Nov 28

nebbia
Ora che non ho più il mio rifugio tra i monti (la storia della cui terminazione racconterò più avanti, quando l’avrò capita – perché se oggi dovessi spiegare il perché e il percome veramente non saprei che cosa dire – e interiorizzata meglio), mi sento più libero di spaziare nei miei peregrinari montani.

Venerdì, dopo una settimana di piogge continue, e nonostante il meteo incerto, ho scelto comunque di andare a percorrere questo sentiero. (“The timing is never right”, come dice Tim Ferriss.)

Era un luogo che, per quanto vicino ai percorsi soliti, non conoscevo; o meglio nel mio tempo adolescenziale affondavano vaghissimi ricordi di questo santuario, ma niente di più. (Quante volte passiamo accanto a cose e scegliamo di ignorarle!)
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Coi miei fidi scarponcini sono partito, ho camminato, ho liberato i pensieri. I contorni erano a tratti nebbiosi, a tratti più chiari. Ho apprezzato particolarmente il fatto di aver attraversato il crinale che divide la valle Maira dalla val Varaita, perché mi è sembrata un buona metafora dell’andare oltre. Oltrepassare le barriere mentali. Nel primo pomeriggio ero perso, volutamente perso in quelle montagne.

Niente, camminare mi definisce tanto, mi aiuta, mi libera. Conoscere davvero queste montagne, parlare con le persone, capire la differenza tra un pino, un larice e un abete, sentire il pietrisco sotto le scarpe: queste sono le cose che soprattutto voglio fare.

Ott 24

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Sabato pomeriggio mi si è fermata l’auto. Ero molto lontano da casa, in un luogo che conosco poco, e prima che succedesse il fatto avevo tutta l’intenzione di paesaggire, guidando piano, per stradine laterali, fermandomi ogni tanto per annusare il paesaggio, camminare, vedere com’è la vita in luoghi diversi dai miei consueti, visitare luoghi abbandonati. (Ehi, dopotutto quest’attività, per quanto stramba, rientra tra quelle che adoro maggiormente!)

Non che fossi contento, ovviamente; ma ho pensato che ciò che succede vale soprattutto per l’interpretazione che ne diamo noi. E io ero in un luogo “straniero”, senza impegni pressanti, non c’erano pericoli e c’era il sole. Un’auto che si ferma non mi è sembrata poi gran cosa. Guardare il mondo con lenti differenti invece sì.

Allora ho attraversato più volte quel paesino, nell’attesa della soluzione. Il mio problema non mi sembrava un gran problema, dopotutto; il fatto di uscire dal conforto del mio guscio un’opportunità, invece. E poi ci sono sempre persone gentili che ti aiutano – il mondo è una rete gigante, a ben vedere –, e al fondo delle cose arrivi sempre.

Quindi è stato un paesaggire un po’ a tentoni, molto limitato dalla contingenza; però mi è sembrata un’esplorazione con un senso intrinseco, come un guardare con una specie di lente di ingrandimento un paesino dove altrimenti, con buona probabilità, non mi sarei fermato mai.

Ho chiesto informazioni a una signora (che stava entrando in un vero negozio di alimentari); ho parlato con il vigile, con il meccanico. Mi è sembrato un paesino con un senso, un luogo certo lontano dalle comodità e dalle luci degli spendodromi, ma comunque un luogo quadrato e reale. Un posto dove, non importa quel che succede, sono sicuro sia bello veder passare le stagioni.

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