Nov 07

Oggi partiamo da questo articolo, che il mio socio ha condiviso sulla mia bacheca FB qualche giorno fa.

Quando si parla di letteratura mi si aprono, sempre e immediatamente, dei circuiti mentali. Ho parlato tante volte qui, in questi anni, del mio rapporto lavorativo con la letteratura: che non è una storia d’amore mancata ma una presa di coscienza.

Tutto potrebbe essere fatto partire intorno al 1989, quando per la prima volta vidi Firenze ed ebbi dentro di me un senso intenso della letterarietà del vivere. Tenevo un diario in quel periodo – a ben pensarci ho sempre tenuto un diario, forse dalla prima liceo (circa da quando Borg perse la finale di Wimbledon nel 1981) a oggi, sia pure in forme differenti –, ed era pieno di commenti di letteratura. Fu anche il periodo in cui scoprii Luca Goldoni – che è a modo suo letteratura di prima scelta.

Il passo successivo potrebbero essere i complimenti del mio professore di tesi, Riccardo Massano, al quale piacque l’idea di Tesi & testi, ovvero del vivere con la parola scritta. (I lettori di questo blog lo sanno bene, ma per me una cosa è vera principalmente quando è scritta.) In mezzo ci fu Pavese naturalmente, e tutto il mio bruciare di passione per la sua vita.

Quando cominciai a lavorare fu quindi naturale rivolgermi alle case editrici: mi sembrava l’ovvio sbocco. Come ho detto altre volte (per esempio qui) Giulio Einaudi e Norberto Bobbio, loro di pirzona pirzonalmente, mi incoraggiarono a proseguire gli studi su Pavese e a lavorare per le case editrici. Ma litterae, si sa, non dant panem. E anche se il mio vero mestiere sarebbe stato l’etimologo ciò che traduciamo oggi – ciò che abbiamo tradotto negli ultimi vent’anni, invero – sono brochure, documenti di vendita, manuali tecnici, contratti, bilanci, comunicazioni aziendali, schede tecniche eccetera.

Aiutiamo le aziende “a comunicare in tutte le lingue in maniera professionale”: questo è scritto nella home page di Tesi & testi da quindici anni almeno. Ed è un fatto, una cosa vera: perché io gestire tutto questo l’ho sempre fatto con passione, è stato un caso ma non un ripiego. Sono contento della bòita che ho creato, della mia vita lavorativa e professionale, a tornare indietro non cambierei nulla invero, è compiuta così. E quell'”effetto di toccare un filo di corrente”, per dirla con Pavese (diario, 8 ottobre 1948), che mi dà la letteratura me lo tengo per me, per i miei pensieri pubblici e privati. Non è un tormento, è una passione; ma la professione, quella, va bene così.

Feb 08

Il bello è forbirti e prepararti in tutta calma a essere un cristallo.
Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, 4 maggio 1946

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Mi capita sotto gli occhi una citazione che illustra bene il concetto di professionista. (Il libro è questo, comprato usato per poche sterline, l’autore è questo.) Che si parli di traduzione, di sport, di panificazione o di qualunque attività umana, quando qualcuno può dirsi davvero professionista?

What a pair: humility and self-confidence! It is a prescription for deftness. Like me, you may not be called to be a pro golfer. Yet if playing golf can teach you to develop this combination of humility and self-confidence, it is a learning you can take with you elsewhere, so you can be a pro at whatever you are called to do.

Umiltà e massima fiducia nei propri mezzi: umiltà che porta alla pratica costante e quotidiana (dalle 10mila ore non si scappa, se davvero si vuole essere i numeri 1, o quantomeno i migliori se stessi che si possa diventare in un dato campo), pratica che porta alla fiducia – massima – nei propri mezzi.

Feb 23

I libri degli altri
La mia vera passione professionale è stata da sempre lo scrivere per altri. Scrivere è un atto che mi viene facile, spontaneo, naturale. Intendiamoci, però: quella naturalità è frutto di esercizio costante, di studio e lettura e scrittura continui. È traspirazione, in sostanza; forse – ho detto forse – con un minimo tocco di ispirazione, ma il sudore viene di gran lunga al primo posto.

Ebbene, ho creato questo sito per dirlo in maniera “ufficiale”, per far sapere che la mia competenza è a disposizione di chi ha dei contenuti da trasmettere ma è mancante di tempo o di strumenti o comunque ha altre priorità.

I libri degli altri è ovviamente un prestito da Italo Calvino, e insieme un omaggio a quel grande editor che è stato; e, indirettamente, a Cesare Pavese e insomma alla teoria di tutti coloro per i quali la parola scritta è sacra. Ovvero, per dirla con lo stesso Calvino, nella replica a Elémire Zolla che gli magnificava una scena di tempesta in un film:

Come osi paragonare un’ondata cinematografica a quelle di Melville?

Con una differenza, però.

Il mio lavoro si concentra infatti sulla scrittura tecnica. Io sono come quell’operaio di una fabbrica di armi da guerra di quel racconto di Rodari, che per quanto si sforzasse di costruire giocattoli pacifici per il nipotino gli venivano sempre fuori armi: io so solo scrivere in maniera tecnica. Per quanto mi piacerebbe non so scrivere letteratura, per dire. So però dare una forma precisa ed elegante ad un concetto; so descrivere, citare, collegare. So ritagliare, paragonare, illuminare. Se l’obiettivo è scrivere un libro, io so fare tante cose.

Feb 02

di chi sarà questa frase?

di chi sarà questa frase?


Ho imparato a scrivere – scrivere in maniera tecnica, ovvero precisa – sostanzialmente grazie a quattro maestri:

– Ugo Foscolo, che nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis mi permise di vedere che cosa vuol dire veramente l’eccellenza nello scrivere (avevo diciott’anni allora, ma ricordo ancora in maniera netta la sensazione di precisione che trasmetteva la scelta di quelle e non altre parole);

Italo Lana, che fu il primo a insegnarmi la scrittura tecnica: e lo fece senza fanfara, ma con la pratica;

Luca Goldoni, la cui leggerezza mi rapì verso i venticinque anni;

Riccardo Massano, che si prese la briga di leggere e rileggere e se del caso commentare ogni singola riga della mia tesi: probabilmente ero già bravino quando arrivai a quel punto, ma fu lì che imparai davvero a scrivere seguendo delle regole precise e non solo il flusso dei pensieri.

Già, perché non lo sanno in tanti ma la scrittura è un mestiere, un mestiere che si impara andando a bottega, scrivendo tutti i giorni, leggendo e studiando. Proprio come si impara a fare il fornaio. Un mestiere che ha regole precise (matematica e latino sono solo due facce della medaglia medesima, non sono due mondi che non comunicano tra di loro) e non si improvvisa.

Invece negli ultimi anni ha preso piede la sindrome del cit. Puoi citare qualunque autore, fuori contesto o meno, che la frase sia apocrifa o meno: tanto alla fine metti un “cit.” ed è tutto risolto. Il cit. è il passaporto che sdogana qualunque pensiero e ti libera pure la coscienza, in quanto citazione di pensiero altrui.

Ma non basta! Se mi citi una frase voglio – devo – sapere quanto meno chi è l’autore, e preferibilmente vorrei – dovrei – anche conoscere la fonte. Altrimenti è tutto un manicomio, il pensiero tritato della società liquida.

Quindi: va bene che tu citi un autore, che riporti una frase e così via: lo apprezzo ma per piacere, dammi maniera di risalire alla fonte.

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