Ott 26

Casa Scaparone, interno

Casa Scaparone, interno


Accennavo la settimana scorsa a un tema, tra gli altri, che mi ripromettevo di sviluppare in futuro: lo storytelling.

Ecco, oggi parliamo di questo. Sia chiaro che questo post non vuole nella maniera più assoluta assomigliare a una definitive guide o qualcosa del genere: sono semplicemente alcuni pensieri sul tema. (La mia storia, appunto.) Sono tutti pensieri che vanno approfonditi nel dibattito comune, sempre avendo in mente i versi di Nelo Risi:

Vorrei solo che dall’urto
nascesse una più energica morale.

(Li ho citati millanta volte in questi venti anni, ma tanto lavoro rimane ancora da fare.)

Riflettendo nei giorni scorsi sul tema, ho pensato che l’illustrazione migliore fosse l’esempio. Ho iniziato dunque da “casa” mia: ho condensato in poche righe la storia (e anche la geografia, e di questo vado particolarmente fiero) di Tesi & testi. È la storia della mia azienda – della mia bòita, per meglio dire –, fatta di conquiste e di zone d’ombra, di successi e di fallimenti. È, in fondo, la mia storia. Magari non luccica e non risplende, ma è vera.

Perché è questo il punto fondamentale: la storia che racconti deve essere vera. Il punto – passiamo al lato marketing ora – è che raccontare una storia permette a chi ci sta di fronte di conoscerci meglio prima di comprare qualcosa da noi: e se e quando dovrà decidere e, a parità di tutte le altre condizioni, noi saremo riusciti a dare un tocco personale alla presentazione, saremo certamente tra i favoriti. E, tutte le altre condizioni essendo quasi uguali, è ancora molto probabile che rimarremo tra i candidati ideali alla soluzione del problema.

Quindi ritorna la domanda di sette giorni fa: sei pronto a metterci la faccia?

Ott 19

mercatigenerali
A margine dei post di una e due settimane fa, faccio oggi alcune considerazioni su come possono essere impostate le vendite di servizi.

Intanto, dobbiamo presupporre di avere a che fare con un cliente molto ben informato: come conseguenza, il nostro ruolo principale è quello del consulente. È tramontata per sempre l’era del venditore – del fornitore di servizi, nello specifico – informato e del cliente che doveva per forza attenersi a quanto apprendeva dai fornitori consultati. Oggi l’informazione è a disposizione di chiunque in ogni momento, ed è perlopiù gratis (Free, perfect, and now, per dirla con il titolo di un libro di successo di qualche anno fa), dunque di per sé non possiede più valore spendibile. Ma l’obiettivo è – dovrebbe essere – quello di diventare un consulente, ovvero un partner, ovvero un fornitore non intercambiabile con chiunque, ma qualcuno le cui idee sono percepite come di valore e per questo viene ascoltato.

Anni fa parlai qui del circolo virtuoso della qualità, che è in teoria il mercato “perfetto”. E anche se Yogi Berra ci dice che in teoria la teoria e la pratica sono la stessa cosa, ma in pratica non lo sono, ciononostante è questo il modello cui dovremmo tendere – la consulenza, pagata al prezzo della consulenza. (Tralasciando, perché innecessario in quanto superato dai fatti, il concetto di rispetto.)

Poi ci sono altri temi – tanti altri temi –, cui ora accenno ma che mi riprometto di sviluppare in futuro.

L’empatia, ovvero il mettersi dei panni del cliente: provare a ragionare come lui per capire che cosa vuole esattamente (può esserne consapevole, oppure no) e poi fornirglielo. (È il passaggio da fornitore a partner, in estrema sintesi: tutto torna.)

La personalizzazione, ad esempio nei siti. Il mio sito è vecchio, lo so (non sono proprio il calzolaio con le scarpe rotte, ma di certo un parente); però perché avere un sito dove non compaiono nome e cognome delle persone, foto, vita reale, un sito che è una semplice vetrina standard? Preferiamo comprare da un automa o da qualcuno che ha un’identità?

Lo storytelling aziendale. Raccontare storie (non frottole, sia chiaro) è un’arte da rivalutare. Lo dice bene Gary Vaynerchuk:

Storytelling is by far the most underrated skill in business.

E tu? Qual è la tua storia? Hai una storia significativa da raccontare a chi è interessato a quello che hai da vendere? Appassionante, avvincente, istruttiva? Soprattutto: autentica? Una storia da cui traspaia che tu sei tu e nessun’altro, che la tua unicità è la tua autenticità e che sei veramente tu?

Sei pronto a metterci la faccia? A passare dal ruolo di ennesimo fornitore a quello, specifico e prezioso, di consulente del tuo cliente?

Ott 12

market
Qualche giorno fa ho inserito su Langit, la mailing list dei traduttori che lavorano con l’italiano, una richiesta per traduttori aventi determinate caratteristiche per un progetto che reputo decisamente interessante e che sto organizzando in questo periodo.

Sono entrato in contatto con un certo numero di traduttori. Con alcuni ho avuto un veloce scambio di mail, con altri abbiamo approfondito, con altri ancora abbiamo iniziato a collaborare.

In linea con i pensieri che esprimevo lunedì scorso, inserisco qui alcune considerazioni. Non hanno un ordine particolare, ma sono intese come “imbeccate” per i traduttori interessati a negoziare progetti.

1. Il potenziale cliente non è tuo amico
Se cerco un fornitore per un servizio, non mi interessa diventare suo amico. Voglio dire, io nel tempo ho stretto amicizie fraterne con millanta traduttori; ma questo, appunto, può avvenire nel tempo. Se entriamo in contatto per la prima volta significa che non ci conosciamo; e non è necessario che tu mi diventi simpatico, voglio solo risolvere un mio problema e dunque cerco la soluzione a quel problema. Apprezzerò tantissimo se mi parli nella lingua degli affari, ovvero in termini di soluzioni a problemi.

2. Le bugie hanno le gambe cortissime
Dico un fatto che dovrebbe essere scontato, ma non lo è: tutte le informazioni che si danno al potenziale cliente – per mail, a voce o in qualunque forma – devono essere vere. Non devo scoprire che hai ingigantito a dismisura una caratteristica: perché in questa maniera hai tradito la mia fiducia, e non avrai più maniera di recuperare; e in più mi hai fatto perdere del tempo.

3. Il prezzo ha la sua importanza
È difficile che io guardi al prezzo come primo fattore di scelta (capita, ma non è la norma). Il prezzo, comunque, ha la sua importanza. E tu, fornitore, non te ne vergognerai né lo nasconderai: possiamo – dobbiamo – parlare in maniera aperta di costi, perché sono una parte della transazione. Io quando dico il mio prezzo ho (via, cerco di avere) sempre il sorriso, perché lo dico con orgoglio: “Ti piace questo bel progetto? Sono fiero di cedertelo per la tal cifra” – questo è il mio pensiero. Non sempre concludo la vendita, non sempre le cose vanno lisce ma l’idea che sottende il prezzo deve essere questa.

4. Il CV parla molto forte della qualità dei tuoi servizi
Rimango letteralmente basito – triste, quasi – quando leggo un CV che contiene errori in informazioni basilari. Per un professionista della parola scritta! (Sul CV si veda anche qui.) Perché ormai so – so per esperienza – che un tale documento significa purtroppo che la cura che il traduttore mette nel lavoro che fa non è eccellente. E niente meno dell’eccellenza è sufficiente per avere successo. Lo dice magistralmente Nuto nella Luna:

L’ignorante non si conosce mica dal lavoro che fa ma da come lo fa.

Ott 05

2 Broadway
Qual è il cruccio principale di qualunque professionista?

(Parlo del settore che conosco, l’industria della traduzione, ma il discorso vale per qualunque settore e qualunque mestiere.)

Le vendite.

Non c’è alcun dubbio.

Partiamo da un brano tratto da questo libro, che qui traduco per comodità del lettore. Racconta Lytle di un giorno in cui stava sciando con un amico dentista, cui chiese quale fosse il maggior cruccio nel suo settore.

“Le vendite”, è stata la risposta dell’amico. “Devi convincere le persone a farsi togliere i denti del giudizio. Devi gestire le obiezioni. Persuaderli a sopportare il dolore, le spese e il tempo sacrificato al lavoro. Non ti insegnano l’arte delle vendite all’università. Ma dovrebbero farlo”.

Il problema è che nessuna scuola di traduzione insegna a vendere. In teoria questo sarebbe compito della formazione, ma per fare uno yogiberrismo dirò che in teoria la teoria e la pratica sono la stessa cosa, ma in pratica no.

Occorre amare la vendita. Vendere è avere la possibilità di mettere in mostra la propria abilità nel settore. Non è fatto da poco.

Vendere, soprattutto, vuol dire essere preparati, aver fatto i compiti a casa, tutte le ricerche del caso eccetera; vuol dire trasmettere questa conoscenza. (Sorvolo sul fatto, perché lo considero un assioma, che ciò che si vende deve essere assolutamente eccellente.)

Gli ordini sono poco più che una conseguenza.

Ciò, tra l’altro, è anche un sollievo non da poco per i periodi di magra: quando il fatturato cala, se le altre parti dell’attività sono a posto (se si lavora bene, in una parola) non c’è da preoccuparsi più di tanto. Se l’attività funziona un periodo di calo delle vendite è fisiologico; ma gli ordini torneranno.

Bisogna amare la vendita. Niente chiamate a freddo o cose del genere: la vendita segue il fatto che qualcuno ha alzato la mano e manifestato il suo interesse. Sta a noi fare insieme al cliente i passi necessari per far sì che entrambi ci si alzi dal tavolo avendo ottenuto quel che desideriamo.

La tecnologia ha cambiato tante cose, ma i principi basilari sono sempre i medesimi.

Nei prossimi mesi tornerò a parlare in maniera significativa di marketing e vendite, perché sono una delle chiavi principali del successo di qualunque attività. Per i motivi spiegati qui la mia gavetta è stata un tantino lunga, ma tanto lo sapevo già prima che sono lento; e comunque anche se ho fatto gavetta ciò non significa che non mi sia preparato in maniera completa a essere un cristallo. Anzi, ciò significa che so di che cosa parlo, conosco l’argomento, lo so applicare e così via.

Ho fatto errori, ho dormito a lungo ma sono un bravo venditore. E voglio condividere quello che so. Stay tuned.

Mar 03

Bla_Bla_Bla
Io ho sempre adorato preparare preventivi. A chi mi chiedesse suggerimenti ricorderei due punti fondamentali:

Primo: la qualità non è un argomento di vendita.

Già: si ottengono risultati molto superiori semplicemente non menzionandola. Quello che noi facciamo parla molto più forte di quello che diciamo; e il concetto di qualità è un argomento del tutto soggettivo.

Secondo: la stringatezza nelle comunicazioni scritte ha un valore inestimabile.

Il nostro cliente non ha tempo di sentire tutta la pappardella su quanto siamo bravi eccetera, ma vuole sapere quanto gli costa il progetto, e vuole essere sicuro che il lavoro sarà fatto a regola d’arte. Quando sei un professionista non servono tante parole.

E poi c’è un altro punto che ho scoperto di recente (almeno nella sua formulazione scritta) e che trovo fondamentale:

in un preventivo, ti è permesso di usare una sola volta lo 0. Una sola. Fine.

Lo spunto viene da questo interessante articolo (sito da tenere d’occhio, quello), segnalato qualche settimana fa su ATA Business Practices.

 

L’idea è semplice ma profondissima allo stesso tempo: 1.680 euro appare un prezzo “ragionato” (comunque sia stato ricavato), mentre 1.500 è un arrotondamento (ovvero, nelle parole dell’autore: “Heck, I want a grand for this”).

If you’re tempted to charge $300, charge $320 instead. If your real hourly rate is $100, make it $115. More rational to the client, more coin for you.

Per me funziona. Idee?

Lug 01

sito
Tutti i grandi progetti che sono usciti da Tesi & testi – i miei libri e le grosse traduzioni sono i primi casi che mi sovvengono – sono per me come dei figlioletti. Il sito di Tesi & testi nacque per combinazione nello stesso periodo della mia primogenita.

Ora, guardare la prima versione, oltre tredici anni dopo, mi produce un misto di tenerezza e nostalgia, con una punta di orgoglio.

La seconda versione, del 2001, era sempre brochureware, ma aveva fatto un passo in avanti.

Nel 2004 volevo il sito 3.0 (sono sempre stato stregato dalla magia dei numeri), e venne fuori un bel lavoro. Fu un progetto complesso, che durò mesi e richiese diverse competenze, ma la soddisfazione finale ripagò di tutte le fatiche.

Poi gli anni sono passati, io un po’ mi sono allontanato dall’attività, ho fatto nel corso del tempo degli aggiustamenti e dei ritocchi ma senza rivoluzioni.

Quest’anno mi è stato chiaro che dovevo fare qualcosa. Avere un sito completamente nuovo non mi pareva necessario (il flusso di lavoro è sostanzialmente costante, e non sarà una brochure elettronica che dice quanto siamo bravi a convincere qualcuno), però determinate modifiche erano necessarie: abbiamo creato una pagina Facebook, l’abbiamo rimodernato un pochino (e sto continuando a farlo, è sempre un work in progress).

A me piace; le opinioni altrui, comunque, saranno apprezzate e utili.

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Dic 10


Questo post è dedicato a coloro che hanno in animo di intraprendere la professione di traduttore. È un suggerimento operativo che può avere valenza anche più estesa, nel senso che le considerazioni che farò valgono per tutte le professioni (i fondamenti sono sempre gli stessi).

Mi arrivano, ogni tanto (ma puntualmente), mail da studenti che mi chiedono informazioni di vario genere sul settore: prospettive sul mercato, informazioni sulla tal opera, domande sui CAT e compagnia cantando.

Sono di persone che stanno compiendo degli studi universitari, e che lavoreranno con la parola scritta. Dunque io mi aspetto alcune cose semplici: che il tono sia appropriato, che tutte (ho detto tutte, non quelle più elementari) ricerche siano state fatte e così via.

Ad esempio una mail indirizzata a me ma mandata all’indirizzo info e non al mio non va bene: il mio indirizzo si trova dappertutto sul web, non ci sono attenuanti.

Ad esempio che mi si chiami “signor Davico” non mi piace: o sono Gianni o sono dottore. (E so bene che occorre guardarsi dagli asini specie se dottori, ma lo dico nonostante.)

Lo so, lo so che lamentarsi vuol dire ammettere di essere vecchi, ma se sei in gamba certe domande non le fai, e se sei in gamba si vede subito. Bastano poche, pochissime frasi. (Il contrario è vero, ma non sempre.)

Quindi ragazzi, attenzione: dato che lavorate con le parole scritte, ogni virgola si conta e si pesa, ogni singola virgola può fare la differenza.

Detto questo, quel che so lo condivido volentieri, lo faccio con piacere – lo faccio qui e altrove da tempo immemore, per dire –, ma chiare devono essere le regole del gioco.

Anch’io certe volte ho consegnato lavori non perfetti e me ne pento. Anch’io certe volte non sono al massimo delle possibilità. Io sono bravo sul lavoro, molto bravo (absit iniuria verbis): voglio dare il 100%, sempre. E tu puoi fare lo stesso. Questo, in sintesi, è il mio invito per te, che potresti essere il “me stesso ragazzo”, per dirla con Franco Ferrucci (Lettera a me stesso ragazzo è un libro bellissimo, ed è un peccato che non si trovi più in giro).

Del resto che cos’è, veramente, il talento, ovvero ciò che – in questo specificio caso – ti fa adoperare le parole giuste? Da una parte rimando a Fuoriclasse, il libro di Malcolm Gladwell di cui ho parlato qui; e dall’altro lo si può dire con le parole di Bob Rotella:

In most of life’s endeavors, characteristics like persistence and self-discipline are much more important that the kind of talent measured by standardized tests.

Che aggiunge:

That’s why success in life correlates so weakly with success in high school.

Per riassumere: il talento è impegnarti al massimo, non è avere talento naturale. E quindi: le coordinate le hai. Ora tocca a te.

Dic 03


Quando persone che hanno investito del denaro e del tempo per venire ad ascoltare le cose che hai da dire vanno via soddisfatte dopo una giornata di seminario, posso ragionevolmente affermare che l’obiettivo è stato raggiunto.

Certo, sabato è stato facile: da un lato Beppe Bonavia ha parlato per un paio d’ore di problematiche fiscali, di IRPEF e di INPS, di ricevute e di conteggi (non l’avevo mai sentito prima, ma ha indubbiamente il gran pregio di rendere interessante una materia che di per sé non avrebbe molto per catturare l’attenzione di un uditorio); dall’altro Sabrina Tursi è intervenuta spesso a offrire una prospettiva differente, competente e più ampia sugli argomenti di cui abbiamo parlato.

Insomma del valore s’è dato (e questa è la mia preoccupazione prima, e sostanzialmente l’unica). Certo, il tutto nell’ottica di un ambito lavorativo difficile, di un mondo della traduzione che cambia in fretta e così via. Ma il quadro generale è chiaro a tutti: il punto è offrire delle informazioni pratiche, dei suggerimenti, dei “trucchi del mestiere” che aiutino a costruire una carriera.

Il mio personale rammarico – ma ha a che fare più con i miei capelli che ingrigiscono rapidamente che con il marketing delle traduzioni – è che non riesco ad abituarmi al fatto che troppe volte mi si dia del lei, addirittura chiamandomi “professore”. Ma tant’è; io mi sento un ragazzo, e questo mi basta. Abbiamo fatto un bel lavoro, andiamo avanti.

Nov 12

DC
Sto preparando l’ormai prossimo seminario sul marketing per i traduttori che si stanno avviando a questa carriera, e questo per me significa prima di tutto studio e ripasso, per offrire a chi ci sarà contenuti freschi, aggiornati, di peso.

E lo studio, va da sé, si basa innanzitutto su articoli pescati in rete. Ecco qui a seguire un florilegio commentato di articoli in tema di marketing per i freelance: chi sarà presente può prepararsi anche partendo da qui, e chi non ci sarà potrà comunque trovare degli spunti interessanti per il mestiere.

Sono semplici suggerimenti sul come entrare nel mercato (da una porticina laterale, perché quella principale è quasi sempre chiusa).

Full disclosure: nelle mie ricerche ho un pusher di fiducia, cui va il mio grazie – sto parlando, ovviamente, di Sabrina Tursi, le cui imbeccate sono state preziose per arrivare a materiali come questi.

Questo articolo è, come tutti gli articoli utili in tema, prima di tutto buon senso applicato. Studia gli aspetti psicologici coinvolti nell’acquisto di beni e servizi, e spiega perché occorre rendere semplici le cose ai clienti, attuali e potenziali. Concetti molto simili si ritrovano qui, e fanno ricordare che

i mercati sono conversazioni,

come da tanti anni sappiamo grazie al Cluetrain Manifesto.

Qui uno stimolante podcast sul mercato del lavoro di oggi: lungo e a tratti comprensibilmente dispersivo, ma ne vale la pena.

E qui alcuni spunti significativi sul networking (ma tutto il blog è almeno da scorrere).

Altro punto: se è pacifico da anni che tecnologia e traduzione sono due aspetti della stessa faccenda, questo post mette in chiaro il fatto che anche il marketing fa ormai parte di diritto del gioco, quasi a formare un sodalizio uno e trino.

Infine: se non è stato previsto un budget, una sana risata – piena, rotonda e liberatoria – è la miglior cura, per fortuna. Il mondo è un posto bellissimo.

Ott 22

Fino a che qualcuno non muove un passo, nulla nel mondo cambia.

Se io lavoro per conto mio non devo solo essere bravo (no, bravissimo) a tradurre, ma anche bravo (no, più che bravissimo) a promuovere i miei servizi, a vendere, a far di conto, a fare le fatture, a usare i social e così via.

Di questo, in poche parole, parleremo a Pisa il 1 dicembre. Non dimenticando che il traduttore non è un dipendente, quindi deve assumersi i suoi rischi (come ciascuno nel mondo del lavoro di oggi e di domani). Alla fine trovare il proprio posto nel mondo non è complicato, ma ha le sue regole. Regole che vanno seguite e applicate.

Già, perché aveva ragione Gramsci, quando nelle Lettere dal carcere parlava del concetto di difficile (o, ciò che è lo stesso, di facile): difficile rispetto a che cosa? È l’impegno che fa la differenza. Sono le regole del gioco.

La prima edizione milanese di questo workshop è stata un successo. Questo a testimonianza del fatto che il problema è sentito, che c’è necessità di sapere che cosa fare.

Ma un punto dev’essere chiaro. Anzi due.

Primo punto: io non dirò che cosa fare, daremo “semplicemente” degli strumenti su cui lavorare. Nessuno potrà mai insegnare nulla a chicchessia (si può solo, al limite, imparare), ma questo workshop – pratico e diretto – intende essere uno sprone per coloro che decideranno di investire del tempo e del denaro nel loro progetto di carriera. (Io non sono l’esperto: sono l’esploratore e la guida.)

Secondo punto: do per scontato che chi deciderà di partecipare si considera professionista, ritiene di offrire un servizio non meno che eccellente. (Sarà dunque la relazione, il tocco personale, quel qualcosa in più che solo il professionista può offrire, a fare la differenza.)

Cambiare si può, imparare si può, migliorare si può – a patto che la decisione provenga da noi, dal nostro interno.

Qui tutti i dettagli.

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