Dic 05

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Ogni tanto mi torna in mente uno dei più bei messaggi che io abbia mai letto su Langit, luogo virtuale dove tra poco “festeggerò” i miei vent’anni di frequentazione. È un messaggio dell’anno 2000 o giù di lì, l’autore è Roberto Arcangeli, traduttore che conobbi in una magnifica cena a casa sua il giorno del Ringraziamento del 2004 – l’occasione generale essendo questa conferenza.

(Mi fa sorridere l’essere così nostalgico quando parlo di industria della traduzione, ma d’altra parte il tempo passa e vedo che nulla cambia. Né nulla cambierà in futuro. “Tu credi che lunedì mattina…“)

Il titolo della mail era (cito a memoria) Quante cocuzze ce so’ nel cocuzzaro? (l’ho cercata in vecchi computer, in archivi, avevo chiesto anche a Roberto ma ormai temo che quel messaggio si sia perso per sempre nella cybersfera), e la sostanza dell’intervento era l’imperituro tema del quanto (non) sia conveniente inseguire a tutti i costi un cliente che si sa già che paga poco e – soprattutto – quanto sia importante essere professionali nel presentarsi al proprio pubblico, potenziale e no. Il vil denaro insomma, che di fatto misura una professione. (Non la definisce, no; ma la misura.)

Mi è tornata in mente, questa mail – come detto, mi torna in mente ogni tanto, come una sorta di piccola Moby Dick dell’industria della traduzione –, per un paio di messaggi letti venerdì su Langit. Non importa il contenuto specifico; ma importa molto l’atteggiamento che troppi sedicenti professionisti hanno nei confronti del proprio mercato. E il discorso, non sorprenderà, è molto generale e vale in tutti i settori.

In sintesi estrema: le parole sono pietre, e in trenta secondi si vede se sei un professionista nel tuo lavoro oppure no. L’atteggiamento e l’attitudine verso l’esterno sono fondamentali in tutti i settori, ma troppo spesso l’immagine che un traduttore dà del proprio lavoro è l’esatto contrario di quel che dovrebbe essere. È per questo che nonostante corsi e ricorsi, prediche inutili e tempo che passa la sostanza non cambia. E dunque non stupirà se il traduttore non gode di somma stima nel mercato.

Set 12

multilingual
L’ultimo numero di MultiLingual contiene un mio articolo dedicato alle vendite per i traduttori. Il PDF è qui. (Nel 2009 la medesima rivista aveva già ospitato un paio di miei interventi – qui e qui.)

Sarò grato a chi vorrà leggere e dire la sua, ma in sostanza riprendo un mio vecchio pallino. Questo mio diario pubblico è pieno di suggerimenti e considerazioni relativi al marketing e alle vendite, che sono uno dei perni di chiunque lavori per conto proprio.

Il punto fondamentale, a mio modo di vedere, è che troppo spesso al traduttore manca “la terza gamba”: se dal punto di vista linguistico le cose sono in genere a posto, e se dal punto di vista informatico sono abbastanza a posto, lo stesso non si può dire in troppi casi per il marketing e le vendite.

E in ogni caso la vendita è piacevole! Vendere significa avere la possibilità di dimostrare le proprie abilità. Non basta avere un servizio eccellente (scontato), bisogna saperlo comunicare al proprio pubblico potenziale. Se ti piace il tuo lavoro la vendita è divertente: a me sembra un corollario logico.

Qui abbiamo parlato tanto di questi argomenti, perché da qui non si scappa. Ovvero vediamo le cose sotto diversi punti di vista, ma alla fine comunicare la propria professionalità è esattamente importante come essere dei professionisti. Questo dico. (E magari, dai e dai, stai a vedere che dall’urto nasce davvero una più energica morale.)

Ago 22

Vorrei solo che dall’urto
nascesse una più energica morale.
[…] Chi vede il mondo come un ospedale
non potrà che viverlo da ammalato
(l’ha detto Goethe) e il suo malanno
allora l’avrà voluto.
Nelo Risi

Interrompo le mie elucubrazioni sulla Corsica per esprimere un concetto che ritengo importante in merito all’industria della traduzione.

L’osservazione nasce da contatti avuti con colleghi e traduttori nei giorni scorsi, ma affonda le radici nel passato. (Niente di veramente nuovo quindi.)

(Mi rendo conto che queste parole possono apparire vuote, pronunciate da qualcuno che parla soprattutto di montagna e di Corsica e di filosofia spicciola eccetera. Mi rendo conto. Cionondimeno, gestire progetti di traduzione è stato da sempre il mio unico mestiere e due o tre cose sul settore, insomma, le so.)

Vedo troppo pressappochismo nel settore, qualcosa che non fa bene all’industria della traduzione nel suo insieme. Manca la precisione che è richiesta a chi lavora con le parole scritte. Troppa improvvisazione, troppo “tanto va bene comunque così”.

Non va bene così!

Lunedì prossimo tornerò parlare di Corsica e di camminate, ma oggi vorrei che sia chiaro che chi si lamenta di poca considerazione deve guardare innanzitutto alla sua professionalità: i miei preventivi sono mandati in tempo? Trasmettono conoscenza e sicurezza? Sto agendo davvero come professionista quale mi picco di essere?

Io in troppi casi vedo che questo non accade. E questo vale sia per traduttori singoli sia per agenzie. Il nostro settore è un settore come un altro: niente di impossibile, ma le regole base di commercio e professione vanno rispettate.

Poi tornerò a parlare di Corsica, ma insomma questo concetto vorrei che fosse chiaro.

Ago 15

A quei tempi non mi capacitavo che cosa fosse questo crescere, credevo fosse solamente fare delle cose difficili – come comprare una coppia di buoi, fare il prezzo dell’uva, manovrare la trebbiatrice. Non sapevo che crescere vuol dire andarsene, invecchiare, vedere morire, ritrovare la Mora com’era adesso.
Cesare Pavese, La luna e i falò

Punta Zilia

Punta Zilia

Giorni del tutto sereni, questi. Sono immerso nella natura della terra che probabilmente amo sopra tutte, la montagna in mezzo al mare che mi ha accolto la prima volta quattordici anni fa e dove ogni volta ritorno sempre come fosse la prima e nello stesso tempo l’ennesima.

Qui cammino corro respiro, passeggio lungamente, ho i pensieri svuotati. Mi sento a casa. A volte penso alle vacanze di tanti anni fa, quando la mia lettura preferita era “Il Sole 24 Ore”, e anche se tante cose non le capivo pensavo che avrei dovuto, per fare quello che volevo fare – costruire una grande azienda con tante persone a lavorarci dentro eccetera eccetera eccetera. Poi gli anni sono passati e il percorso è stato molto diverso da come me lo immaginavo all’inizio, ma assolutamente più appassionante e interessante.

Oggi penso che ora avrei la maturità per ampliare l’azienda, costruire qualcosa che potrebbe assomigliare a quello che avevo in mente tanti anni fa. E lo penso qui perché in questo luogo immerso nella serenità e quindi privo di qualunque pensiero negativo mi viene più semplice cercare di costruire e immaginare il futuro come potrebbe essere e come vorrei che fosse.

Tante cose non le posso più fare e questo mi è chiaro, gli anni sono passati e sono nelle mie seconde nove. Tuttavia, ho lavorato sempre con passione e desiderio, come sempre con passione e desiderio sono venuto e torno in questa terra.

Tradicetu

Tradicetu


Ciò che mi manca rispetto ad allora probabilmente sono le ambizioni, perché adesso non ritengo più necessario fare tutte quelle cose come costruire una grande impresa: a me interessa molto di più osservare, camminare, respirare. Credo sia per questo che in luoghi come questi, così come nella Valle Grana, mi trovo assolutamente a mio agio. E se qualcosa manca, e se quella grande azienda comunque non verrà mai costruita, non lo considero un problema: è andata in questa maniera, ho fatto un milione di errori ma non mi rammarico di nessuna decisione presa, e tutto quello che ho fatto di sbagliato è servito per portarmi fino a qui: di questo sono molto contento. Quello che succederà vedremo, ma comunque vada sono soddisfatto.

Ago 01

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Un paio di anni fa organizzai nel mio rifugio tra i monti (e dove, altrimenti? 😀 ) un raduno di Langit. Fu un incontro quasi intimo, a cui parteciparono poche persone; ma la cosa non mi stupì, soprattutto perché Cuneo è lontana da qualsiasi cosa; e tanto più questo luogo, una borgata di una frazione di un paesino abbarbicato sul crinale tra la valle Maira e la valle Grana, dove o ci vieni apposta o non sai nemmeno dell’esistenza. Ma fu piacevole, e ne conservo un bel ricordo – come credo con me i partecipanti.

In più quest’anno ricorre il ventennale dacché diedi il via all’attività di traduzioni. I miei primi vent’anni nell’industria della traduzione. E quindi ho pensato di unire le due cose, organizzando qui per domenica prossima, 7 agosto, un raduno rivolto in primo luogo a tutti i traduttori, le traduttrici e le loro famiglie con cui ho avuto il piacere di lavorare insieme in questo tempo che mi pare lunghissimo, e poi a tutti i traduttori di Langit indistintamente (e alle loro famiglie, ovviamente).

In vent’anni si fanno tante cose, errori conquiste gioie lacrime fatturati crescenti fatturati calanti eccetera, e quindi soprattutto si crea un senso di comunità: magari piccolo, per carità, ma il fatto che tanti traduttori sono oggi miei amici è comunque un segno che qualcosa si è fatto.

Questa giornata, poi, si inserisce in un momento molto particolare per me, per quanto riguarda il mio rapporto d’amore con questo luogo, perché come ho detto qui è ben possibile che dopo trentanove anni questo sia l’ultimo anno mio e della mia famiglia in questo luogo.

(Tante persone hanno “fatto il tifo” per me in questo periodo riguardo a questo intoppo; e le ringrazio davvero. Il punto però è che al momento non so dire che cosa preferirò fare il prossimo anno. Lo saprò nei prossimi mesi, suppongo.)

Comunque sia, la sfida è lanciata: mi impegno a fare di questa giornata una piccola e piacevole festa. E tra vent’anni si vedrà.

Mag 23

BIll Graeper

BIll Graeper


Torno di nuovo dopo tanto tempo a parlare di industria della traduzione, sia pure in senso lato, o per meglio dire in maniera personale (che poi è l’unica che di fatto conosca); e lo faccio per commemorare una persona che ho ammirato e che ci ha lasciato in questi giorni, Bill Graeper.

Per quanto riguarda il nostro settore, è sufficiente dire che Bill fondò, vent’anni fa, Certified Languages International e fu poi tra i membri fondatori dell’ALC, che è a mio giudizio di gran lunga la migliore associazione dedicata allo sviluppo del nostro settore da un punto di vista manageriale e professionale.

E proprio alle conferenze dell’ALC (Pasadena, Milwaukee, Austin) sono legati i miei ricordi di lui. Gli incontri sono sempre stati cordialissimi, e col tempo si sviluppò una piccola amicizia. Mi chiamava per nome, mi chiedeva dell’Italia, mi raccontava degli aneddoti, soprattutto mi parlava dell’ALC e di quanto tenesse alla sua crescita (me lo ricordo, ad esempio, allo stand dell’ALC alla conferenza ATA del 2007 a San Francisco).

Di lui ricordo soprattutto questo, distintamente: il sorriso. L’ho sempre visto sorridere, e anche se non lo conoscevo bene capisco che questo era un riflesso di un carattere solare, positivo, di qualcuno che è sinceramente felice di aiutare gli altri. E infatti solo a cercare un poco si trova traccia del tantissimo bene che ha fatto – sempre col sorriso – per gli altri.

Il mio cruccio è di non averlo potuto conoscere meglio, ma insomma sono contento di averlo incontrato. La sua lezione di positività, comunque, mi accompagnerà. My dear Bill, I will miss you and your smile.

Apr 11

MUG

Sto riflettendo tanto sul concetto di prezzo e sulla sua applicazione pratica, ultimamente.

“Fare il prezzo” di un bene o di un servizio è arte e scienza allo stesso tempo, richiede tanta pratica, conoscenza del mercato, intuizione, empatia eccetera. Si presta quindi ad errori clamorosi, e non si potrà mai veramente dire di padroneggiare l’argomento.

Quanto a me, ci sono tante, troppe cose che non so e che cerco di imparare. Condividerò qui, man mano, alcuni pensieri e spunti. Inizio oggi da una citazione che mi ha colpito. È tratta da uno splendido libro che parla di tutt’altro, ma fa al caso.

Solheim [il fondatore di Ping] continued to work as a shoemaker for several years. There were two other shoe shops within a block of his. One day, he noticed in the window of one of them a sign advertising new heels for women’s shoes at fifteen cents a pair, a price that was lower than his. He put an identical sign in his own window. His next customer asked, “Why did you cut your price? Aren’t your heels as good as they used to be?” An hour later, another customer asked the same thing. Solheim took down his sign, raised his price to thirty cents, and put a piece of prime leather on his counter. When a customer asked why he charged more than the man down the street, ha said, “The cost of our labor is the same, so the difference must be in the quality of the material”, and he let the customer feel the piece of leather on the counter. Within a year, both of his competitors were out of business, and Solheim had learned a marketing lesson that he would never forget.

Feb 01

rispetto
Nel golf, un handicap basso comanda rispetto. Non lo chiede né lo pretende, lo riceve per il semplice fatto di essere.

Anche nelle professioni, in quella del traduttore come in qualunque altra, il rispetto non può essere chiesto: può soltanto essere ottenuto.

In parole povere, la questione del rispetto è un falso problema: non è sensato pretendere rispetto dai clienti, per il semplice fatto che per i nostri clienti – per il pubblico, per il mondo economico – i servizi che offriamo non sono in cima alla lista delle priorità. Il rispetto lo si ottiene in maniera naturale col tempo, col lavoro, col sudore e con la professionalità.

Il rispetto emana dai servizi che offri (ci vuole un minuto a capire se qualcuno è un professionista oppure no), che a loro volta sono un’espansione della tua identità lavorativa.

Il rispetto è insomma qualcosa di interno, non di esterno a noi. In questo blog ne ho parlato spesso (ad esempio qui), ma in effetti il concetto è sempre il medesimo e non cambia: il rispetto puoi soltanto riceverlo.

Dic 14

foto di Ghitta Carell

foto di Ghitta Carell


Ho consegnato un progetto qualche giorno fa – un progetto normale, lingue normali, sostanzialmente normale in tutto. È in effetti, in sintesi estrema, quel che faccio tutti i giorni da vent’anni circa. Gianni Davico l’editor, un po’ come – si parva licet – “Cesare Pavese […], l’uomo-libro” (lettera a Tullio Pinelli, 18 agosto 1927).

Cioè. Quell’uomo lavorava solo sui libri, sui libri degli altri per dirla à la Calvino, mentre io leggo contratti, specifiche tecniche, materiali di marketing e così via. (A ben vedere c’è della poesia anche nella marketing literature; ma probabilmente questa è un’altra storia, buona per un altro post.)

Però guardavo quel documento così come mi è arrivato, tradotto (bene) e pronto (in teoria) per essere mandato al cliente, e poi guardavo quello stesso documento qualche ora dopo, dopo una mia rilettura, dopo una formattazione che seguisse le attese del cliente, dopo il confronto col traduttore su dubbi che potevano essere nati durante il suo e il mio lavoro.

Non erano la stessa cosa. Indubbiamente parenti, ma non certamente la stessa cosa.

Traduco: ho ricevuto un semilavorato (per quanto finito dal punto di vista del traduttore), ho consegnato un prodotto finito. Insomma ho aggiunto valore.

Perché questo è di fatto il mio mestiere: aggiungere valore ai documenti che tocco; non passare delle carte, non consegnare delle scatole.

Chiedi a un venditore qualunque di un qualunque spendodromo informazioni su un prodotto qualunque che ti interessa: farfuglierà qualcosa, magari leggerà insieme a te le istruzioni, ma di fatto ne sa mooolto meno di te. Di fatto vende delle scatole, non dei prodotti. Ovvero non aggiunge valore.

Permettimi di ridirlo, tanto perché sia chiaro: non aggiunge valore.

E quindi ho ripensato a quello che ho fatto in questi vent’anni. In fondo il motivo per cui non ho mai cambiato mestiere – faccio oggi proprio quello che facevo nel 1996, solo con i capelli più grigi – è che allora come oggi aggiungo valore, ovvero vendo qualcosa di differente rispetto a ciò che compro, qualcosa che per il mio cliente ha più valore rispetto a quell’altra cosa. È poco? È tanto? Non lo so, però capisco che la capacità di gestire progetti (lo dico in senso lato) non si improvvisa. Questo è.

Nov 16

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Mi sono fatto una domanda: perché lavoro più volentieri con determinati traduttori piuttosto che con altri?

Certo, ci sono le simpatie, c’è il caso e ci sono tanti fattori poco ponderabili. Ma ho cercato di darmi comunque delle risposte, che sono ovviamente del tutto personali ma potrebbero anche avere una valenza più generale. Quello che segue dunque è un tentativo di descrizione del traduttore “ideale” (le virgolette sono d’obbligo), e nello stesso tempo uno spunto di discussione.

La prima caratteristica che cerco in un traduttore è la professionalità. Professionalità per me significa ad esempio:
– rispetto dei tempi;
– uso consapevole degli strumenti informatici, e in particolare dei CAT;
– fatturazione facile;
– facilità di lavorarci insieme.

Il costo sarà conseguente a queste caratteristiche, ma non è il punto principale. Io devo far quadrare i conti ma non ho mai cercato il fornitore meno caro (non può essere un assioma – dipende da tanti fattori), cerco piuttosto il fornitore che risolva per me e con me dei problemi, e che parli la mia stessa lingua – che in questo contesto è quella degli affari.

È, in due parole, ciò che qualche anno fa avevo chiamato il circolo vizioso/virtuoso della qualità / della traduzione, ovvero:
– il professionista può vivere degnamente del suo lavoro;
– l’intermediario ottiene un servizio inappuntabile;
– il cliente finale è contento.
E va notato che l’intermediario non è necessariamente l’agenzia, ma può essere benissimo il referente del traduttore presso il cliente diretto, che in tanti casi non è l’utilizzatore finale – il discorso non cambia di una virgola.

Né cambia il punto fondamentale: che col traduttore si parli la medesima lingua e non si perda tempo in due, ma si vada diritti all’obiettivo.
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Per il mondo della traduzione come lo conosco io la mia stima è che meno del 10% (ma vorrei dire il 5%) dei traduttori abbia queste caratteristiche. Ripeto che si tratta ovviamente di un punto di vista del tutto personale e magari non condivisibile.

Però parlare la stessa lingua vuol dire andare dritti al punto, ed è questa caratteristica nello specifico che trovo soprattutto manchi al traduttore mediamente inteso. So che le cose non cambieranno, ma spero sia uno spunto per riflettere.

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