Mag 12

Ho fatto di recente una ricerca di traduttori inglesi: è un’attività di cui mi occupo periodicamente, perché la combinazione IT>EN è sempre merce rara in questo settore. Infatti, come dice Marco Paolini parlando dei napoletani, metà del lavoro l’ha già fatto la mamma: di fatto un madrelingua inglese in Italia ha possibilità di lavoro più elevate rispetto a persone di altre lingue.

Comunque. Da alcune risposte ho avuto sentore che in tanti, troppi traduttori (sedicenti o meno – questo lo ignoro) c’è un pericolo: ovvero quello che la traduzione assistita possa essere confusa con la traduzione automatica. E questo è un rischio non da poco, se presente nella mente di chi traduce, perché fa passare l’idea che un conto è tradurre e un conto è “quella roba là”, Google Translate, Bing e via dicendo.

Un traduttore, ad esempio, mi diceva:

Sono specializzato nella traduzione/revisione testi di argomento biomedico, i quali si prestano difficilmente all’utilizzo di CAT o altri programmi automatici.

Ora, io sono giunto abbastanza tardi ai CAT (sono lento in tutto, questa è la mia natura e non credo di poterla cambiare – forse modificare un pochino, ma cambiare no di certo), anche perché la mia formazione umanistica, Pavese, Massano, l’intenso senso di letterarietà dell’esistere provato nei giorni – era il 1988, credo – in cui vidi Firenze per la prima volta e tutto il resto mi hanno per tanti anni portato a credere che sì, quelle meraviglie tecnologiche aiutano ma insomma la parola scritta non si può contenere in un computer. (Agevolato in questo anche dal fatto di aver lavorato con professionisti assai competenti, che mi hanno aiutato nella mia paura che mi ha tenuto lontano dai CAT – del resto il mio mestiere è stato sempre quello di gestire una piccola azienda che si occupa di traduzioni, mica il traduttore!). E tuttavia ho sempre saputo che per chi traduce documenti tecnici, legali, medici e così via (destinati a chi lavora per aziende di produzione e commercio, potremmo dire semplificando) si tratta di strumenti non prescindibili per il lavoro, per i due vantaggi innegabili che portano: maggior precisione nei testi tradotti e risparmio di costi inutili.

Ciò era vero quindici anni fa come lo è oggi. Chiaramente oggi il panorama è mutato in maniera radicale, e anche il confine tra traduzione assistita e traduzione automatica si fa più labile e sfumato. Ma questo non significa che non esista.

E dunque il pericolo è che un traduttore, che si è formato sui libri, ritenga che un CAT non sia uno strumento adatto al caso suo; mentre la realtà va proprio in quella direzione, né si modificherà in futuro – semmai la curva salirà ancora.

Quindi, in due parole: un CAT è lo strumento del traduttore, questa è la realtà. Prima si coglie questo fatto e prima, da un punto di vista personale, arriveranno i risultati; e, da un punto di vista generale, il beneficio sarà quello di essere percepiti, come categoria, come dei professionisti preparati e all’altezza del compito.

Nov 19


Certo, parlare da qui di una conferenza molto specialistica che si terrà dall’altra parte dell’Atlantico (mooolto al di là) appare forse un po’ pretenzioso. Eppure memoQ è un ottimo strumento, potente e moderno, che ha tutti i requisiti per giocare un ruolo di primo piano nel campo dei software che assistono il traduttore nel suo lavoro.

Quindi San Antonio, Texas, 31 gennaio – 2 febbraio 2013.

Tra gli interventi meritano un cenno almeno quello di Mike Dillinger, vicepresidente dell’AMTA (Making MT Work – Four Scenarios), e di Gábor Ugray, che è a capo dello sviluppo di Kilgray (Zen and the art of memoQ maintenance).

Già, che ci piaccia o no la traduzione automatica è qui per rimanere, e può essere un alleato potente del traduttore. Il mercato cambia, come’è logico e inevitabile che sia (anche il mio meccanico me lo immagino con la chiave inglese e le mani sporche d’olio, ma lui utilizza dei computerini che mi fanno impressione); e negli scenari che mutano le opportunità non mancano, si sa.

E qui stiamo parlando di un mondo in cui tutte le barriere sono cadute o stanno per cadere, e anche distinguere dove finisca la traduzione assistita e dove inizi la traduzione automatica non è (più) lineare; e forse nemmeno di qualche utilità.

Al di là di questo, vale sempre il discorso che ritengo prioritario in qualunque conferenza, ovvero la possibilità di fare networking, di conoscere da vicino colleghi, potenziali clienti e in genere operatori del proprio settore (mi sovviene sul tema un mio articolo di tanti anni fa).

Nov 22

Scrive Nicholas Hartmann, presidente dell’ATA, sull’ultimo editoriale dell’ATA Chronicle:

I will express frankly our concerns with regard to machine translation.

L’articolo sintetizza l’intervento tenuto alla nona conferenza dell’AMTA (Association for Machine Translation in the Americas) qualche settimana fa a Denver, immediatamente precedente la conferenza ATA. L’intero testo si trova qui.

Credo sia un atteggiamento pericoloso, soprattutto perché viene da una figura che ovviamente è autorevole nell’industria della traduzione. Ma di più, credo anche che nasconda la paura per il futuro, per la scomparsa o il ridimensionamento di un mestiere.

Sarebbe forse più opportuno esternarla, quella paura: guardare il futuro dritto negli occhi e vedere che cosa porta con sé. Decidere in un mondo imperfetto. Anche perché quando il futuro arriva – hint: è già qui – non tiene conto di preghiere e invocazioni, spazza via come un tornado quel che trova sulla sua strada.

Il presidente precedente, Jiri Stejskal, aveva scritto nell’editoriale di gennaio 2009:

Like it or not, machine translation is here to stay and we should pay attention and find ways to make the best of it. Let us view it not as a threat, but as an opportunity.

Il che mi pare una posizione più equilibrata, nonostante l’ATA sia tradizionalmente attenta a non fare soverchie concessioni alla traduzione automatica. (Ne avevo parlato qui.)

Continua Hartmann:

I will […] demonstrate that translators possess and exercise unique and unduplicatable skills, and that we must keep exercising them because our work is not just useful but essential.

Ecco, nel momento in cui ci sentiamo in dovere di dire che il nostro lavoro è indispensabile abbiamo di sicuro un problema. Un traduttore può comprensibilmente sentirsi minacciato dalla traduzione automatica, ma l’ATA – organismo che parla a nome di una categoria – dovrebbe, io credo, pensare a come dare ai singoli traduttori degli strumenti per proporsi sul mercato in maniera efficace – oggi, e in pratica – piuttosto che non dire che l’opera del traduttore rimane comunque indispensabile.

MT has not demonstrated equivalence with, let alone superiority to, human translators except in a very few contexts.

Stesso discorso: non ci si chiede come si possano migliorare le cose, ma si dice che il nostro succedaneo non potrà mai svolgere il nostro lavoro (se non, concediamoglielo, in ambiti molto ristretti). Io, personalmente, pur facendo parte da molti anni dell’ATA non mi trovo rappresentato in un’argomentazione del genere. Non la condivido perché non la trovo gravida di futuro.

È forse curioso – e al contempo certamente meritorio – che la stessa rivista contenga un punto di vista opposto, quello di Jost Zetzsche, uno dei maggiori esperti di traduzione automatica e assistita. Zetzsche pensa (e non da oggi) che si tratti non di una minaccia ma di uno strumento carico di possibilità. Anche se, avverte,

things are moving a lot slower than many anticipated, despite the huge amount of coverage devoted to MT in the news media and the very widespread private use of Google Translate, ect.

Perché è chiaro: stiamo parlando di strumenti perfettibili. Ma allo stesso tempo parliamo di strumenti che modificano – profondamente, e per sempre – il lavoro del traduttore. Vediamoli come un’opportunità.

Ott 23

Molti traduttori storceranno il naso.

(Il 90%, è la mia stima.)

Eppure ieri è stato un giorno semplicissimo ed epocale, per Brainfood: ho iniziato ad usare Google Traslate per la versione inglese, con mio post-editing.

Così, dieci minuti dopo il post in italiano è pronto quello in inglese.

Mentre lo facevo mi chiedevo come avevo fatto a non pensarci prima.

Imperfetto. Migliorabile. Forse fastidioso. Ma vero, reale, tangibile, presente. È quello che Robert Capps chiama “effetto mp3”: ovvero il trionfo del good enough sul perfetto.

Spiega il senior editor di Wired US:

Quel che è avvenuto con il formato mp3 e altre tecnologie “facili” è che le qualità cui diamo valore sono cambiate; e questo cambiamento è così profondo che i vecchi parametri hanno perso di significato: chiamatelo effetto mp3.

E ancora:

Il qui e ora è più importante della perfezione. Questi cambiamenti sono tanto profondi e diffusi da alterare il significato cha attribuiamo alla definizione di “alta qualità”. […] Quel che sembrava perfetto è diventato inappropriato e i prodotti che a prima vista sembrano mediocri spesso calzano alla perfezione.

È esattamente quello io ho visto – nel mio infinitamente piccolo – applicando Google Traslate a questo blog: mi apro ad un pubblico decisamente più vasto, che altrimenti non avrei raggiunto – e conto con questo di allargare la discussione. (Il mio libro nelle mani di colleghi americani fa scena e rinvigorisce il mio ego, ma è di fatto inutile.)

Traduttori, la tecnologia apre un mondo infinito di possibilità davanti a voi: non rimane che approfittarne.

Gen 22

Sono andato in questi giorni a sfogliare alcuni vecchi numeri di “Inc.”. Ho aperto il primo (per me) numero, agosto 1998, comprato a Philadelphia – e ricordo bene il mio sentire di allora, confuso e curioso verso un mondo tutto da scoprire.

Mi ha colpito una citazione che avevo evidenziato:

A great example in retailing today: one would suspect that Barnes and Noble spends all its time looking at Borders and that Borders spends all its time looking at Barnes and Noble, when both of them should pay attention to Amazon.com.

Fa parte di un’intervista a Tom Stemberg, fondatore di Staples. All’epoca il mio interesse era rivolto verso Internet, che era un oggetto oscuro e fascinoso. Oggi quelle parole mi hanno ricordato, attraverso Flatlandia, luogo dove la tridimensionalità non può essere percepita da esseri che vivono in due dimensioni, l’atteggiamento di molti, troppi traduttori verso la traduzione automatica: un misto di ribrezzo e paura. E comunque con il pensiero che si può avere quando esce il modello nuovo della propria auto: “Il mio è superiore…”

Del resto anche Jiri Stejskal, presidente dell’ATA, nell’ultimo numero di “ATA Chronicle”, rivista tradizionalmente conservatrice da questo punto di vista, esprime un concetto tanto semplice quanto trascurato:

The translation landscape is changing. Like it or not, machine translation is here to stay and we should pay attention and find ways to make the best of it. Let us view it not as a threat, but as an opportunity.

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