è cosa da poco.

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Gen 28

Lo spunto per questo post, della traduttrice Gabriella Gentile, è nato da un suo recente commento ad un mio vecchio articolo.

Ma il tema delle tariffe, si sa, è annoso e imperituro; e poi tocca ovviamente chiunque lavori per proprio conto. Ho chiesto allora a Gabriella di elaborare il suo pensiero sul tema. Il risultato è qui a seguire.

Enter Gabriella.

Lettera d’incarico, impegno, ricerche terminologiche, finalmente la consegna e la fattura: “siamo spiacenti ma il cliente ha limitato ulteriormente il budget e possiamo offrirle soltanto 0,05 centesimi a parola”.

La professione del traduttore, perché di professione si tratta, è oggi persa nell’ambiguità di un mercato in cui le agenzie cattive sono molte di più di quelle buone, in cui le tariffe da fame (inferiori rispetto agli anni precedenti) sembrano essere diventate uno standard di mercato.

Pensandoci su, come può essere possibile che negli anni le tariffe si abbassino invece di aumentare? È evidente che qualcosa non va. Medici, ingegneri e avvocati, hanno adeguato le tariffe al costo della vita così come sono aumentati i prezzi di beni e servizi e tutti pagano senza storcere il muso. Per le traduzioni però, sembra sempre che ci sia una certa difficoltà. A volte sono gli stessi traduttori (o presunti tali) che si svendono diventando pane per i denti delle agenzie a basso costo che promettono servizi accurati in 24 ore. L’agenzia ci guadagna e il presunto traduttore racimola, a fatica, un misero compenso che non garantisce nemmeno la sopravvivenza. A guardarli in cagnesco ci sono i traduttori professionisti, quelli che hanno alle spalle una solida esperienza tanto che possono rifiutare progetti low budget e conquistare la fiducia di clienti prospect.

Ebbene, più che una questione di budget è una questione di strategia. In sostanza, il mercato delle traduzioni di oggi non è né in crisi né in declino, è semplicemente in trasformazione, c’è l’esigenza del tutto e subito e dell’iper tecnologico che può risultare fastidioso al traduttore old school e del tutto normale al traduttore matricola. In questo nuovo equilibrio, vanno forte le agenzie che offrono servizi in tempo reale e traduttori cat tool muniti che grazie a basi terminologiche ben guarnite, riescono a rispettare tempistiche fino a qualche anno fa inimmaginabili. Il mercato, ormai liberissimo, è diventato teatro di guerra di traduttori che hanno l’astuzia di stare al passo con i tempi e che sanno rivendere la loro esperienza ai clienti giusti. Ma l’imperativo deve rimanere sempre quello di non praticare mai tariffe basse per vincere sugli avversari perché questo oltre ad essere una falsa vittoria è un attentato alla professione.

E il budget? Il budget è quella sottile linea rossa che separa il prodotto scadente dal prodotto di qualità. Succede sempre che una cosa pagata poco dura anche poco, quindi un cliente finale che risparmia su una traduzione non avrà un testo ben tradotto, mentre un’agenzia che paga poco non saprà tenersi né il cliente né il traduttore e non solo per una questione di prezzi ma anche per la cattiva gestione del lavoro. Un traduttore professionista si guarda bene dal farsi rappresentare da agenzie di questo tipo. Se il lavoro è accurato, pulito, e veloce, posso fare un prezzo da professionista senza paura di chiedere troppo, esiste ancora chi chiede e pretende qualità.

Per concludere, il mercato delle traduzioni benché libero, è ormai in una fase in cui andrebbero istituiti nuovi standard con l’appoggio e la garanzia di istituzioni e associazioni di categoria rinnovate. Chi vive di questa professione deve mantenere un livello qualitativo alto offrendo servizi riservati a clienti che possono permettersi di pagarli. Le agenzie e i clienti giusti che pagano il giusto esistono, ma è necessario che diventino la regola e non l’eccezione.

Apr 23

Non è vero che non c’è lavoro.

Il problema principale rimane quello di aiutare le imprese a sviluppare e rendere disponibili quei posti di lavoro latenti, che per un motivo o per l’altro rimangono lì, come frutti ormai maturi su un albero, e che se non colti per tempo finiscono irrimediabilmente per andare sprecati.

Non dispongo di una formazione specifica in economia, né mi intendo in modo particolare di mercato del lavoro. Mi limito a filtrare quello che vedo e sento attraverso la mia personale sensibilità e quella briciola di esperienza che mi viene da otto anni di attività nel settore dei servizi linguistici in qualità di traduttore di testi tecnici.

E mi rendo conto di certi asfissianti colli di bottiglia, che impediscono alle piccole attività di diventare un po’ meno piccole e – magari – consentire a qualcuna di queste di assumere dimensioni di medio calibro o – addirittura – diventare grande impresa.

Dal mio punto di vista, un sistema economico sano e fertile dovrebbe consentire anche a chi non ha particolari capitali a disposizione di far nascere e far crescere un’attività imprenditoriale.

Forse altrove questo discorso è possibile, oltre che incentivato. Sempre più spesso, invece, ho l’impressione che da noi si faccia di tutto per evitare che il piccolo diventi grande; oppure che non si faccia nulla, ottenendo gli stessi effetti.

Un esempio è l’enorme disparità delle aliquote contributive, del cui innalzamento si parla in queste settimane, tra chi opera come lavoratore autonomo (33% di contributi) e chi invece riesce ad operare come società (tra il 20% e il 24%). Ripeto, non ho particolare esperienza di come funzionino questi aspetti economici in altri paesi, ma l’impressione che ho del sistema italiano è che si faccia di tutto per non promuovere la formazione e la crescita delle micro imprese o del lavoro autonomo, affinché queste quote di mercato si liberino a vantaggio degli attori economici maggiori. Non sempre, però, il salto di categoria è possibile, e anche chi ci prova non sempre riesce a svilupparsi come vorrebbe e potrebbe, ma deve accontentarsi della sopravvivenza della propria attività.

Si tratta forse di un tentativo di creare forzatamente un modello composto da un numero ridotto di grandi imprese ed eliminare il modello all’italiana caratterizzato da un enorme numero di piccole attività a conduzione singola o familiare?

A questo si aggiunge il problema del costo, di questo lavoro rimasto inutilizzato. Per esperienza diretta, sono a conoscenza di almeno tre piccole attività commerciali e una artigianale i cui titolari avrebbero bisogno di un aiutante, talvolta part-time, in altri casi a tempo pieno.

In due casi si è scelto di cercare stagisti, per i costi inferiori. Negli altri, semplicemente, non si cerca nessuno, per il fatto che, fra costi del dipendente, inasprimento dei parametri degli studi di settore eccetera, il titolare non “ci starebbe dentro”.

Se il lavoro costasse meno alle imprese, avremmo quattro occupati in più, con contratti e tutele di buon livello. Invece, così abbiamo (forse) due stagisti che si uniranno al calderone degli sfruttati e alimenteranno i discorsi sull’imprenditore profittatore, e due posti di lavoro inutilizzati con due disoccupati in più.

Discorsi che ormai non servono più a nulla, vuoti, come le parolacce ripetute in sketch e gag da cabaret, il cui canovaccio è ormai trito e ritrito. Non fanno più ridere, non suscitano emozioni. Solo abitudine, prevedibilità, rassegnazione.

Un altro modo per tarpare le ali alla voglia di crescere. Per quel che mi riguarda, serve un’inversione di rotta. Il prima possibile.

Ago 08

Quel semplice atto di prendere in mano Adesso basta di Simone Perotti mi ha portato, oltre a tanti pensieri da condividere, a conoscere diverse persone con cui mi sento affine per lo spirito che hanno verso le cose della vita.

Ylenia Bellantoni è una di queste persone. Bolognese, 34 anni, si è laureata presso la Scuola per Interpreti e Traduttori di Forlì. Ha lavorato come traduttrice e interprete sia da dipendente che da freelance, e al momento lavora in un’impresa che opera nel settore editoriale. Ama leggere e viaggiare, in particolare nei paesi nordici e nei paesi anglofoni (ultimo viaggio fatto: Australia dove ha pensato più volte di emigrare).

Mi ha subito colpito la sua maniera tranquilla e nello stesso tempo sicura di affrontare la vita. Le ho chiesto allora di scrivere un post per Brainfood, per dare a chi legge qualche spunto ulteriore nel terreno del downshifting. Qui a seguire i suoi pensieri (e grazie mille, Ylenia, per averli condivisi).

Io sono downshifter per natura: mi sono presa sin da ragazza del “tempo per me”, perdendone anche di prezioso in alcuni momenti. Ad esempio a vent’anni, quando si dovrebbe seminare per il futuro, io ho rallentato e mi sono presa il tempo necessario per capire chi ero e per fare le cose che desideravo.

Non sapevo allora che questo mio rallentare dai ritmi imposti da altri sarebbe stato chiamato “downshifting” un giorno, ho sempre visto tutti trottare come dei cavallini verso le mete sociali già prefissate senza perdere tempo. Il mondo corre veloce, ti impone dei ritmi esasperati, non aspetta il tempo della maturazione personale – tempo diverso per ciascuno di noi –, ti ha già travolto prima con i suoi cambi di scenario repentini.

Chi rallenta è perduto? Chissà. Di sicuro esce dal sistema, qualcuno riuscirà a rientrarci in modo diverso, magari facendo degli aggiustamenti positivi; altri ne vengono proprio espulsi definitivamente.

È un mondo liquido, scrive Zygmunt Bauman. Quando l’ho conosciuto mi ha augurato “una vita e un amore non liquidi”, un consiglio che cerco di tenere a mente ogni giorno. Non sono mai entrata nella spirale del consumismo e del dover apparire, sono una delle rare donne a cui non piace fare shopping, consumo pochissimo in generale, non ho la macchina per scelta, ho organizzato la mia vita in modo da andare a lavorare e fare tutte le cose a piedi o in bicicletta o con i mezzi pubblici. Amo la natura e i gatti da sempre, sono abituata a soffermarmi sulla poesia delle giornate, dal guardare gli animali nella campagna dal finestrino del treno al percorrere in bicicletta le strade medievali della mia città.

Il lato negativo di questa bella filosofia che perseguo è l’isolamento, per fortuna ho anche il marito che condivide con me la filosofia di vita, però facciamo un po’ fatica a trovare altri simili a noi, la scoperta di Simone Perotti e di tutti gli altri è stata davvero piacevole!

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