Ho scoperto che, prima di nascere, sono vissuto
sempre in uomini saldi, signori di sé,
e nessuno sapeva rispondere e tutti eran calmi.
(Cesare Pavese, Antenati, vv. 8-10)
Ho sensazioni strane, in questo periodo. Metterle su carta non è semplice. Credo che ciò sia connesso con la mezza età, il vedere – immaginarla, almeno – la fine del tempo, la trasformazione del corpo e della mente. E con la casa che è della mia famiglia da cento anni.
Cento
anni.
Da quando le sette suore Rosine rimaste lasciarono il convento per prendere la via di Torino, correva l’anno 1920, e il nonno Giovanni comprò l’immobile per impiantare la sua fabbrica.
E c’è questa foto con papà e nonno che mi attrae tanto. Stimo sia della primavera avanzata del 1937, papà aveva 8 anni all’epoca, il nonno era negli ultimi mesi di vita – ma non lo diresti guardando la foto, né nessuno poteva prevederlo in quel momento.
E penso che il tempo è circolare. Io sono il padre (il nonno qui) e sono anche il figlio (il padre, qui).
E questa casa è una sorta di tramite tra le generazioni. Lo so da sempre, ma me ne sono accorto un po’ di più in questi giorni in cui sto curando dei progetti interni alla casa, tocco con mano mattoni che cent’anni prima certamente ha toccato mio nonno, che è anche la persona che mi ha insegnato il senso di giustizia e rettitudine anche se non l’ho mai conosciuto. L’ho sognato, sì; e tanto. Mi ha ispirato.
Sono sensazioni che non so esprimere bene con parole. Le devo elaborare, ma in parte – in grossa parte, temo – rimarranno inespresse. Ma questi mattoni anche tra cent’anni parleranno.