Mar 30

PBH
Powered by Humanity è un ebook di Geoff Welch che ha attirato la mia attenzione, per una serie di motivi inestricabili tra di loro.

Innanzitutto, mescola professione e vita, o meglio stabilisce in maniera chiara che i meccanismi che regolano le nostre vite si possono applicare al lavoro senza soluzione di continuità. E questo è un concetto che mi piace, perché io non sono diverso quando indosso la maschera di professionista rispetto a quando sono a tavola con la famiglia. Sono sempre io, con i pregi e i difetti medesimi.

Questo mi ha fatto pensare al rapporto che ho con alcuni clienti: in alcuni casi è assolutamente splendido, e io darei qualunque cosa per renderli contenti (nella pratica lo faccio e non mi pesa), in altri è assolutamente problematico (e in qualche caso negli anni ho tagliato dei ponti del genere, perché mi drenavano troppe energie, mi consumavano troppa vita).

Poi, l’ebook parla del cambio di prospettiva che tutti dovremmo applicare:

  1. Care about others at least as much as you care about yourself;
  2. Treat others the way you want to be treated.

Cosa che, però, “It’s just that simple / nearly impossible”.

E infine c’è il punto centrale (o almeno, quello che io considero centrale): l’idea che dovrebbe importarci – genuinamente – degli altri. Delle storie delle persone che ci circondano, delle loro vite. E che dovremmo ogni tanto fermarci a riflettere su quanto bene riceviamo continuamente, ma troppo sovente non andiamo al di là di un grazie d’occasione:

It’s not that I wasn’t polite; I was fine at saying thank you to the clerk at the grocery store or to someone who held a door for me. The problem that wouldn’t let go of me was that I didn’t take the time to express real gratitude to people for the way they enriched my life.

Caring about people, caring about others. Non è tutto qui, dopotutto? No, in effetti no: c’è tantissimo altro, e infatti l’idea generale che ho estratto da questo ebook è la mancanza di un vero punto centrale, ovvero il fatto che la professione – così come la vita – è troppo ampia per essere riassunta in una frase sola. Ma insomma questo libro entra nel vivo della questione, è volutamente incompleto e incompiuto come le nostre vite, ma una gran sorgente di ispirazione e idee.

L’idea centrale che ho portato via da questa lettura è in quella parola, gratitudine. Il giorno in cui ho letto l’ebook per la prima volta – lunedì scorso – l’ho praticata intenzionalmente (non in maniera affettata, ma reale – reale dentro di me) con le persone che via via incontravo nel giorno, famiglia inclusa. Ho visto più sorrisi, mi sono sentito mooolto meglio. Una sorta di magico effetto moltiplicatore.

“Your legacy will not be about what you did for yourself”.

Gratitudine. È la parola.

Feb 09

The-Repairman
Lui è Filippo Margiaria, di Monticello d’Alba, che in una mansarda del suo paese ha fondato due anni fa con Paolo Giangrasso Aidia, casa di produzione cinematografica.

Poi c’è Scanio, ingegnere mancato che si guadagna da vivere riparando macchine da caffè.

E infine c’è Helena e la storia di The Repairman, commedia d’autore dal gusto nord europeo girata in provincia di Cuneo.

Ora, non è tanto la provincia di Cuneo, che pure mi è cara in quanto “casa” mia, quanto piuttosto il sottotitolo del film: Perché cambiare vita, se puoi aggiustare quella che hai? Già, perché questo concetto ha almeno una duplice valenza, in quanto riferibile sia alle nostre vite disastrate dalla realtà che ci circonda che alle cose. Questa è storia vecchia, ma la storia si ripete sempre e comunque. Lo diceva già Montale:

La storia non è magistra
di niente che ci riguardi.
Accorgersene non serve
a farla più vera e più giusta.

E quanto al secondo punto (le cose), vale una visita il sito collegato.

Quanto al film, uscirà il 26 febbraio in diverse città italiane (le date saranno a brevissimo qui), con un’anteprima a Torino il 19 febbraio in presenza del cast.

Ho avuto l’opportunità di poter vedere la pellicola, che racconta una storia / non storia godibile, che è appunto quella di Scanio – persona che si trova ai margini del mondo in quanto non vuole saperne di andare al ritmo dettato da altri. Il film è composto di battute felici e veloci, e non contiene un “messaggio” vero e proprio; o forse il sugo di tutta la storia sta nel fatto che non tutto nella vita si può riparare, a volte è meglio chiudere un capitolo e procedere oltre.

Niente, parola all’azione.

Ott 06

escolo
Allora: in una parola qui, in questo luogo magnifico e (apparentemente) solitario delle nostre valli, c’è bisogno di tutto. Ma facciamo un passo indietro.

L’avventura ebbe inizio circa sessant’anni fa, quando lou magistre, Sergio Arneodo, disse ai suoi allievi di allora che riempivano la piccola aula scolastica:

Da encuéi coumensé co a scrive ente la lengo que vous a moustrà vosto maire.
(Da oggi incominciate anche a scrivere nella lingua che vi ha insegnato a parlare vostra madre.)

L’Escolo di Sancto Lucìo de Coumboscuro è un’avventura straordinaria, che risalta la diversità (la società ci vorrebbe tutti omologati, tutti macdonaldizzati e perfettamente allineati ma non è detto che tutti si sia d’accordo con questa esigenza) e va avanti grazie all’impegno di persone che hanno capito (meglio, che sanno per istinto e conoscenza) che la montagna ha un valore.

Il futuro di questo progetto è difficile e incerto, ma il progetto è magnifico e va sostenuto. C’è bisogno di tutto ma c’è una maniera bellissima per aiutare la scuola e nello stesso tempo ricavarne benefici anche materiali: comprare dei prodotti di aziende agricole che la sostengono (avendone tra l’altro anche un vantaggio fiscale). Qui le istruzioni.

Io l’ho fatto – ho cominciato proprio sabato. Poca cosa, ma è stata la prima di tante volte. Perché la montagna è una risorsa, perché la diversità culturale è un valore, perché l’omologazione non è d’obbligo.

Quando penso a Mauro Arneodo, anima dell’intero progetto, non mi può non venire in mente il verso di Orazio:

Aut insanit homo aut versus facit.

E non è tutto: quando lui mi ha presentato il progetto del dizionario provenzale, dove per esempio trovi millanta maniere in uso sulle nostre montagne per descrivere la neve, ho pensato che quest’altro progetto affascinante è un risvolto della stessa faccenda, la tutela delle infinite sfaccettature che compongono la vita sulle nostre montagne. Risorse che non moriranno fino a che persone come lui, e coloro che come lui si dedicano a progetti come questi, continueranno a dare l’anima nonostante tutte le difficoltà per una realtà in cui credono.

Aut insanit homo aut versus facit, già. Ma quell’uomo è tutt’altro che pazzo.

Mar 25

Conobbi Kevin Hendzel in una delle tante conferenze nel settore della traduzione cui ho partecipato negli Stati Uniti tra il 2003 e il 2008 – una conoscenza occasionale, ma ricordo che rimasi colpito dal suo modo tranquillo di parlare e dall’aura di calmevolezza (sì, lo so che il termine non esiste sul dizionario; ma inventare le parole è un bel modo per sviscerare, rimescolare e conoscere la propria lingua) che emanava la persona.

Ho da poco scoperto, e volentieri segnalo, il suo blog, Word Prisms, un laboratorio di idee sul mondo della traduzione.

(La cosa bella dei blog americani, anzi degli americani in genere, a riguardo del nostro settore è che si parla – anche – di denaro senza troppi giri di parole come invece faremmo noi.)

(Da un po’ tempo rifletto anche sul fatto che il concetto stesso di “blog” è obsoleto: certo, io non faccio male a nessuno con le mie parole in libertà, e anzi c’è pure chi le apprezza; ma uno strumento che qualche anno fa mi appariva futuristico oggi mi sembra superato dagli eventi, ovvero dall’informazione che si sbriciola e frammenta.)

Tutto il blog si fa leggere con piacere. Tra gli articoli, mi hanno colpito soprattutto questo (dedicato a come i traduttori dovrebbero usare le conferenze per trovare nuovi clienti) e questo dedicato alla MT (“If you think translators feel threatened by the encroaching wave of next-generation MT software, consider the case of poor commercial airline pilots”).

Un blog molto recente – l’articolo più datato ha sei mesi –, ma dati i contenuti è facile immaginare che diverrà molto seguito. Mi piace.

Ott 29


C’è un problema che, sporadicamente ma puntualmente, si è presentato nella mia carriera di PM: come tradurre i file di Autocad in maniera rapida ed economica. Poiché penso alle quantità di tempo e di denaro che abbiamo investito in passato per trovare una soluzione, mi piace oggi segnalare questo software, ZTrad.

L’applicativo serve a estrarre i testi di disegni Autocad in maniera che possano essere tradotti (in Word, per esempio), e poi re-importati nel disegno stesso. Il tutto in pochi e semplici passaggi.

Questo software dà un aiuto molto specifico e probabilmente piccolo nel contesto della traduzione tecnica, ma – come chiunque abbia dovuto tradurre decine di file Autocad sa – si tratta di una questione che quando sorge ha bisogno di una soluzione veloce: è un prodotto che accogliamo dunque volentieri nel ventaglio delle nostre possibilità.

Nov 07

Tre anni fa scrissi una recensione del libro di Daniel Gouadec per Language International, sito che aveva lo scopo di far rivivere i fasti dell’omonima rivista, punto di incontro nel nostro settore tra il 1988 e il 2002; ma purtroppo ebbe vita breve. Ripubblico allora qui quel pezzo.

Daniel Gouadec is a professor at the Université de Rennes 2 and a well-known author in our field (a list of his publications can be found here). His latest feat is Translation as a profession, an excellent overview of the translator’s job in the XXI century. Generally speaking, the perception of the translation profession in the eyes of the general public is that of a sort of Saint Jerome with a dusty dictionary (obviously on paper) in his/her hands. But nothing is more far from the truth, now that translation and IT have become more and more intertwined; and this book contributes to clearing up that misunderstanding.

The book is divided into six sections. The first analyzes the translation process, while the second describes the translation profession and the market. The third section is devoted to how to become a translator, and at which conditions this career is worth the effort. The fourth can be seen as the result of the previous section, looking at issues such as rates, productivity, quality, deadlines, certifications and so on. The fifth section describes the impact that IT has had on the profession. The final section concerns the training of translators.

The main merit of the book lies in its completeness. Professor Gouadec gives an in-depth view of the profession that is very useful for aspiring translators as a guide, and for actual translators to revisit and rethink their job. In some passages, the book may come across as too theoretical, but must be said that it is anything but simple to give precise data and indications in this field. Also, there are too many pointed and numbered lists that do not really make for a fluent read: there is for example a numbered list that describes the translation process (pages 57-83) 156 points long! Another flaw that, quite frankly, surprises the reader is the lack of a bibliography: the author quotes some sites, but the information would have been more complete and accurate with annotated references to books and articles on the subject.

Some specific concepts are worth noting. For example that “the translating profession has long been dominated by women. The reasons were economic (the relatively low rates were acceptable as a second income) and social (translation offered part-time opportunities and flexibility)” (p. 88): a good and plain explanation for a phenomenon that is the same everywhere you go. Or that “salaried employment in the translation industry tends to focus more and more on such activities as project management and language engineering” (p. 89): this is precisely what is happening in the industry today.

Rather theoretical but interesting is the difference between a broker and an agency: the first “simply buys and sells translations”, whereas the second “usually takes care of at least part of the translation process” (p. 96).

There is also the unfailing point that regards the prices that translators apply to their clients: “When it comes to tariff levels, translators all too often appear to be willing to dig their own graves” (p. 199).

There are some other concepts that are perhaps more arguable. For example:

– “Translation graduates are expected to be able to translate from two foreign languages into their mother tongue” (p. 89; emphasis is in the original); why two and not only one, or more than two, as may be the case for Nordic languages?

– “It must also be remembered that a translation company’s rates will always be higher than those of a freelance translator” (p. 123): this is not always true, in some cases a freelancer may charge higher than an agency for a specialized service;

– “Need it be said that the choice of premises and their location are all-important […]. Also be wary that many clients (more especially those that bring in the major contracts) will, soon or late, drop by […] and that major clients will be dismayed at the sight of substandard premises” (p. 184): this may have been true in the past, but in the current market rules have changed dramatically;

– “A good rule of thumb is that the normal pattern for freelancers is to aim to cut down their reliance on agency work from 50% the first year, to around 20% by the third year” (p. 190): it may be useful advice as a general rule, but the numbers depend on many factors. Just to name one, translators may want to concentrate on their translation duties, letting the agencies do the marketing efforts for them and be compensated for this.

All in all, this is an excellent overview of the translation profession, recommended especially for translators who are still new to the profession; however the price may be an obstacle to the circulation of the book.

Daniel Gouadec, Translation as a Profession, “Benjamins Translation Library”, volume 73, Amsterdam/Philadelphia, John Benjamins, 2007, pages 396, ISBN 9789027216816, price EUR 110.00 (hardbound – ebook), EUR 36.00 (paperback), available here.

Giu 23

La squadra delle persone – autori, blogger, filosofi/non filosofi – che ammiro è aumentata di recente con una new entry, Chris Guillebeau.

Ecco in due parole il Chris-pensiero:
1. Non sei costretto a vivere la tua vita per come altre persone si attendono da te.
2. Se non decidi da te che cosa vuoi ottenere dalla vita, è probabile che qualcun altro lo farà al posto tuo.
3. Di solito c’è più di una strada per raggiungere una meta.
4. Puoi fare cose meravigliose per te stesso e nello stesso tempo aiutare gli altri.

Tra i molti materiali presenti sul sito, mi ha colpito particolarmente 279 Days to Overnight Success, un libretto pieno di suggerimenti utili – sotto forma di case study del suo proprio sito – su come vivere bene e crescere grazie ai social media.

Personalmente lo trovo spettacolare, anche perché si lega in modo perfetto a molti dei miei miti (Timothy Ferriss, Robert Shemin, il concetto di provvidenza secondo Goethe) e, più in generale, al mio progetto 25×44: poiché ho molte esperienze interessanti da perseguire, ho deciso che non voglio – meglio, non posso – dedicare al lavoro “ufficiale” più di 25 ore alla settimana per più di 44 settimane l’anno. That’s it.

Glosserebbe il re, uno dei protagonisti de La saga dei KapitanCerbay:

Nel frattempo vi auguro con tutto il cuore
di fare un bellissimo viaggio interiore!

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Feb 04

Segnalo un veloce e bell’articolo apparso sul sito dell’Harvard Business School, “Five Missteps to Avoid in Volatile Times”, di David Stauffer.

In mezzo agli errori che non bisognerebbe commettere in tempi turbolenti, mi ha colpito soprattutto un suggerimento che, credo, valga per qualunque azienda di qualunque dimensione in qualunque tempo:

Cherish the customers who stayed with you through this slump. Chances are they’ll be your best buyers in good times, too.

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