Lug 18

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Avevo un problema grosso. Per tutta la settimana scorsa avevo continuato a pensare a quello che era successo la domenica precedente, a casa mia nel mio rifugio tra i monti. È qualcosa che sono riuscito ad elaborare solo l’altro ieri, sabato, salendo al bivacco Rousset, che è un luogo che mi dà pace e tranquillità.

Sì, un fatto molto simile mi era successo l’anno scorso, quando salendo lassù avevo avuto la sensazione magnifica di liberarmi completamente dei problemi avuti con l’INPS che mi avevano tolto il sonno per un paio di anni: fu proprio come togliermi un peso, una splendida metafora della leggerezza dopo il tormento.

Questa volta è stato un po’ diverso, nel senso che sono salito lassù magari un po’ inconsciamente ma di fatto con l’idea di pensare, di riflettere, di sistemare le cose dentro di me. E quando sono arrivato in cima a quelle montagne sono stato in grado di capire quello che non riuscivo a razionalizzare.

(Non era #ER16, come hanno paventato alcuni amici! I bambini non hanno fatto alcun disastro, e nessuno si è lamentato!)

Ho capito che il nostro padrone di casa ha compiuto un atto sbagliato. (Non interessano qui i dettagli, basterà dire che ha avuto un atteggiamento che colpisce e offende una famiglia – la mia – che dalla notte dei tempi anima quel luogo.) Mi sono messo il cuore in pace, ho capito che posso anche rischiare di “perdere” il mio rifugio e pazienza, però devo dire a lui come stanno le cose e come la vedo io, perché quello che ha fatto non è giusto.

E insomma una volta che ho capito questo semplice fatto sono stato molto più tranquillo. Ho capito veramente perché ero salito fin lassù: in effetti era proprio per quel motivo lì.
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E allora il discorso generale, al di là di quello che è successo a me, che può essere importante o meno, è che camminare chiarifica i pensieri. Camminare in montagna li chiarifica ancora di più, li pulisce veramente.

E quindi l’andare nel mio rifugio tra i monti mi sembra già un’ottima occasione per sistemare le cose; ma a volte può non bastare, e allora devo salire un po’ più in alto, per esempio ai 2300 e rotti del monte Grum, e sedermi lassù in perfetto silenzio. E così certamente le cose – almeno dentro di me, e senza fare alcunché di particolare – si risolvono.

Giu 13

Peak
Che cos’è il talento? Questo è un libro denso, pieno, disruptive al pari del Cigno nero, che dà delle risposte che non saranno definitive ma vanno considerate con attenzione; non da ultimo perché Anders Ericsson è l’esperto mondiale della deliberate practice.

La versione breve, a mio modo di vedere, è che il talento puro non esiste. Ci possono essere persone che hanno più predisposizione rispetto ad altre verso un determinato compito, ma senza il duro lavoro quel loro “talento” non verrà mai fuori. (Sul punto rimando anche a quest’altra mia recensione.)

Questo libro è significativo sotto molti punti di vista (a me, ad esempio, attira tanto l’applicazione nello sport), ma soprattutto è da considerare per quanto riguarda l’apprendimento nei bambini e nei ragazzi: perché l’applicazione di metodi corretti alle persone che stanno crescendo e imparando può avere delle ricadute enormi, in primo luogo in termini di vita mentale più ricca di significato e più in generale nella società.

Il libro presenta il caso di Mozart, che però ormai è troppo ovvio. Generalmente si pensa a Mozart come genio precocissimo, mentre la realtà è decisamente differente: aveva alle spalle un papà che dedicò la sua vita a fare del figlio una stella della musica (come è avvenuto per Tiger Woods nel golf, per esempio; e chissà per quante altre eccellenze), e i suoi primi lavori sono di fatto opera del padre.

Mi viene in mente un caso che conosco bene, Cesare Pavese. Il suo talento nella scrittura è limpidissimo, ma è altrettanto vero che sin da giovanissimo dedicò infinite ore a raffinare il suo scrivere, a piallarlo, a limarlo, a renderlo completamente prono a quanto voleva dire.

Una citazione (p. 169):

The ones who are successful in losing weight over the long run are those who have successfully redesigned their lives, building new habits that allow them to maintain the behaviors that keep them losing weight in spite of all of the temptations that threaten their success.
A similar thing is true for hose who maintain purposeful or deliberate practice over the long run.

Naturalmente sul lungo periodo il problema principale è quello della motivazione, ma anche a questo c’è risposta (p. 172):

Once you have practiced for a while and can see the results, the skill itself become part of your motivation. You take pride in what you do, you get pleasure from your friends’ compliments, and your sense of identity changes.

Qui mi interessa anche approfondire il discorso relativo alla professione: quanto può la deliberate practice aiutare a diventare dei ‘maghi’ nel proprio settore? Che cosa distingue un traduttore eccellente da uno scarso? E perché, generalmente parlando, un medico di sessant’anni è di fatto meno efficace rispetto al suo collega di trentacinque anni? Come posso diventare un asso, un vero asso nel mio settore? La questione è molto complessa, perché si incanala in un ambito della conoscenza che stiamo soltanto cominciando ad esplorare, e che è fatta ancora di tantissime incognite; ma la deliberate practice è una risposta potente ed efficace.

Sì, e mi spiego con l’esempio personale. Se io prendo un ambito professionale in cui, immodestamente, so di essere eccellente – la scrittura tecnica –, vedo con chiarezza che questa capacità non mi viene da dentro o dal cielo o da chissà dove: mi viene dalla pratica costante e quotidiana della scrittura stessa, che è cominciata intorno alla terza media ed è proseguita in maniera ininterrotta lungo tutti questi anni, con modalità sempre più precise e definite. Insomma io oggi sono bravo a scrivere perché mi sono esercitato per trentacinque anni con scopi precisi, all’interno di regole accurate, con modalità ben definite. Poi entrano in gioco tanti fattori – la casualità, innanzitutto. Ma la sostanza rimane: il talento nudo e crudo non esiste, esiste l’applicazione metodica di un’abilità.

Apr 18

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Parlavo qualche settimana fa del fatto che nel mio paese “d’adozione”, là nel mio rifugio tra i monti, si comincino a vedere piccoli segni del cambiamento: ovvero che finiti una società e un mondo, con tutto ciò di doloroso e triste che ciò comporta, inizi una società nuova, basata su regole e condizioni e opportunità nuove. (In due parole: vivere in paesi come Montemale di Cuneo è conveniente, non soltanto piacevole, per tanti motivi che non elencherò ora.)

Ebbene, la settimana scorsa c’è stata un’altra piccola prova di questo fenomeno in atto. (È un fenomeno di lunghissimo termine, e dunque i segni non sono semplici da cogliere nel presente; ma cionondimeno esiste, e come!) L’occasione è stata una conferenza tenuta presso la Trattoria del Castello in cui si è parlato delle associazioni fondiarie (AsFo), e di come queste possano fare da volano per lo sviluppo economico delle nostre montagne.

Da fuori si potrebbe pensare: “Ma cosa vuoi che si possa organizzare, in un paesino così?” Invece…

Invece, dopo un’introduzione storica a cura di Lele Viola, che ha illustrato il concetto di bene comune in queste valli nei secoli scorsi, e che ha fatto capire che l’idea non è certamente nuova, ma è piuttosto l’ammodernamento di qualcosa che esisteva secoli fa, il professor Andrea Cavallero ci ha spiegato come funzionano, nella pratica, le associazioni fondiarie. Francesco Pastorelli ha portato la sua esperienza della prima AsFo italiana, a Carnino. Alberto Valmaggia, assessore regionale alla montagna, ha concluso i lavori, sia da politico (la politica è necessaria, per queste cose) sia da persona competente e appassionata. Il tutto introdotto dal “nostro” sindaco, Oscar Virano, e moderato con grazia, competenza ed efficacia da Fabrizio Ellena.

foto di Roberto Acchiardo

foto di Roberto Acchiardo


Ma non è tanto fare dei nomi e ringraziare delle persone che importa qui – per quanto sia cosa da fare. Mi importa soprattutto porre in luce alcuni concetti che ho portato via dalla serata.

1. Le associazione fondiarie superano il problema dei terreni incolti e abbandonati, una tra le piaghe principali di queste montagne, perché uniscono in un grande insieme tanti piccoli appezzamenti che, singolarmente presi, non hanno valore economico né sono di interesse per chicchessia.

2. Le AsFo sono un’opportunità di impiego per giovani, impedendo così un’ulteriore spopolamento delle nostre montagne e anzi favorendo esattamente il fenomeno contrario, quello che dicevo all’inizio (sarei decisamente e completamente sorpreso se tra dieci anni gli abitanti di questo paesino non saranno aumentati del 10% almeno rispetto ai 240 attuali).

3. Le AsFo possono fare da volano all’economia del luogo: io penso soprattutto all’aspetto turistico, e dunque a sentieri attrezzati e puliti, strutture ricettive e quant’altro. Questo perché so bene, e lo so per esperienza diretta di una vita (vengo in questi luoghi ininterrottamente dal 1974), il valore umano e personale ma anche economico delle risorse che si trovano qui.

Tanto volevo dire per introdurre l’argomento. Il tutto, poi, è per me stato ancora più di valore perché si è svolto “a casa mia”, e ho provato sensazioni magnifiche derivanti dal semplice fatto dell’essere lassù; ma di questo, eventualmente, dirò alla prossima puntata.

Feb 29

Daniel
Gli agenti del cambiamento sono un vecchio pallino di Daniel Tarozzi.

Ma ora, ora le cose si fanno serie. Si parla di visione, di dare una mano concreta a costruire una nuova Italia. Di aprire il portafoglio, di donare del tempo per questo progetto.

Daniel spiega tutto qui.

Io ho aderito subito, perché Daniel ha la mia fiducia totale e incondizionata (fiducia che non viene dal nulla, ma da tutto quanto ha dimostrato di saper fare in questi anni). Con l’età che ho, gli anni che pesano su queste spalle come rami pieni di neve, non sono sicuro che tutto questo porterà effettivamente a qualcosa (ho visto tante visioni e promesse finire in bolle di sapone, e in questo senso “la storia non è magistra / di niente che ci riguardi”, per dirla con Montale).

Ma proprio la mia età, la mia età di mezzo diciamo, mi dà la forza per credere a questo progetto, alla sua visione 2040.

(Ripenso alla mia visione del mondo quando pavesianamente ero un “giovane dio” e volevo costruire una grande azienda di traduzioni con tante persone da coordinare e motivare per fare, creare, produrre: non ho fatto tutto quello che volevo, anzi molte cose non le ho fatte, e certamente ho commesso una montagna di errori; ma qualcosa di buono, insomma, rimane. E tutto parte prioprio da una visione.)

Perché come ho detto più volte il mio vero valore aggiunto pubblico è nella descrizione di sensazioni: e le sensazioni che questa visione mi dà sono assolutamente positive.

I numeri crescono, il denaro raccolto aumenta, le ore offerte anche, e questo è del tutto positivo. Vada come vada, io delego volentieri una parte del mio futuro a Daniel.

Feb 08

Il bello è forbirti e prepararti in tutta calma a essere un cristallo.
Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, 4 maggio 1946

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Mi capita sotto gli occhi una citazione che illustra bene il concetto di professionista. (Il libro è questo, comprato usato per poche sterline, l’autore è questo.) Che si parli di traduzione, di sport, di panificazione o di qualunque attività umana, quando qualcuno può dirsi davvero professionista?

What a pair: humility and self-confidence! It is a prescription for deftness. Like me, you may not be called to be a pro golfer. Yet if playing golf can teach you to develop this combination of humility and self-confidence, it is a learning you can take with you elsewhere, so you can be a pro at whatever you are called to do.

Umiltà e massima fiducia nei propri mezzi: umiltà che porta alla pratica costante e quotidiana (dalle 10mila ore non si scappa, se davvero si vuole essere i numeri 1, o quantomeno i migliori se stessi che si possa diventare in un dato campo), pratica che porta alla fiducia – massima – nei propri mezzi.

Gen 18

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La settimana scorsa sono stato travolto – positivamente travolto – dalle reazioni a questo post, ovvero all’intervista fattami da Daniel Tarozzi nel mio rifugio tra i monti e all’articolo scritto da Paolo Cignini. Ne faccio ora qualche considerazione.

Innanzitutto, un plauso va a queste due persone che hanno svolto un lavoro professionale e appassionato. Io ho solo raccontato la mia storia; e in seguito alle reazioni e ai commenti mi rendo conto (non che non lo sapessi, ma insomma è una conferma) che alla fine delle fini tutti abbiamo problemi e aspirazioni simili. Quindi qui vorrei dare alcune indicazioni che potrebbero essere utili a terzi.

Partiamo dalle precisazioni, tanto per sgombrare il campo.

La vita 2.0 è un processo che si affina nel tempo, che richiede metodo, costanza, lacrime, sudore e sangue (sudore soprattutto). Non è detto che sia così per tutti: a volte rimango stupito (non dovrei, lo so) nel vedere persone che ci mettono un attimo a fare passi che a me hanno richiesto anni. Ma in ogni caso non puoi pretendere di trovare la ricetta pronta: ciascuno dovrà adattare le conoscenze, le strategie e le tattiche al suo proprio caso.

Alcuni punti di partenza (senza un ordine particolare):

il libro di Tim Ferriss (fondamentale);

il principio di Pareto;

la legge di Parkinson;

– la tecnologia;

– tanto pensiero, tanto lavoro su di sé.

Una parola sulle “ricette”. Le ricette non esistono! Questo percorso è una faccenda laboriosa, un percorso da compiere prima di tutto su se stessi. Un cammino lungo anni, costellato (parlo per me) di errori e di strade sbagliate. “Se devi sbagliare fallo in fretta”, come dice Greg Norman.

Nessuno dice che è facile. È un percorso che si può compiere ma che costa fatica e richiede tempo – anni, non mesi o giorni. Occorre fare un grosso lavoro su di sé, occorre mettere in discussione assiomi consolidati della propria vita. Occorre pensare tanto, occorre sperimentare. Occorre essere consapevoli del fatto che si farà una marea di errori, che si prenderanno mille strade che non portano da nessuna parte. Occorre leggere tantissimo. Alla fine, applicando le conoscenze apprese e con un po’ di fortuna si arriverà a un risultato. Le maniere per cambiare esistono, poi sta a noi darci da fare.
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Altro punto: mi trovo a fronteggiare obiezioni che ho già sentito mille volte. Sempre le stesse. La più tipica è “eh, beato te che lo puoi fare…” Sul punto vedi anche qui. Via tutte le balle: se tu mi dici “beato te” vuol dire che preferisci il tuo cuscinetto comodo, le tue abitudini consolidate a una strada impervia ma che può essere piena di sorprese positive.

Oppure mi dici che questa è roba per ex-manager che mollano tutto e vanno a vivere in Nepal. Allora non hai capito un cazzo.

Io non ho ricette né doti particolari, ho “solo” organizzato informazioni e conoscenze per arrivare a un risultato concreto. E so per certo che chiunque può farlo; ma so anche che la maggior parte delle persone dirà cose come “eh, beato te che puoi permetterlo”, “sì, ma io lavoro come dipendente” eccetera eccetera. Sono discorsi che sento da anni; ma intanto il tempo passa per tutti.

L’esperienza è condensata nel libro. Ma il libro oggi, passati cinque anni (Where has time gone?), mi soddisfa solo fino a un certo punto. È per questo che sto pensando alla versione 2.1, di cui darò conto nel tempo. Per ora mi accontento di condividere i miei pensieri, i miei successi e i miei fallimenti. Servirà a qualcuno? Non lo so, questo puoi saperlo solo tu.

Gen 11

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Ho tardato a pubblicare oggi perché l’idea per il post mi è nata solo ieri sera tardi, e avevo bisogno di elaborarla, di “cucinarla” nel mio laboratorio di scrittura, e di chiedere – prima che fosse fuori – il parere e i consigli di mia figlia piccola nella maniera di cui dirò tra poco.

Tutto nasce da una combinazione di due fatti:

– sto leggendo questo libro. L’autore lo conosco bene (ne ho parlato ad esempio qui), il suo concetto di flow è un pilastro per le prestazioni in diversi campi;

– ieri, domenica, ho passato tanto tempo con mia figlia piccola a giocare insieme e fare altre cose (ma giocare soprattutto, anche perché per lei ogni cosa del mondo è un gioco). E se ieri nel gioco c’era solo il gioco e nessun’altra considerazione, pensandoci oggi ho capito che lei mi insegna tante cose del flow che sa per istinto, per natura: e dunque frutto laterale del giocare con lei è l’imparare come se si stesse leggendo un libro. (Ciò vale per tutti i bambini del mondo, naturalmente.)

Faccio un passo indietro: che cos’è il flow? Una buona definizione iniziale si trova qui, ma in parole povere è uno stato della mente in cui la persona è talmente assorta nel suo compito da dimenticarsi del mondo esterno e dal ricavare massima soddisfazione da quello che sta facendo.

(Nota laterale: mente e corpo non sono due entità distinte, ma un unicum, un uno tutto, un continuo. Questo il golf me lo ha fatto presente in maniera netta: dopo anni di deliberate practice mi è stato chiaro che la persona è un continuum, che non c’è confine tra il corpo e la mente. E questo vale nello sport, nella professione e in qualunque attività.)
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E per traslare questi concetti nel lavoro, dirò che il “buon business” auspicato da Csikszentmihalyi è ciò a cui da sempre, per istinto prima che per ragione, tendo. Ovvero, alla radice delle cose il concetto è questo: avere buoni rapporti con tutti gli stakeholder relativi al tuo lavoro (clienti, fornitori e così via) è una sana pratica di lavoro e di vita perché arricchisce dal punto di vista mentale la tua vita, la rende piena di significato, ti gratifica; e dopo, ma solo dopo e solo come conseguenza, è un vantaggio dal punto di vista economico.

In soldoni: lavorare bene si deve e conviene perché si vuole lavorare bene, perché si ha piacere e gioia nel farlo. Il guadagno viene soltanto dopo, solo come conseguenza. Lo dice bene Pavese:

L’ignorante non si conosce mica dal lavoro che fa ma da come lo fa.

Nel corso della vita i soldi si guadagnano e si perdono, le cose vanno bene e vanno male, ma non è questo il punto. Il denaro è decisamente sopravvalutato da questo punto di vista. (Non che non sia importante, non venirlo a dire a me dopo questi anni di tribolazioni e gente che, anche se non lo farà mai, dovrebbe chiedermi perdono; ma non è il cuore delle cose.)

Anni fa, quando dopo un lungo viaggio ritornai al punto di partenza, riportando la sede di Tesi & testi proprio nel luogo dove era nata, che è lo stesso luogo che fu sogno imprenditoriale e di vita di mio nonno Giovanni, il palazzo che ha segnato la storia della mia famiglia negli ultimi cento anni, scrissi:

Uno dei motivi più inconfessati e reconditi del mio essere imprenditore è proprio il seguire le orme del nonno, la sua idea di giustizia e rettitudine a prescindere da qualunque altra cosa.

Insomma capisco che le cose sono circolari, che tutto ritorna, che fare le cose in maniera giusta è il cuore del nostro lavoro e, probabilmente, della nostra intera vita. Tutte cose che mia figlia piccola sa per istinto. È per questo che, prima di pubblicare, le ho chiesto di leggere il pezzo e di darmi la sua opinione:
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Quanto a me, io ci metto anni ad arrivare allo stesso punto perché sono lento in tutto ma ci arrivo, ci arrivo.

Nov 30


Un altro pezzo interessante di Chiara Zanardelli (i precedenti qui e qui), con la quale abbiamo immaginato un tema – il rapporto con lo smartphone – sviluppato da due punti di vista diversi: il suo, qui, che riguarda la produttività; il mio, più “filosofico”, seguirà la settimana prossima. La parola a Chiara.

Dopo aver parlato qualche mese fa degli strumenti indispensabili per liberi professionisti, questa settimana mi vorrei concentrare sullo smartphone, ormai fondamentale tanto quanto il PC o il notebook per il lavoro di ogni professionista.

Nel bene e nel male, e lascio a Gianni una riflessione più filosofica sul tema, al libero professionista è richiesto di essere sempre connesso e rispondere in tempi brevi agli input esterni. Che impressione vi fate di una persona che impiega una settimana a rispondere a un’e-mail? In quanto tempo al massimo rispondete a una richiesta di un cliente? Che cosa fate nei tempi morti, ovvero nelle sale d’aspetto di medici, sui mezzi pubblici o in coda al semaforo?

Se vi riconoscete in questa descrizione e non riuscite a immaginare di uscire di casa senza telefono (mai sentito parlare di nomofobia?) o comunque volete utilizzare professionalmente il vostro smartphone, vi propongo questa breve rassegna delle app per Android più interessanti e irrinunciabili (e aspetto tanti altri suggerimenti nei commenti).

Lo smartphone è, in fin dei conti, l’evoluzione del telefono, un fondamentale strumento di comunicazione. Se già l’avvento della telefonia mobile aveva cambiato radicalmente il lavoro permettendo di essere contattati ovunque, lo smartphone ha portato l’ufficio fuori casa e soprattutto consente di avere accesso in qualsiasi momento alla posta elettronica. Naturalmente si può consultare la posta da browser (io utilizzo Chrome anche da smartphone), ma trovo le app molto più comode. Per chi ha un account di Gmail, l’app è molto pratica ma sicuramente ogni smartphone dispone di appositi programmi per importare diversi account. Alcuni colleghi mi hanno segnalato che comunicano con i clienti anche tramite messaggi: WhatsApp è ormai indispensabile nella vita quotidiana per le comunicazioni di gruppo (gruppo palestra, gruppo mamme ecc.), ma la sua immediatezza sta conquistando anche un’utenza più professionale. Rispetto al vecchio SMS è molto più smart, è possibile ricevere la notifica di lettura e permette la condivisione gratuita di immagini e video. Infine non va trascurata la messaggistica istantanea: ne ho già parlato nel precedente articolo, ma anche da mobile suggerisco l’utilizzo di Skype per comunicare con i clienti. Oltretutto è possibile effettuare chiamate gratuite o a prezzi contenuti, un grande vantaggio per chi deve comunicare con una clientela internazionale. Quando si parla di messaggistica istantanea molti di voi ricorderanno anche Messenger, oggi integrato su Facebook. Per archiviare i documenti ricevuti e accedervi da diversi dispositivi, c’è ormai l’imbarazzo della scelta, ma direi che GoogleDrive, One Drive e Dropbox sono i più diffusi. Installateli su PC e su smartphone per avere i file più importanti sempre con voi.

Anche se in molti casi il libero professionista lavora da casa propria, non mancano le opportunità di uscire, in occasione di corsi di formazione, incarichi fuori ufficio o altre esigenze. Innanzitutto le vecchie cartine sono ormai state ottimamente sostituite dai navigatori, sia per chi si muove a piedi (e manca di senso dell’orientamento come me) sia per chi si muove in auto. Per quanto riguarda il trasporto locale, nelle città più grandi è sicuramente disponibile un’app con orari, pensilina più vicina e situazione in tempo reale. Esistono invece diverse app per monitorare l’andamento dei trasporti ferroviari, ma segnalo quella ufficiale di Trenitalia che consente anche l’acquisto dei biglietti. E se durante i trasferimenti avete dei tempi morti, potete ascoltare della musica o dedicarvi alla lettura. Quando non ho con me il Kindle, dallo smartphone utilizzo la relativa applicazione. Chiaramente la lettura perde un po’ di fascino ma grazie alla sincronizzazione tra i dispositivi non si rischia di rileggere due volte lo stesso passaggio. Quando vi trovate sui mezzi pubblici, potete anche consultare i social network: naturalmente sono disponibili app/widget per tutti i social più diffusi, Facebook, Twitter, LinkedIn e Google+.

Ma lo smartphone è anche uno strumento utilissimo per organizzare il proprio tempo. Anche se il vostro smartphone dispone sicuramente di un calendario, consiglio sempre l’integrazione con Calendar di Google che può essere aggiornato e sincronizzato da qualsiasi dispositivo. Per lo stesso motivo ho scelto Evernote per prendere gli appunti e Pocket per salvare gli articoli che voglio leggere in un secondo momento. Quando sarete di nuovo davanti al PC tutto sarà perfettamente sincronizzato. Attenzione però al salvataggio delle password, se pensate di cavarvela con un file di testo rischiate molto. Tra i diversi programmi sul mercato io utilizzo KeePass Password Safe (gratuito), anche questo disponibile su dispositivi mobili e PC. Un’ultima segnalazione per la vostra sicurezza: dato che i virus non sono esenti neppure dagli smartphone, consiglio l’installazione di buon antivirus (non necessariamente a pagamento) e un po’ di attenzione quando si installano le app (soprattutto giochi gratuiti), evitando l’accesso non autorizzato s dati riservati o l’utilizzo improprio di identità per effettuare acquisti o frodi.

Quali sono le applicazioni più importanti per il vostro lavoro? L’acquisto di uno smartphone è davvero essenziale o una moda del momento? Che rapporto avete con questa tecnologia? Diteci la vostra nei commenti!

Nov 02

biblioteca
Nei primi anni di Tesi & testi i libri sono stato uno strumento fondamentale, per me, per imparare il mestiere. Ovvero: il mestiere – qualunque mestiere – non basta impararlo sui libri, ma i libri sono fondamentali per darti visione e respiro. E comunque ci viene in soccorso il Nuto della Luna:

– Sono libri, – disse lui, – leggici dentro fin che puoi. Sarai sempre un tapino se non leggi nei libri.

Dapprima, nei miei primissimi anni (primi anni Novanta) apprezzai soprattutto i libri degli editori Franco Angeli e di Sperling & Kupfer. Franco Angeli, lui di pirsona pirsonalmente divenne quasi un mito per me, tant’è che quando fu ora di pubblicare il mio secondo libro fu uno dei primi cui proposi il progetto. Di Sperling & Kupfer ricordo soprattutto Wow! Un successo da urlo (Tom Peters era un altro dei miei miti dell’epoca).

Leggevo solo in italiano; il che era un po’ limitante, date tutte le risorse che provenivano da oltreoceano. Per questo ricordo con profluvio di dettagli la meraviglia che mi prese quando a Philadelphia nel 1998 scoprii “Inc.”, e nelle settimane seguenti altri libri mitici tra cui questo. E ricordo che, iniziatolo, pensavo che il futuro di Tesi & testi sarebbe dipeso in parte significativa da quello che avrei trovato in quel libro (pensiero che aveva le sue ragioni e che comunque si rivelò corretto).

Fu un’epifania chiara e profonda. Da quel momento iniziai a leggere quasi soltanto in inglese i libri in tema di imprenditoria e gestione aziendale. Troppo lungo sarebbe ora dire i principali, ma a chiudere gli occhi subito, at the blink of an eye, mi viene in mente questo.

Quei libri si sono ripagati mille volte, o forse diecimila. Ovvero, per dirla con Jim Rohn:

Cercate di leggere due libri alla settimana. E se vi sembra tanto, scegliete due libri di piccole dimensioni per iniziare. Facendolo per 10 anni, alla fine avrete letto più di 1000 libri! Pensate che acquistare delle conoscenze attraverso un migliaio di libri influenzerà le molteplici dimensioni della vostra esistenza? Avete proprio ragione.
Certo, è vero anche che, se negli ultimi anni non avete letto 2 libri alla settimana, siete rimasti indietro di 1000 libri rispetto a chi invece l’ha fatto. State iniziando a capire l’incredibile svantaggio che avrete tra 10 anni presentandovi sul mercato con un ritardo di 2000 libri? Ecco, per un paragone più azzeccato, si potrebbe dire che sarete carne da cannone. Vi masticheranno per poi sputarvi fuori.

Col tempo quello slancio sostanzialmente si esaurì, e io mutai il mio focus. Le pagine di questo blog, per chi ha voglia di scorrerle, ne sono una testimonianza chiara – quasi una prova. Ma il concetto fondamentale rimane: sarai sempre un tapino se non leggi nei libri.

Ott 26

Casa Scaparone, interno

Casa Scaparone, interno


Accennavo la settimana scorsa a un tema, tra gli altri, che mi ripromettevo di sviluppare in futuro: lo storytelling.

Ecco, oggi parliamo di questo. Sia chiaro che questo post non vuole nella maniera più assoluta assomigliare a una definitive guide o qualcosa del genere: sono semplicemente alcuni pensieri sul tema. (La mia storia, appunto.) Sono tutti pensieri che vanno approfonditi nel dibattito comune, sempre avendo in mente i versi di Nelo Risi:

Vorrei solo che dall’urto
nascesse una più energica morale.

(Li ho citati millanta volte in questi venti anni, ma tanto lavoro rimane ancora da fare.)

Riflettendo nei giorni scorsi sul tema, ho pensato che l’illustrazione migliore fosse l’esempio. Ho iniziato dunque da “casa” mia: ho condensato in poche righe la storia (e anche la geografia, e di questo vado particolarmente fiero) di Tesi & testi. È la storia della mia azienda – della mia bòita, per meglio dire –, fatta di conquiste e di zone d’ombra, di successi e di fallimenti. È, in fondo, la mia storia. Magari non luccica e non risplende, ma è vera.

Perché è questo il punto fondamentale: la storia che racconti deve essere vera. Il punto – passiamo al lato marketing ora – è che raccontare una storia permette a chi ci sta di fronte di conoscerci meglio prima di comprare qualcosa da noi: e se e quando dovrà decidere e, a parità di tutte le altre condizioni, noi saremo riusciti a dare un tocco personale alla presentazione, saremo certamente tra i favoriti. E, tutte le altre condizioni essendo quasi uguali, è ancora molto probabile che rimarremo tra i candidati ideali alla soluzione del problema.

Quindi ritorna la domanda di sette giorni fa: sei pronto a metterci la faccia?

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