Il numero di settembre dell’ATA Chronicle contiene un articolo di Terena Bell sul tema, duro a morire, del rispetto – 2010 e seguitiamo a parlare delle stesse cose. Aaargh! – cui, dice l’autrice, quest’anno ha dato la stura il mio articolo.
L’intervento si legge, con lievi modifiche, qui. Suppongo che il post sia il Bell-pensiero originale, ma né il post né l’articolo citano il fatto che uno riprenda l’altro: e il copyright?
In ogni caso ritengo condivisibili le premesse, ma le conclusioni mi paiono e nazional-popolari e fuori luogo, oltre che terribilmente ovvie. Dice infatti Bell:
To summarize, as an industry, we feel underappreciated, misunderstood and used.
Davvero? Il rapporto che ho con i miei clienti non ha la minima traccia di questi sentimenti. Offro un servizio professionale, risolvo dei problemi, facilito la vita e per questo vengo pagato. E se così non fosse sarei da lungo tempo andato a fare altro; perché concordo con Gary Vaynerchuk quando dice: “There’s way too many people […] that are doing stuff they hate. Please stop doing that!”
Ma il passo successivo mi ha lasciato di stucco:
My solution to this problem will most likely not be polular, and I am willing to bet you have never heard it spoken at a conference or circulated on Twitter. The lack of respect shown to our industry by those outside of our industry is our fault. No one can fix but us.
Wow! Assolutamente originale!
E infine:
We need greater standards, including a wider-spread national certification program.
Ancora con le certificazioni! Come se il mondo non stesse cambiando alla velocità della luce. Le certificazioni mi ricordano il tentativo italiano di creare un albo di traduttori – come minimo antistorico, ma di fatto perfettamente inutile.
E:
We must unite,
conclusione alla volemose bene che chiosa l’intero intervento.
[…] “rispetto” avevo detto la mia tanti anni fa qui e qui. E in quella parola, organizzarsi, sta a mio avviso la chiave di quasi tutto, in questo […]