Nov 10

Avevo passato un paio di mesi decisamente frustranti dal punto di vista lavorativo: pochissimi progetti, tempi morti, fatturato di conseguenza in calo pesante. Con la famiglia da mantenere, l’INPS da pagare, qualche attività che voglio seguire. Non è bello, a questa età, avere insicurezze del genere.

Poi, però, è arrivata la provvidenza. La provvidenza nel senso goethiano del termine:

Fino a che uno non si compromette c’è esitazione, possibilità di tornare indietro, e sempre inefficacia. Rispetto ad ogni atto di iniziativa c’è solo una verità elementare, l’ignorarla uccide innumerevoli idee e splendidi piani. Nel momento in cui uno si compromette definitivamente anche la provvidenza si muove. Ogni sorta di cose accade per aiutare cose che altrimenti non sarebbero mai accadute. Una corrente di eventi ha inizio dalla decisione, facendo sorgere a nostro favore ogni tipo di incidenti imprevedibili, incontri e assistenza materiale, che nessuno avrebbe sognato potessero venire in questo modo. Tutto quello che puoi fare, o sognare di poter fare, incomincialo. Il coraggio ha in sé genio, potere e magia. Incomincia adesso.

Nota laterale: per quanto il concetto sia certamente goethiano, queste parole sono in realtà attribuite erroneamente a Goethe. Derivano da una traduzione in inglese molto libera dei versi 214-230 del Faust, ad opera di John Aster (Londra, Cassell, 1835, p. 20).

Seconda nota laterale: mi chiedo – ma morirò senza risposta – perché non sono capace a prendere strade dritte ma per arrivare a qualsiasi punto devo sempre prendere la strada più impervia, più lunga, più tortuosa. Bonassé, diremmo in piemontese di me.

È successo questo: letto di una collega che rifletteva a voce alta su FB delle straripanti assurdità del mercato delle traduzioni, per cui oggi è possibile comprare un servizio a prezzi impensabili anni fa (e non necessariamente quel servizio è pessimo); ponderate le sue parole pacate, che descrivevano senza giudicarla una realtà di fronte ai suoi occhi, ma con l’intento di condividere un’opinione per avere un confronto; atteso che la mia stima per quella collega, che pure non avevo mai visto, era decisamente alta; tutto questo considerato l’ho chiamata e le ho proposto di incontrarci per mettere insieme le nostre idee, le preoccupazioni e le opportunità relative al nostro mestiere per vedere se potevamo arrivare a qualche conclusione che ci permettesse di uscire dall’impasse.

Per preparare l’incontro, per ricavarne il massimo, ho riflettuto a lungo sulla mia attività, sui vent’anni di mestiere, sulle mie debolezze e sui miei punti di forza. Ne ho ricavato un documento di una pagina che era di fatto un piano d’azione. Quello che voglio fare per dimostrare che sono bravo, fuori dai denti potrei averlo chiamato.

Ebbene, la cosa bella – la provvidenza nel senso goethiano del termine – non si è manifestata in ricette magiche provenienti dalla collega (io ho praticato soprattutto l’ascolto attivo con lei), ma nel fatto che l’essermi costretto a riflettere sull’attività mi ha dato visione e respiro. Aria.

Il risultato è stato che esattamente da quel giorno il flusso di lavoro è come per magia (ma la magia non c’entra nulla) aumentato, e da allora – quasi un mese fa – faccio fatica a stare dietro a tutti i progetti. Ma poiché mi sento come rigenerato da quel processo creativo che ha avuto il culmine in quell’incontro il lavoro non mi pesa: lo faccio lietamente perché è bello e giusto farlo.

La provvidenza ha questo potere quasi magico, insomma. La magia del pensare e del fare, del compromettersi, dell’andare oltre. E questa è anche la lezione che ne ho ricavata. Con un grazie sincero alla mia collega.

Ago 11

Equitalia
Sono stato la settimana scorsa presso gli uffici Equitalia di Torino per un rimborso. Troppe cose non vanno, a seguire le mie impressioni.

I fatti: mi sono presentato per ricevere due rimborsi (EUR 28 per me ed EUR 18 per papà), dovuti alla tassa dei rifiuti. Prima considerazione: abbiamo pagato quel che ci era stato detto di pagare, perché se il comune incassa tramite banca non può pagare con lo stesso mezzo? Ma, prima ancora: perché non fa i calcoli giusti da subito, anziché correggere dopo? Oppure, visto che sbagliare è lecito: perché non trattiene quel denaro come acconto per il pagamento di quest’anno?

Ho fatto un’ora e rotti di coda e mezz’ora e passa allo sportello per ricevere questo denaro, più altri EUR 40 circa per non so che cosa. La signorina è stata molto gentile (non ha lesinato complimenti per la mia pazientissima figlia piccola), ma lei stessa non poteva non rendersi conto della kafkianità della cosa: mi diceva “e dire che siamo nell’era dei computer”, ed era costretta a compilare a mano ricevute infinite, si alzava ogni tanto e andava non so dove a fare non so cosa.

Tutto questo quanto costa al mio comune, a Equitalia, a me? Come minimo uno sproposito.

No, decisamente non è questa la strada. Abbiamo le risorse per fare le cose ma di fatto costringiamo dei poveretti a sostenere delle code infinite per ricevere denaro chiesto per errore, passiamo sopra ai problemi di chiunque trincerandoci dietro parole grosse come “Stato”, “INPS” e così via.

Non penso in vita di vedere questi problemi risolti. Qualche settimana fa parlavo di un fatto simile riguardante le grandi compagnie telefoniche: cambia il contesto, ma i principi rimangono quelli, immutabili e granitici. Le grandi organizzazioni – pubbliche o private – sono macchine da guerra, muri di gomma senza testa e senza cuore, più forti della buona volontà dei singoli. È comprensibile quindi che uno cerchi delle soluzioni personali (come l’andare per mare di Simone Perotti): non perché non tenga alla cosa pubblica, al bene comune, ma perché ha visto, ha capito che il suo fare non cambierà le cose, che non vivrà comunque in un “Paese più giusto”, per citare il sintagma che campeggia sulla home page di Equitalia.

La cura del bene pubblico è necessaria, ma da parte del singolo va fatta senza pubblicità: si fa e basta, perché è giusto così. Però nella consapevolezza del fatto che a parti rovesciate non ci sarà affatto un mondo più giusto: le cose stanno così, e prima ce ne facciamo una ragione prima possiamo passare oltre, a ciò che veramente è importante nella nostra vita.

Nov 25

[originariamente pubblicato su La vita 2.0 il 17 novembre 2011]

Avrebbe scritto Goethe:

Fino a che uno non si compromette c’è esitazione, possibilità di tornare indietro, e sempre inefficacia. Rispetto ad ogni atto di iniziativa c’è solo una verità elementare, l’ignorarla uccide innumerevoli idee e splendidi piani. Nel momento in cui uno si compromette definitivamente anche la provvidenza si muove. Ogni sorta di cose accade per aiutare cose che altrimenti non sarebbero mai accadute. Una corrente di eventi ha inizio dalla decisione, facendo sorgere a nostro favore ogni tipo di incidenti imprevedibili, incontri e assistenza materiale, che nessuno avrebbe sognato potessero venire in questo modo. Tutto quello che puoi fare, o sognare di poter fare, incomincialo. Il coraggio ha in sé genio, potere e magia. Incomincia adesso.

Ho usato il condizionale perché, per quanto il concetto sia certamente goethiano, queste parole sono in realtà attribuite erroneamente a Goethe. Derivano da una traduzione in inglese molto libera dei versi 214-230 del Faust, ad opera di John Aster (Londra, Cassell, 1835, p. 20).

Ma al di là della filologia il concetto è questo: è importante seminare per il futuro. Guardare oltre gli ostacoli come se gli ostacoli non esistessero. Lasciare gli ormeggi e semplicemente fare (con un progetto, s’intende; non fare a casaccio – ma forse a volte anche fare a casaccio).
che-fare
Lo vedo succedere a me stesso: ci sono tante magagne nella mia vita, cose che non vanno, paure che non riesco a superare ma mi sto muovendo. (Fondamentalmente questo accade grazie a tanti amici incontrati lungo la via.) Ho deciso di fare comunque dei passi e di conseguenza il lavoro diventa più interessante, ci sono progetti nuovi, sfide. Il futuro mi piace, ma adoro il presente. Sto bene. Forse a dire che sono felice offenderei Rita Levi Montalcini, per la quale la felicità è una cosa da bambini, ma insomma sono soddisfatto e questo presente – l’unico presente che ho, peraltro – mi piace.

Mi sovviene l’Innominato dopo la conversione cui viene sonno e che dorme in pace. Io ho fatto il mio dovere e nonostante gli errori eccetera mi sento in pace. Non potersi rimproverare nulla è importante.

Allora il messaggio diventa questo: fai quel che devi, getta il cuore al di là dell’ostacolo e goditi la pace e il benessere che ne deriveranno.

Hai già pensato. Il prossimo passo è fare.

Set 23

Noi abbiamo un problema.

Ce l’abbiamo come società tutta, ma oggi lo esaminiamo dal punto di vista di un giovane che sta per entrare, sta entrando o è appena entrato sul mercato del lavoro. Un traduttore, per esempio.

Partiamo da questo post di Giovanna Cosenza, che pubblica lo sfogo di una lavoratrice dell’intelletto che è impiegata per due lire.

Sara Crimi, che con l’editoria ci lavora, sulla sua pagina Facebook sintetizza tutto quanto in maniera efficace:

Basta con i piagnistei, sul serio.
Tirare fuori gli attributi e smettere di menarsela col lavoro intellettuale.

Allora che cosa facciamo?

Prima considerazione: questa turbolenza che stiamo attraversando contiene già in sé, per forza e di necessità, la sua soluzione, solo che noi non la vediamo ora. Il fatto che non la vediamo non significa però che non esista. (Nassim Taleb docet; e non solo col suo Cigno nero, ma anche col suo Antifragile che sto leggendo da un mese – lettura difficile, lentissima, da digerire, affascinante, piena di significati.)

Nessuno ha (per ora) grandi risposte, dunque; ma questo non ci deve scoraggiare. Se io non avessi una vita “avviata” e fossi un giovane oggi, probabilmente andrei all’ estero – in Cile, è pressoché sicuro –; ma questa è solo una risposta parziale.

Possiamo ripartire dai fondamentali, questo sì. Ho letto per esempio questo post di Marco Cevoli in cui si raccontano fatti prosaici; ma, per fare uno yogiberrismo, in teoria la teoria e la pratica sono la stessa cosa, ma in pratica no.

E poi le risposte non possono arrivare tutte insieme e tutte subito. (Anch’io passata la ventina mi sentivo assolutamente perso, sapevo di essere intelligente e di avere doti ma non sapevo proprio che cosa fare dei miei talenti. Poi però la vita scorre, la vita è lunga, le cose cambiano, le cose succedono, diventi grande comunque e nonostante, a volte anche nonostante te stesso.) Pensiamo ad una soluzione a dieci anni, per esempio. A dieci anni, sì – non dieci minuti o dieci giorni o dieci mesi. Dieci mesi non bastano.

Nessuno ha le risposte, ma le risposte arrivano. A volte anche da sole. Dice Fabian Kruse:

Isn’t it weird that most people, when they want to get smarter, slimmer or stronger, want immediate results? It seems like all they’re willing to put in is a bunch of money, but as little time as possible.

E:

Are you fucking kidding me?

E ancora:

We can’t all be Jack Kerouacs and write a bestselling novel in a few nights of typing frenzy. And even if we were, we’d still need years and years of preparation to get to that point!

Look at it from the other end: If you give yourself enough time, you can do pretty much anything.

E questo risponde anche a Sara e chiude il cerchio, perché come dicono spesso le mie figlie quando chiedo loro qualcosa:

E un attimo!

Mag 06

pecoranera
Avevo preso in biblioteca il suo libro – un approccio soft, come dire –, poi ho iniziato a leggerlo mi è piaciuto talmente tanto che mi sono vergognato: sono andato in libreria con un’amica, l’ho comprato e gliel’ho regalato seduta stante. (Da autore sono sicuro nell’affermare che i libri vanno comprati. Fine.)

Perché niente, io prima di morire voglio andare a conoscere Devis Bonanni, alias pecoranera. E voglio farlo perché scrive bene, perché è tosto, perché sa che cosa sta facendo e perché, perché ha dei dubbi ma anche dei punti saldi (quella capanna che liberò dai rovi, tanto per dire).

Voglio parlare con lui, spiegarmi, capire. Voglio sentirlo parlare, vederlo lavorare. Perché quella è una strada percorribile; ed è vero che io sono fortunato, lassù in montagna ho praticamente tutto pronto, ma chiunque può fare una cosa del genere. E “chiunque”, via tutte le balle, vuol dire chiunque.

Per me una recensione – e questa è una recensione, sia pure sui generis – non è tale senza almeno una citazione. Vorrei citare il libro intero, ma dovendo scegliere un passo opterei per questo:

Quando si inizia a essere la propria idea non c’è più necessità di parlarne, di farne propaganda, di urlarla addosso al mondo. Eccomi, sono qua a coltivare i miei pomodori, era questo che aveva sostituito le infinite discussioni sui massimi sistemi. Quel che avrei da dirvi lo sto facendo (p. 176).

La pagina Facebook parla del libro in questa maniera:

Tra le montagne della Carnia, la straordinaria storia di un ventenne e della sua scelta di vita coraggiosa e controcorrente, a mezza strada fra i libri di Mauro Corona e “Adesso Basta” di Simone Perotti.

E questo sì, è vero, ma c’è di più: nel senso che lui è lui e basta, non assomiglia a nessuno se non a se stesso. Non lo voglio mitizzare perché non lo conosco (ancora) ma insomma voglio dirti bravo Denis, sei in gamba.

Poche parole, via tutte le balle, si fanno i fatti: i fatti parlano per noi.

Feb 18

Alla fine delle fini, cambiare non è difficile; solo, richiede metodo e applicazione, richiede costanza e capacità di sopportare le difficoltà inevitabili. Ecco perché la stragrande maggioranza delle persone non cambierà mai: si arrenderà un momento prima del cambiamento.

Alla fine delle fini, il mio 25×44 non è altro che buon senso applicato. Ho molto da dire, e soprattutto da scrivere, sul tema, ma a ben vedere penso anche che il tutto potrebbe riempire un paio di fogli A4, e sarebbe sufficiente.

(Cioè, insomma, come al solito la realtà è sfaccettata, e il medesimo concetto può avere significati differenti e anche opposti a seconda del destinatario: perché da un altro punto di vista servirebbe un La vita 2.1 di 400 pagine.)

Scrive Paula Radcliffe:

La maggior parte di noi ha la tendenza a concentrarsi su come stanno andando le cose al momento, reiterando nella mente sempre gli stessi pensieri, per tutta la vita. Così facendo perpetuiamo all’infinito le stesse situazioni, mantenendo immutata la nostra versione di “realtà”.

(Paula Radcliffe non è una filosofa di professione, anche se in effetti il suo mestiere – maratoneta – può per tanti aspetti essere assimilato a quello di filosofo.)

Questa, ad ogni modo, è la pars distruens. Ma per fortuna c’è anche quella costruens:

Però, noi non siamo prigionieri di questo schema: abbiamo a portata di mano gli strumenti che ci consentono di cambiarlo, e il più efficace di tutti è l’immaginazione.

Dunque il primo passo è immaginare il futuro possibile, desiderato; e poi lavorarci, e poi non arrendersi davanti alle difficoltà e ai fastidi che incontreremo.

Se puoi immaginarlo puoi farlo, ecco.

Dic 24


Be’, in una parola è stato bellissimo.

L’aria era tersa e limpida, venerdì alle 12,21 quando, la mano di mia figlia piccola da una parte, quella di una signora sconosciuta dall’altra, abbiamo formato una catena umana a dimostrare solidarietà con la natura. Tre semplicissimi, lunghissimi minuti.

È stato un evento imperfetto e bellissimo, sono felice di poter dire “io c ‘ero”. Nel blog del sito ci sono alcuni resoconti, qui tantissime foto. Nel tratto che avevo scelto – corso Francia, tra corso Racconigi e piazza Rivoli – eravamo in pochi ma questo non è stato importante. Importante è stato esserci.

I coordinatori sono stati gentili e quasi sopraffatti da quello che stava per capitare. Tra i passanti, c’è stato chi si è fermato e si è unito alla catena. L’atmosfera era magica.

Insomma, bello.

Taggato:
Dic 17


Questa è la settimana.

Il giorno è venerdì 21 dicembre, alle 12.21: per tre piccolissimi minuti un sentiero di mani si creerà – dico meglio: creeremo, non è qualcosa che viene dal cielo – per 54 chilometri, da Torino a Susa.

Tutti i dettagli sono qui.

Io credo che per un progetto del genere non servano tante descrizioni, ma piuttosto una citazione:

Aut insanit homo, aut versus facit.

Insomma, come dice Orazio, la poesia salva la vita. O, come scriveva Pavese nel suo diario il 22 febbraio 1940,

Verrà un tempo che la nostra fede comune nella poesia farà invidia.

Il sentiero di venerdì è una poesia, una sinfonia, una preghiera e un’opera d’arte al tempo stesso. Io ci sarò – e vi aspetto.

Taggato:
Set 10


Oggi è il giorno. Adesso è l’ora.

Daniel Tarozzi, direttore de “il Cambiamento”, parte per un viaggio di cinque mesi con l’obiettivo di incontrare quelli che lui chiama “gli agenti del cambiamento”, ovvero coloro che hanno deciso che le condizioni di vita cui sono costretti non vanno bene. E quindi cambiano.

O meglio, hanno già cambiato. Sovviene Montale:

Qualche volta s’incontra l’ectoplasma
d’uno scampato e non sembra particolarmente felice.
Ignora di essere fuori, nessuno glie n’ha parlato.
Gli altri, nel sacco, si credono più liberi di lui.

“Cambiamento”, che bella parola… Il cambiamento che può partire solo da dentro di noi, tutto il resto sono sciocchezze. Aria fritta.

Conobbi Daniel alla stazione di Grosseto, un giorno in cui in agenda c’era la creazione dell’ufficio di scollocamento. E ora lui è in viaggio. (L’intero percorso può essere seguito qui.) Abbiamo già un appuntamento, che non poteva che essere nel mio angolo di paradiso sui monti.

Bene, non vedo l’ora di scambiare qualche parola con te, Daniel. Che io sia un agente del cambiamento è da dimostrare, ma insomma noi ti aspettiamo a braccia aperte.

Taggato:
Ago 20

Ho conosciuto Emanuela tanti anni fa, per poco e per caso. Era all’epoca una studentessa universitaria (brava), era chiaro che avrebbe fatto carriera.

Poi gli anni sono passati, la carriera (la prima parte, almeno) l’ha fatta. E, di nuovo casualmente, la ritrovo nel suo blog, aperto per parlare di un malessere e di una speranza:

Tra pochi giorni partirò per il Senegal.

Lascio un’avviata (dodici anni di esperienza) carriera nel mondo della pubblicità. […] Un contratto a tempo indeterminato, di quelli che non si vedono più, di quelli che molti miei coetanei non hanno mai visto, un ruolo chiaro, riconosciuto, un posto di lavoro sicuro. Sicuro.

Ma.

Tra i miei ma ci sono un blackberry troppo invadente, praticamente l’unico vero compagno della mia vita, e l’ansia.

L’ansia del vedermi a 34 anni con la strada segnata, dritta, lineare, scritta.

Per troppi mesi ho sentito un ticchettio. Tic tac. Non quello in cui spererebbe mia madre. Quello di un altro orologio, quello che continua a fare solo tic tac. Tic tac. Tic tac.

E quindi eccomi qui.

Allora. Chi cambia la sua vita è mio amico a prescindere, perché ha coraggio, perché non si accontenta, perché vuole sperimentare, perché ha un tormento. Perché.

Allora le ho fatto due domande semplici semplici, sul prima e sul dopo (di quelle che se le facessero a me ci metterei sei mesi a trovare una risposta), e ho avuto due risposte interessanti. Il resto del suo viaggio è sul suo blog, che vale assolutamente la pena di leggere.

Le ho chiesto che cosa abbia in animo di fare una volta tornata.

Prevedo di lavorare come freelance nel settore pubblicitario: accounting, project management, organizzazione eventi (tutte cose che già facevo), a cui vorrei affiancare un’attività nell’ambito dell’organizzazione di viaggi.

Mio commento: prendere in mano la propria vita richiede per forza che si lavori per proprio conto. Per quanto un datore di lavoro sia illuminato e generoso, non ci sono soldi al mondo che paghino compleanni dei figli mancati, mancate partite di coppa (o qualunque altra cosa rientri tra le nostre proprie priorità nella vita) eccetera. (Davvero vorresti arrivare in punto di morte e lamentarti per non aver passato abbastanza tempo in ufficio?)

Le ho chiesto poi di descrivermi le sue sensazioni nei momenti in cui ha preso la decisione di partire (questo perché è questo il punto interessante, il punto focale: che cosa ti spinge a cambiare – nessun dubbio che una persona in gamba trovi poi la strada e la maniera per una vita a misura sua, anche dal punto di vista economico).

Faccio un passo indietro. La decisione più difficile da prendere è stata lasciare. O meglio trovare il coraggio di lasciare. La stabilità, un posto di lavoro a tempo indeterminato, una carriera, la strada segnata insomma, per l’incerto. È stato un processo che mi è costato un paio di mesi tormentati.

Complice di questa decisione è stato il viaggio che avevo già fatto in Senegal a gennaio. Quel viaggio, di stacco netto da tante cose, mi ha permesso di vedere chiaramente il tutto, e di rimettere in fila le priorità che volevo dare alla mia vita. Insomma quel viaggio mi ha aiutato a ritrovarmi e a riprendere in mano delle cose che avevo perso di vista, o forse solo sepolto sotto mille altre.

Quindi una volta trovato il coraggio di lasciare, la scelta di ripartire è stata automatica. Ritornare nei posti in cui un processo aveva avuto una svolta, rifare un viaggio con spirito e animo diverso, con ruolo diverso e molto più lungo è stato quasi una necessità. Un ritorno prima della vera ripartenza su una nuova strada.

E aggiungo che adesso che sono quasi a fine viaggio posso dire che queste settimane mi sono servite per riassestarmi dopo un semestre di svolta, per riprendermi i miei tempi e dare alla mia testa il tempo e la tranquillità per girare senza sosta e pensare, liberamente. È un lusso, che avevo perso di vista. tra blackberry e doveri.

Essere lontani da tutto, per quanto difficile in certi momenti, aiuta a riprendere consapevolezza di se stessi e di ciò che si vuole davvero. In questi anni ho fatto molto e non rinnego nulla, anzi. Semplicemente mi stavo perdendo e se fossi andata avanti su quella strada mi sarei imprigionata definitivamente in una costruzione che non era ciò che ero davvero.

Un futuro brillante ti aspetta, Emanuela. Ma anche il presente non è male.

preload preload preload