Dic 20

A Luigi Muzii il mio libro non è piaciuto. Me lo aveva già scritto in maniera civile anni fa; e del resto è un’opinione che, dal suo punto di vista, comprendo benissimo. Luigi è assolutamente rigoroso, preparato e competente – o, per dirla con le sue parole, “scettico […], difficile, critico e perennemente insoddisfatto”, per cui posso capire che il libro gli sia sembrato a tratti – o anche nella sua interezza – non all’altezza delle aspettative.

Tuttavia non sono d’accordo quando dice:

Il libro di Davico non contiene alcuna descrizione della realtà e delle prospettive del mercato italiano, se non nel senso di una loro visione molto personale; inutile cercare facts & figures.

Credo sia ingeneroso e forse anche un poco ingiusto.

La mia idea di allora era: descrivo la mia esperienza e la metto al servizio di chi vuole sapere qualcosa di più di questo settore, ben conscio del fatto che si trattava di una visione parziale e imperfetta. (Vado a memoria, ma non mi pare che qualcuno prima di me abbia parlato di “industria della traduzione” in Italia; mentre il sintagma è stato ripreso in innumerevoli occasioni dopo l’uscita del libro.)

E del resto, come sa chiunque si accinga ad un’impresa del genere, reperire informazioni pratiche è un compito molto arduo, perché in questo come in altri mercati frammentati ciascuno è chiuso nel proprio orticello.

Un tentativo imperfetto è molto meglio del silenzio: questo lo pensavo allora e lo penso ancora oggi.

Il libro del 2011 sarà molto meno “educato” e più tranchant. Meno torinese e più terra e colline.

Sperando di non deludere Luigi.

Quanto al dibattito, avrei voluto e vorrei ancora oggi che fosse più profondo, preciso e vero. Onesto, leale e continuo. Chiaro, rotondo, senza giri di parole. Ma qui non posso che citare Pavese:

La mia parte pubblica l’ho fatta – ciò che potevo. Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti.


Lascia un commento

preload preload preload