Sono entrato nel settore delle traduzioni assolutamente per caso, circa 15 anni fa, e senza alcuna esperienza. Se una piccola dote posso ascrivermi in questo lavoro, è quella di imparare dagli errori; e avevo capito presto che osservare quello che succede sul mercato è fondamentale per prosperare. (E il mercato, per me, è un concetto molto semplice: banchi di frutta osservati dal basso – uno dei miei primi ricordi a colori –, il profumo della frutta intorno a me e le voci di chi comprava e di chi vendeva.) Di conseguenza, un mio piccolo merito può essere quello di aver sempre messo l’accento, parlando con i traduttori (su Langit, alle conferenze, in scambi privati eccetera), sull’importanza del marketing.
Ora però sono giunto alla conclusione che – in definitiva – tutto questo parlare non è molto di più che un parlarsi addosso: elegante forse, ma inutile di fatto. Lo capisco per esempio da mail che ogni tanto mi arrivano. L’ultima qualche giorno fa, dove l’oggetto è “candidatura traduzioni inglese spagnolo 0,02 cent”, proveniente da una persona con due lauree.
Due cent per due lauree, un centesimo a laurea. Ai miei occhi non è poi molto diverso dal chiedere la carità: dignitoso, ma fuorviante. E discutere, ahimè, non serve, perché non parliamo il medesimo idioma. Direbbe Antonio Piscopo, indimenticabile personaggio di Eduardo (Sabato, domenica e lunedì):
Mannaggia la testa del ciuccio! e lo fate apposta. Io non è che per orgoglio non confesso una debolezza mia, che me ne importa a me? All’età mia mi metto a fare l’educato? Ma è che mi sono scocciato di dirlo.
Insomma il mondo non cambia, né potrebbe: perché l’animo umano è quello e non muta. Io ho scelto di ridurre i clienti e concentrarmi solo su quelli redditizi – non sul cliente multinazionale, che vuole lo sconto del 20% perché dice che i miei colleghi, la crisi eccetera bla bla bla, ma su coloro cui il lavoro serve e ti ringraziano per quello che fai, come succede quando l’idraulico viene a liberarti la casa allagata. Però quando lo racconto chi mi crede? Al più sono il ragazzo fortunato eccetera. Provo a dirlo allora prendendo a prestito le parole di Simone Perotti:
E’ solo che da quasi nove mesi non faccio che spiegare cose che, a volte, mi pare vengano fraintese un po’ a soggetto. IO accetto qualunque obiezione e critica, ma mi batto come un leone per far capire che la mia scelta è vera, non ha paracadute speciali, si basa su risorse interiori. Io non sono un privilegiato, ho pagato e pago un prezzo, alto, a volte molto alto, per un premio che ritengo eccellente: maggiore libertà. Su questo pretendo di essere creduto non certo condiviso.
Insomma è un gioco delle parti, un teatrino che non muta. “Capire, in fondo, è inutile”, direbbe Eduardo. E io non ho speranza (non ragionevole, almeno) che la situazione cambi, so perfettamente che troppi traduttori non riescono a vivere decentemente del loro lavoro perché non osservano le regole elementari e immutabili del mercato.
Ma dirlo non serve, e fare la Cassandra inascoltata non è divertente. Nonostante ciò, segnalo ancora una volta la splendida intervista di Marcela Jenney a Renato Beninatto, che ripercorre tutti i temi principali che un traduttore può ignorare solo a proprio rischio. A Renato si deve anche il disegnino qui sopra – elementare ma assolutamente esplicativo, come le immutabili leggi del marketing –, dove l’uomo più grande (e sorridente) è il nostro cliente e l’omino piccolo (e triste) è ovviamente il traduttore.
Non è un caso che da Renato io abbia sentito per la prima volta parole come “Skype” (Bologna, Galleria 2 agosto 1980, in una pausa della conferenza Federcentri, ottobre 2005) e “Facebook” (San Francisco, conferenza ATA, novembre 2007). Insomma, chi si trova in difficoltà e ha desiderio di cambiare potrebbe per esempio partire da ciò che dice quell’uomo: ascoltandolo con spirito critico ma mooolto attento. (E poi metterlo in pratica, si capisce: la conoscenza senza pratica non è utile a nessuno. Altrimenti come si spiegherebbe l’esercito di professori, molti dei quali veri pozzi di scienza nella propria disciplina, che vive con 1.400 euro al mese? E non pare di vedere un parallelo, qui, con molti, troppi traduttori?)
[…] This post was mentioned on Twitter by Laura Dossena, Gianni Davico. Gianni Davico said: "Elementare", nuovo post su Brainfood dedicato al marketing per i traduttori https://giannidavico.it/2021/brainfood/?p=369 […]
Ma tu sei un “ragazzo” fortunato come Simone Perotti, del resto, è questa è probabilmente la ragione per la quale lo trovi così a te affine.
Quando, però, si passano “quasi nove mesi” a “spiegare cose”, vuol dire che bisognerebbe farsi qualche domanda sul pubblico a cui le si vuole spiegare e sulla loro e, soprattutto, la propria credibilità.
Perché, cioè, “batt[ersi] come un leone per far capire che la [propria] scelta è vera? Perché si desidera crederci in prima persona? Se è così, non ha senso perdere tempo con un altro ipocrita, e questo qualunque interlocutore, dopo un tempo variabile, ma solitamente breve, lo coglie. Se invece si desidera davvero rendersi utile, non vantarsi né proporsi solo come l’ennesimo venditore di fumo, allora occorre avere innanzitutto rispetto per il proprio interlocutore, il che significa adattarsi ad esseo, ovvero accettare di non poter raggiungere tutti e contare solo su coloro che si mostrano più attenti, anche a costo di risultare antipatici, “apocalittici”, incompetenti o pazzi. E se si “pretend[e] di essere credut[i], si parte già con il piede sbagliato. Perché dovrei credere? Anzi, perché non dovrei essere scettico?
La forza di Renato sta nella sua immediatezza e anche nella sua fisicità: per essere credibili bisogna anche piacere, a livello “epidermico”. Renato, inoltre, ha dalla sua il vantaggio di non sforzarsi di piacere a tutti i costi, ma di sapere che piacere è importante.
Simone Perotti non ha certo bisogno delle mie difese, ma io credo che le cose che dice possano essere utili a molti, a patto che si abbia il coraggio di fare il salto e non mettere davanti mille scuse (sono troppo povero / giovane / vecchio ecc.): tutte accettabilissime e comprensibili, ma che di fatto ci allontanano dai nostri propri obiettivi. Simone vive con 700 euro al mese e certamente è un ragazzo fortunato: ma perché è un ragazzo in gamba, che ha pianificato il proprio futuro, ha deciso che voleva decidere per sé eccetera. Non è obbligatorio seguirlo né può interessare a tutti, però il fatto che il suo libro venda così tanto è un segno che non possiamo sottovalutare.
“Pretendere di essere creduti” vuol dire semplicemente dare per scontata la sua buona fede, tutto qui.
Quanto a Renato sono d’accordo con te; aggiungo soltanto che uno potrebbe anche non averlo mai incontrato di persona, ma ignorare le sue idee per un traduttore – un traduttore con poco lavoro, dico – è a mio avviso pericoloso e forse sconsiderato.
Buona fede? Gianni mio, sei davvero un ragazzo, e te lo dico con tutto l’affetto di cui sono capace: la buona fede non è più un bene spendibile da tempo, ormai.
Sarò un visionario e un ragazzo (grazie del complimento! :-), ma nel mondo che conosco io la buona fede esiste, e come!
Caro Gianni,
ti ringrazio di quello che hai scritto. Mi ha colpito il fatto di essere arrivata alle stesse tue conclusioni; l’hai detto quasi con le stesse parole e con lo stesso tono che io avrei usato per esprimere lo stesso concetto.
La buona fede la presuppongo e conosco anch’io. Ed è che si ottiene spesso quello che si da. Probabilmente anch’io come te rientro in quella categoria dei “ragazzi visionari” e fortunati (perché negarlo) ma sono contenta di farne parte.
Grazie!
Grazie a te, María José – alla fine credo che le cose siano molto semplici. Ciao!
Segnalo un approfondimento di questo discorso: http://luspiolanguagecamp.blogspot.com/2010/07/come-puo-il-traduttore-vivere-del.html. Si tratta della traccia che avevo preparato per l’intervento al “Languagecamp” tenutosi alla LUSPIO l’8 luglio, che per motivi tecnici non avevo potuto tenere.