Dic 23

stupid
Il titolo del post di oggi riprende il libro di Nicholas Carr di cui avevo parlato qui.

Lo so, lo so che quando inizi a dire – o anche solo a pensare – “ai miei tempi” vuol dire, in parole povere, l’inizio della fine. E tuttavia mi chiedo, io che ho ancora voglia di studiare argomenti nuovi, imparare, approfondire: come faccio a farlo, visto che a parte quando sono sul divano o nel letto con un libro il tempo è per forza spezzettato dalla potenza del Web?

Oggi ricordo con piacere i pomeriggi del liceo, o i giorni dell’università passati di fronte ad un libro. Però, che cosa potremmo pensare oggi di che cosa scriveva Roberto Vacca nel 1981 in Come imparare più cose e vivere meglio?

I tedeschi dicono che è importante “lernen mit Sitzfleisch” – cioè: imparare con la carne con cui ci si siede. Questo vuol dire che c’è molta roba che non puoi imparare, se non ti metti seduto e se non ci rimani fin quando hai letto un sacco di pagine e hai lavorato davvero sodo.

Allora la mia paura è che il nostro cervello tenda a diventare pezzi di Wikipedia messi insieme. D’altra parte il fine ultimo della cultura – è Umberto Eco che lo dice – è sapere dove trovare rapidamente un’informazione quando serve, non sapere a memoria la Treccani.

Faccio un passo indietro (no, più d’uno per la verità). Quando scrissi il mio primo libro il Web non esisteva (o meglio, era un oggetto nuovo e la cui utilità non era percepita da quasi nessuno – basta vedere la homepage del sito di Microsoft nel 1994 per rendersene conto); ai tempi del secondo sì, ma non era “social”; ai tempi del terzo (giusto tre anni fa, e sembra un altro millennio) il Web era già dappertutto. Eppure in tutti e tre i casi la gran parte di essi è stata scritta in un mese circa di sforzo concentrato, dove le distrazioni erano ridotte al minimo proprio allo scopo di proseguire nell’atto creativo. Quando scriverò il quarto sarà ancora così?

Mette conto qui citare un articolo apparso sull’ultimo “Wired” (while we are here: l’edizione italiana di questa rivista mi sembrò dirompente al suo apparire, ora la vedo fatta soprattutto di marchette – e tutto sommato sono contento che il mio abbonamento scada presto), del quale mi hanno colpito un paio di passaggi.

Il primo è una considerazione dell’autore fatta a margine di un pensiero di Nicholas Carr:

Il problema è il multitasking. Che in realtà non esiste: gli umani sono in grado di prestare la debita attenzione a un unico compito. “Multitasking” in realtà significa volgere rapidamente l’attenzione da un compito all’altro, con un dispendio di energie mentali superiore a quello necessario per eseguire il compito in sé.

Il secondo è un commento del pediatra Michael Rich:

Lo schermo non fornisce ai bambini la capacità di guardare una cosa, di analizzarla a velocità umana e di sintetizzare quello che sta succedendo.

Insomma il problema rimane. Oggi l’informazione è pervasiva e non costa nulla, ma quanto vale? E, soprattutto: che cosa accadrà nel tempo al nostro cervello?


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3 commenti “Internet ci rende stupidi?”

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